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Gli occhi danzanti
Intervista a Camilla Di Lorenzo

di Enrico Correggia
Portrait, Choraliter 70, maggio 2023

Guanti bianchi, sorrisi luminosi, sguardi che ballano al ritmo di un canto che sembra venire da lontano. Un modo particolare e autentico di vivere la musica con profondo entusiasmo che da Roma sta raggiungendo in maniera capillare tutta l’Italia con atelier e percorsi di formazione sempre più frequenti. A diffonderlo è Camilla Di Lorenzo, direttrice del coro With Us e delle Voces Angelorum. L’abbiamo incontrata per voi.

Sei una persona – ne p0arleremo – dai mille interessi e dalle mille abilità. Qual è stato il tuo primo incontro con la coralità e quando hai capito che sarebbe potuto diventare il tuo mestiere principale?

Da piccola cantavo nel coro dell’Accademia Filarmonica Romana con il maestro Pablo Colino, ma il primo anno ebbi come insegnante Anna Pia Sciolari, di cui ho un ricordo meraviglioso. Era severa ma allo stesso tempo molto sorridente, capelli lisci a caschetto brizzolati tenuti in ordine da un cerchietto, suonava e cantava al pianoforte con molta gioia. Mi divertivo moltissimo quando ci faceva cantare i brani dicendo il nome delle note e quando rientravo a casa in metropolitana continuavo a cantarli trasportandoli, in realtà mantenendo la stessa intonazione ma cambiando il nome delle note. La mia passione per la coralità è nata inconsapevolmente grazie a lei e poi, consapevolmente, grazie alla figura di Mariele Ventre, che a oggi considero il mio esempio di vita. Mi colpiva la sua dedizione all’educazione corale dei bambini, il sorriso e la profonda passione con cui pretendeva disciplina dal coro sapendo di star formando uomini e donne del domani, la pazienza, l’importanza che dava ai testi e alla pronuncia, e molto altro. Ho registrato su videocassetta ogni puntata dello Zecchino d’oro e ogni esibizione del Piccolo Coro finché è stata in vita Mariele. Lo facevo per poter riguardare infinite volte quei rari momenti in cui la telecamera inquadrava l’espressione del suo volto e le sue mani, che possedevano una potenza comunicativa enorme. Ero letteralmente incantata dalla relazione tra lei e i bambini, era questo l’elemento chiave per me: la relazione umana, quel comprendersi così bene senza bisogno di parlarsi, quell’ascolto reciproco sereno e divertito. Mi sono innamorata degli occhi lucenti di Mariele, dell’amore con cui guardava i suoi bambini: mi commuovo ancora ora ripensandoci. In quegli anni, ho iniziato a scrivere ripetutamente sul mio diario segreto: «Da grande, vorrei avere un coro di bambini». A tutt’oggi, ogni momento corale che vivo è per me un’occasione di scambio di amore tra me e chi ho di fronte. Anche nella sofferenza, non rinuncio mai a questo scambio, al quale non sempre mi accosto con la convinzione di avere qualcosa di valido da donare. Noto, però, che il mio sguardo nei contesti corali luccica sempre. Potrei dire di essere molto “devota” alla coralità, la amo con tutto il mio essere, mi dono a lei in qualsiasi condizione io sia. 

Le tue esperienze nel campo sono molteplici. Spicca, ad esempio, per inusualità, la collaborazione con il Coro Ebraico Ha Kol. Eppure il tuo nome è legato soprattutto alle voci bianche e alla coralità giovanile femminile: è stata una scelta o ti ci hanno portata le circostanze?

Le Voces Angelorum e le With Us, che quest’anno festeggiano il loro decennale, sono mie “creature”, nate da un forte desiderio di dar vita a un percorso di vita corale, che è diverso dal semplice voler mettere su un coro. Alcune delle attuali With Us hanno iniziato a cantare con me una quindicina di anni fa e tra loro c’è Claudia, grazie alla quale ho potuto avvicinarmi al mondo ebraico e scoprirne le sue meraviglie. Ricordo un Benedicat tibi Dominus che lei da piccola tradusse e traslitterò in lingua ebraica: in concerto, lo cantammo prima in latino e poi in ebraico. Quando arrivò, da parte dell’allora direttore, la proposta di candidarmi a dirigere il Coro Ebraico di Roma Ha Kol, non ci pensai su due volte e mi lanciai in un ulteriore percorso di vita corale dal quale ho imparato tanto e al quale ho dato tanto di me. Sono stati anni intensi, ci ho creduto molto. 

Il tuo percorso da psicologa ti ha lasciato, evidentemente, numerose competenze in eredità. Quanto influisce nel tuo lavoro quotidiano con i cori?

Molto. Mi accorgo spesso di dinamiche più o meno funzionali tra i coristi stessi o tra loro e me, ipotizzo evoluzioni future e calibro i miei atteggiamenti di conseguenza. Non sempre riesco a farlo come vorrei, ma tento di migliorarmi ogni giorno, a volte anche prendendo spunto dai coristi stessi. Se “andare a coro” implica un certo grado di coinvolgimento emotivo, sentire di “essere un coro” ne implica un altro, con la complessità di rapporti che può derivarne. A parer mio, sempre un’ottima palestra di vita!

In sede di audizione osa ricerchi in una ragazza che desidera approcciarsi alle tue formazioni? La voce è sufficiente o il carattere ha un peso? 

Per le voci bianche, che siano le Voces Angelorum o altri cori di bambini che seguo, mi accerto sempre che il bambino sia in buona salute vocale. Sono molto attenta all’igiene vocale, collaboro da anni con una foniatra e una logopedista che si occupano entrambe di voce artistica e alle quali invio i coristi che intuisco possano avere una problematica, anche lieve: in questo modo, l’allievo può essere seguito su più fronti e percepire che stiamo facendo il massimo per permettere alla sua voce di cantare con libertà. Molti bimbi che mi vengono presentati dai genitori come “stonati” hanno in realtà o soltanto poca pratica vocale alle spalle, e in quel caso il lavoro dovrà essere il mio, oppure una problematica che richiede l’intervento di un professionista che, a sua volta, dirà a me fin dove posso portare la voce di quel bambino di volta in volta. Potrei raccontare di molte Voces Angelorum che riuscivano a cantare una battuta sì e le quattro successive no, che dopo un percorso ben fatto sono riuscite a cantare tutto il brano con soddisfazione ed espressività. Tra loro c’è Lavinia, ormai ventenne, che lo scorso agosto ha vinto con le With Us la categoria a voci pari al Concorso internazionale di Arezzo: ha avuto tanta pazienza negli anni, assieme a tantissima motivazione e passione, ed è arrivata a cantare come desiderava! Per le With Us, invece, non cerco le cosiddette “belle voci” quanto piuttosto delle ottime teste, che abbiano il desiderio di entrare a far parte di una vera e propria squadra che coopera costantemente e richiede dedizione, il giusto spirito di sacrificio, la voglia di fare le proprie scelte tenendo conto anche del bene del coro e di quanto una determinata scelta possa ricadere sulle sorti dello stesso. With Us è palestra di vita per imparare il lavoro di équipe, sperimentare cosa vuol dire essere parte di un organismo che pulsa all’unisono, nel quale il ruolo di ciascuna è fondamentale, è un contesto in cui scoprire il piacere di curare ogni dettaglio, di fare tutto con amore, mantenendo sempre lo sguardo verso alti ideali. Desidero sia un’esperienza di vita corale intensa e, per quanto ne sarò capace, sempre ben fatta. Per tale motivo, in sede di audizione, ultimamente chiedo di arrivare avendo studiato alcune pagine di due differenti brani tratti dal nostro repertorio, che andranno poi eseguiti in quartetto con altre tre With Us. Mi interessa non tanto il risultato finale, quanto piuttosto constatare la disponibilità della ragazza a dedicare del tempo per prepararsi, osservare quanto in quel momento riesce a essere in ascolto delle altre, in che modo riesce a far fronte a un blocco alla terza battuta di un brano, per esempio.

Chi ti vede dall’esterno resta spesso colpito dal tuo gesto non convenzionale e dalla nobiltà della tua postura. Quanto è rimasto della Camilla che studiava danza classica nel tuo approccio corporeo alla direzione?

Moltissimo, per non dire tutto. Ammetto di non sentirmi propriamente una direttrice di coro nel senso più tecnico del termine: mi sento piuttosto una comunicatrice. Desidero essere questo. La danza classica ha salvato la vita emotiva alla Camilla bambina che vi si è approcciata quasi per caso durante anni difficili e dolorosi. Ha regalato al mio cuore spiragli, speranza, serenità, armonia, gentilezza, felicità. È stata la mia medicina, mi manca in modo indescrivibile. Mi accorgo spesso che, quando mi distanzio dal dare attacchi e chiuse e lascio il mio corpo libero di “danzare” un brano corale, il coro che ho davanti cambia la qualità del suono e ci ritroviamo spontaneamente a respirare insieme. Con le With Us questo accade all’ennesima potenza: se posso danzare, posso raccontare di me, di come mi rispecchio in quel determinato brano, e nell’avermi davanti a loro emotivamente autentica e “nuda” anche le ragazze mi raccontano con le loro voci in che modo si rispecchiano quel giorno in quelle note. Ne deriva una comunicazione circolare di emozioni, vissuti, speranze, battaglie, scalate, la cui potenza e bellezza è difficile da mettere in parole. Credo che ciascuno che sia alla guida di un gruppo di qualsiasi tipologia possa e debba mettere a disposizione il meglio di sé per favorire un maggior ascolto, un concreto miglioramento, un’evoluzione costruttiva. Il meglio di me a servizio del coro, almeno fino ad ora, si è sempre affacciato “danzando”, anche a detta delle ragazze. Vedremo cosa accadrà nei prossimi anni!

Il tuo coro di voci bianche è, ormai, quasi maggiorenne: compirà diciotto anni l’anno prossimo. Ripensando alla sua fondazione, com’è cambiato il tuo approccio al coro e com’è cambiata l’attenzione dei bambini, nati in un contesto sempre più digitale?

Il mio approccio si è modificato in funzione del mio maturare e delle differenti esigenze dei bimbi di oggi. Noto, in generale, una loro maggiore difficoltà a “stare in bolla”, in ascolto l’uno dell’altro, ad attendere il proprio turno, a ripetere un passaggio che non riesce per rifinirlo, ad avere consapevolezza della propria voce, ad avere pazienza. Lavoro tenacemente in quella direzione: desidero che l’esperienza corale possa fornire loro degli strumenti utili per il loro futuro di uomini e donne, ancor prima che per un eventuale loro sbocco nel mondo della musica. Allo stesso tempo, constato una maggiore serenità e disinvoltura da parte loro nella relazione con l’adulto, aspetto che favorisce senz’altro un clima scherzoso e di complicità all’interno della lezione. 

Chi pensa a te, molto spesso, ha in mente i tuoi guanti bianchi: far cantare e contemporaneamente segnare in LIS è una tua caratteristica. Come hai scoperto questo mondo? L’hai trovato da subito a te affine?

Vi sono due aspetti da considerare, uno più propriamente educativo e uno più specificamente personale. Poter comunicare in LIS abbatte molte barriere e apre nuovi orizzonti: ritengo sia di fondamentale importanza per un bambino o un adolescente poter anche solo pensare di comunicare attraverso il corpo, sfruttando le sue potenzialità espressive. Poterlo sperimentare all’interno di un contesto musicale, poi, scaccia via pian piano e con gentilezza l’imbarazzo e il disagio che spesso i giovani vivono in relazione al corpo che abitano. Accanto a ciò, non dimentico il primo motivo per cui ho iniziato a proporre in concerto brani cantati e segnati: desideravo che anche le persone sorde potessero godersi un concerto corale! È capitato varie volte averne tra il pubblico: ammetto che inizialmente mi sono sentita io stessa a disagio per paura che ciò che stavo per proporre non fosse ben fatto, così come se avessi dovuto far cantare in tedesco uno dei miei cori di fronte a un pubblico tedesco avrei temuto molto un loro giudizio sulla pronuncia. Quando poi ho capito che da entrambe le parti l’aspetto che più faceva scaturire gioia era l’aver voluto abbattere una barriera, ho iniziato a lasciarmi andare di più senza preoccupazioni e a offrire tutta me stessa attraverso la LIS. Non nego che per me segnare un brano sia un po’ come danzare. In quei momenti mi sento libera e felice, quella tipologia di movimento a scopo comunicativo rimette in asse le mie disarmonie: aver cura di collegare bene i segni tra loro mi riporta a quando, da piccola, mi impegnavo a scrivere bene in corsivo e a fine scrittura avevo la sensazione di aver realizzato un bel ricamo. Mi accorgo di non riuscire a trovare le parole adatte a descrivere come mi sento quando ho l’opportunità di segnare un brano assieme a un coro, e contemporaneamente di raccontare me stessa attraverso quei segni: per rendere l’idea, posso dire che considero quei momenti tra i più belli della mia vita. Ora come allora.

Un’altra cosa che salta all’occhio è l’entusiasmo di chi canta con te. Una passione vibrante che, per alcune, sfocia anche nello studio della direzione o del canto in maniera professionale. Sicuramente qualcosa che rende il gruppo unito e compatto, capace di remare nella stessa direzione. Qual è la tua ricetta?

A essere sincera, più cresco e più mi rendo conto di quante cose non so fare o non riesco a fare come vorrei o dovrei. Quindi di ricette, se pur pensavo di averne, ora volutamente non ne ho più. Detto ciò, la mia passione per la coralità e per le relazioni comunicative che si instaurano grazie a essa è autentica, brillante, bruciante come fuoco, poetica come un cielo stellato, intensa come un tornado, capace di farmi sognare a occhi aperti ora che sono adulta così come quando ero bambina. Credo che i miei coristi, per forza di cose, respirino la magia dalla quale mi lascio avvolgere in quei momenti. Io ci credo sul serio, alla potenza comunicativa e rivoluzionaria di un accordo ben intonato che proviene da voci appartenenti ad anime che in quell’istante stanno cercando, per l’appunto, un accordo tra loro. In concorso, ripeto sempre alle With Us che possono e devono “fare la differenza”, sapendo di avere una giuria e un vasto pubblico in ascolto possono e devono lanciare il loro messaggio, personale e di gruppo. A seconda di come questo messaggio verrà lanciato, quell’esibizione avrà un certo impatto sul cuore di chi ascolta, che magari quel giorno era triste, pensava di non valere nulla, e che invece magari può rientrare a casa con entusiasmo rinnovato, dare un abbraccio a un suo familiare, che a sua volta grazie a quell’abbraccio si sentirà amato e magari sarà più gentile con i suoi sottoposti a lavoro, e così via. Io la vivo così, e ogni volta, in concerto o in concorso, sento la responsabilità di poter avere un impatto su quel pezzetto di mondo che in quel momento è lì con me. 

Cosa ti sentiresti di dire alla Camilla di dieci anni che si approccia al canto corale? E che pensiero lasceresti in eredità alla Camilla di sessanta?

Alla Camilla piccola direi che può stare tranquilla, perché nella musica corale troverà sempre una compagna di vita rispettosa e gentile quanto testarda e tenace. Nonostante i momenti di crisi, quella fiammella non riuscirà mai a spegnersi, segno di una passione forte, radicatasi quando più ne aveva bisogno, che continuerà a essere sempre sorgente zampillante senza rischi di prosciugamento. Alla Camilla più matura direi di non smettere mai di dirigere i muri della propria casa quando scopre un nuovo brano che la emoziona, e in quei muri immaginare come il coro risponderà a quel gesto e a quella emozione, che suono avrà alle prime prove, che suono avrà in concerto, che suono avrà a quel concorso a cui tanto vorrebbe portare quel brano. Per avere ancora un messaggio da lanciare, anche quando non ci si sente all’altezza o in diritto di farlo, perché un messaggio di gruppo ha una potenza maggiore rispetto a un messaggio individuale, e perché forse il cuore della faccenda è proprio questo: il tempo e l’età ti spogliano di molte convinzioni, per permettere a quel che sei di rimanere lì, senza fronzoli, spesso nudo, a dire con coraggio «io sono, e con quel che sono faccio del mio meglio per portare frutto».

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