Si è diplomato in pianoforte al Conservatorio N. Piccinni di Bari col massimo dei voti, ma come spesso accade si capisce solo in un secondo momento la propria vocazione. Quando ha capito che il coro sarebbe stato la sua?
Il coro mi ha sempre affascinato e catalizzato sin da6 piccolo. Da sempre ho avuto la propensione per la musica d’insieme e al conservatorio ero di frequente nella classe di musica da camera. In realtà il diploma di pianoforte è stato un percorso necessario per arrivare al diploma e poi alla laurea di direzione di coro.
Citare qui tutto il suo curriculum può risultare di certo interessante (dalle collaborazioni con vari maestri, fra i quali Lorin Maazel, alle varie docenze in giro per l’Italia, alle vittorie ai concorsi), per riassumere però chiedo: quali delle esperienze pregresse hanno contribuito a plasmare maggiormente il professionista di oggi?
Partiamo dall’esperienza fondamentale: creare un coro dal nulla, coinvolgendo amici che niente o pochissimo avevano a che fare con la musica. È stato come creare un manufatto già chiaro nella mia mente, che prendeva forma e consistenza, avendo a disposizione pochi strumenti. Un manufatto che con pazienza e competenza acquisiti con lo studio e la pratica riuscivo a impastare, modellare, impreziosire. Pian piano prendeva forma e consistenza quella “opera d’arte” che è il coro. Questo percorso mi ha dato la possibilità di comprendere sempre più le dinamiche relazionali presenti all’interno dei cori, quali percorsi seguire per dare gli strumenti necessari al cantore, consentendogli di gustare a fondo la musica che canta. A livello artistico molta importanza ha avuto la collaborazione con Marco Berrini e l’incontro con maestri come Giovanni Acciai e Lorin Maazel.
La sua è una vera e propria missione didattica. Lo so bene, perché volli partecipare a tutti i costi alla Scuola Superiore Biennale per direttori di coro di voci bianche nella scuola primaria, nonostante volessi fare altro, non propriamente il direttore di coro. Ci parlerebbe anche della sua intensa attività didattica all’interno delle scuole?
Lavorare con i bambini, cori di voci bianche o gruppi scolastici che siano, ti forgia nello spirito, nel carattere, nei modi e nella gestione delle dinamiche relazionali. Impari a programmare e a progettare. È un’esperienza che auguro a tutti di fare. Far crescere un coro di voci bianche è altamente formativo e lì non c’è trucco che tenga! Lavorare con i laboratori scolastici poi richiede altre competenze e capacità relazionali non solo con i bambini, ma anche con tutti gli attori del mondo scuola.
Che ruolo ha avuto la musica nella sua infanzia e quanto lo spirito del bambino che fu è presente nella sua attività?
Non ricordo molto della presenza della musica nella mia infanzia, ma ci sono stati un paio di episodi che mi hanno fatto scoprire mondi bellissimi. Il figlio della mia maestra di scuola elementare, allora non era ancora chiamata primaria, suonava il pianoforte e una volta lo ascoltai a casa sua. Mi innamorai di quei suoni, di quell’alea che si creava e chiesi ai miei genitori, come regalo di compleanno di poter studiare pianoforte. Per quanto riguarda lo spirito del bambino, non è mai andato via!!
Cantando con lei da quasi un decennio, ho notato fin dall’inizio una volontà precisa: fra i suoi cantori fa in modo che si crei sempre una sorta di cameratismo, quella complicità che nei cori a produzione non troveremo mai. Questo influisce sulla resa finale? Se sì, in che modo?
È un mio principio, un modus vivendi, una filosofia di vita: non puoi far coro se non sei coro. L’esperienza del creare una formazione dal nulla mi ha dato la possibilità di vivere tutte le dinamiche esistenti all’interno di un gruppo/coro e di confermare la chiara idea che esso sia la rappresentazione della convivenza sociale. Bisogna creare, o far creare quelle relazioni importanti di appartenenza a quel gruppo senza mai discriminare o chiudere i recinti. Certo all’interno del coro si creano sempre affinità più accentuate o meno, siamo esseri umani, ma il sentirsi parte integrante di quella formazione aiuta a mantenere comunque i giusti equilibri e il compito del direttore è anche quello.
Una sua creazione è la Cluster Choral Academy, che contiene al suo interno diverse compagini corali. Ce ne vorrebbe parlare?
La Cluster Choral Academy ha come mission l’idea che tutti possono cantare e a tutti deve essere concessa la possibilità di farlo; parafrasando una locuzione latina, canto ergo sum. L’associazione raccoglie quattro formazioni: quella storica Modus Novus Ensemble, a voci miste, Juvenes Cantores, distinto fra le voci bianche e giovanile a voci pari, e l’ultima nata, nel 2020, Consonare Ensemble, a voci miste. Sono formazioni distinte nelle persone che le compongono e nei percorsi musicali e formativi che seguono, ma alla base c’è la volontà di far musica corale, immergersi in essa e godere dei suoi benefici, senza eludere impegno e preparazione.
Poi il suo impegno nella coralità giovanile…
Questo impegno parte dalla volontà di coinvolgere sempre più giovani nell’attività corale. Ho avuto l’onore e il piacere di dirigere due formazioni regionali giovanili, il Coro Giovanile Pugliese, in seno all’Arcopu, e il Coro Giovanile Campano per l’Arcc, due realtà distinte per storia e percorsi, ma accomunate dalla volontà di affrontare nuovi repertori, fare altre esperienze, acquisire nuove competenze e portare tutto il nuovo bagaglio nelle formazioni di appartenenza. Con il Giovanile Pugliese la collaborazione è cominciata alla sua nascita, nel 2014. È una situazione atipica per queste tipologie di formazioni, ma il consiglio direttivo Arcopu ha deciso di investire in una strutturazione e organizzazione del progetto su base pluriennale. Abbiamo inciso due cd di autori contemporanei, in particolare pugliesi, e uno di musica inedita di autori del Seicento e Settecento pugliese con strumenti antichi, oltre a poter vivere esperienze concertistiche bellissime oltralpe.
La voce è uno strumento potentissimo. Ha potenzialità superiori a quelle di un’orchestra. Forse perché la voce, la parola, sono strumenti ancestrali. È d’accordo?
La voce è identificativa di ogni persona, è unica per ognuno di noi, è più precisa delle impronte digitali, è il veicolo di comunicazione con il mondo esterno, è il “io sono, io ci sono” nella società. La voce è il primo strumento musicale in assoluto per l’uomo, ed è proprio attraverso il canto che l’uomo esprime sentimenti, passioni, gioie, dolori, ma anche le sue tradizioni, i suoi costumi: in una parola, il suo vissuto esistenziale. La voce riesce a stimolare vibrazioni che portano la mente a rilassarsi, concentrarsi. Il canto, quando coinvolge tutto il corpo nella fonazione, rivela una capacità di accesso privilegiato al flusso energetico dell’intero organismo. Questa è una premessa necessaria per comprendere le potenzialità del coro. La differenza principale, per quanto scontata e banale, fra l’orchestra e il coro, è avere l’onore e l’onere della parola, il mezzo di comunicazione per eccellenza già pronto. Il coro deve avere l’accortezza di rendere quella parola, di contestualizzare un testo, di rappresentare il racconto e di evocare le emozioni in esso insite. Le potenzialità sonore del coro sono davvero enormi, una su tutte: la bellezza delle dissonanze eseguite con la voce non ha pari nel mondo strumentale.
Un messaggio a chi volesse intraprendere, o ha intrapreso da poco, la sua carriera
…Studere, studere… quid valere? Tanto! Auguro a tutti di rimboccarsi le maniche e di sudare non poche camicie per far nascere il coro dal nulla. Auguro di poter lavorare con le voci bianche, altro percorso altamente formativo e che non ammette trucchi di alcun genere. Auguro di godersi la musica corale, di lasciarsi avvolgere e trasportare, anche a costo di qualche rinuncia e di gavette intense! Citando Muriel Barbery, da L’eleganza del riccio:
«In fondo, mi chiedo se il vero movimento del mondo non sia proprio il canto».