Quando e come la musica è entrata nella sua vita? E come è avvenuto il “passaggio” dalla passione per il pianoforte a quella per il coro?
Non provengo da una famiglia di musicisti, ma ho bellissimi ricordi d’infanzia legati alle cantate a più voci sotto il pergolato durante le riunioni estive di famiglia, nella casa di campagna dei nonni. In casa la musica si ascoltava alla radio, non c’era una tradizione strutturata, ma i miei genitori sono stati ricettivi rispetto alle mie predisposizioni. Quando ho espresso il desiderio di studiare musica, mi hanno mandata da una insegnante che ha saputo trasmettermi l’amore per quest’arte. Ho studiato pianoforte e frequentato le scuole magistrali; qui suor Alessandra Bassi, che insegnava educazione musicale, ha avuto la giusta intuizione e mi ha consigliato di dedicarmi alla musica, indirizzandomi anche verso un primo impiego come segretaria nella scuola di musica di Bassano, dove per nove anni ho lavorato alla Gioventù Musicale d’Italia, diretta dal maestro Carmine Carrisi. A un certo punto, per un problema fisico, ho dovuto abbandonare l’idea di diventare pianista ma una serie di coincidenze mi hanno portata alla direzione di coro. Un corso di canto corale nella scuola mi ha aperto un mondo e ho iniziato a prendere lezioni di canto. Quando ho deciso di iscrivermi al corso di composizione e direzione al conservatorio di Padova, è arrivata la proposta di dirigere il coro I ragazzi della Ciliegia d’oro di Marostica. Nel frattempo avevo già avviato un coro nella mia parrocchia, con un gruppo di bambini, su richiesta dell’allora parroco don Beniamino Nicolin, un indimenticabile mentore che mi ha sempre sostenuta e stimolata. Questo coro non ha mai smesso di cantare con me e sono oggi le Giovani Voci Bassano. Il coro di Marostica è oggi la Gioventù In Cantata.
In quale modo le è stato utile approfondire anche gli aspetti organizzativi dell’attività musicale?
Nella Gioventù Musicale d’Italia avevo in mano la gestione della scuola. Il lavoro mi ha affascinata fin da subito e ho capito di avere buone capacità a livello organizzativo. Coordinavo i corsi con i grandi docenti e sono entrata in contatto diretto con il mondo accademico. Mi appassionava lavorare ai corsi, alla stagione concertistica, conoscere artisti, pubblico, istituzioni. A livello di esperienza mi è servito tantissimo. Vengo da un certo pragmatismo nelle cose e da una famiglia di liberi professionisti. La capacità imprenditoriale mi ha aiutata a stare con i piedi per terra e capire cosa convenga e si possa fare.
Parliamo di alfabetizzazione musicale: insegna ai suoi coristi a leggere la musica e a essere indipendenti nello studio delle partiture?
Assolutamente sì. Abbiamo una struttura piramidale; i bambini iniziano piccolissimi 8e quando entrano alla primaria imparano la codificazione dei suoni e dei simboli. La conoscenza del linguaggio musicale inizia come gioco, poi segue un percorso a tappe per livelli di lettura e con diversi insegnanti che prosegue almeno fino alla terza media. Per gli interessati abbiamo una convenzione con il conservatorio di Vicenza che permette di sostenere gli esami per le certificazioni. L’obiettivo è far avere ai cantori padronanza della partitura, una buona lettura orientativa.
Come sceglie il repertorio per il coro?
Per grado di difficoltà di diversa natura (ritmica, melodica, armonica), a seconda della preparazione del coro, considerando anche generi e lingue diverse. Inoltre cerchiamo di fare affidamento sui compositori viventi, dei quali vogliamo promuovere l’attività con iniziative come Poesia in Canto, che dal 2000 ha già coinvolto una trentina di compositori. Mi guidano i contenuti, testi che abbiano un messaggio, l’attinenza al contenitore del concerto. Preferisco creare programmi tematici o che comunque siano in grado di veicolare un messaggio coerente. È importante avere rispetto per il proprio pubblico. Inoltre amo lavorare a progetti che si sviluppano grazie anche al coinvolgimento dei ragazzi. I cantori non sono mai estranei alla scelta dei nostri progetti, ma sono coinvolti dal punto di vista mentale, fisico, emotivo. Non mancano brani che permettano di dare spazio al movimento perché, con Giulia Malvezzi che cura questo aspetto, crediamo che cantare con tutto il corpo sia importantissimo: i cantori si accendono, il suono si colora e la somma di tutto questo sprigiona un’energia incredibile.
Come tratta le voci in muta? Differenzia in questo caso il percorso per voci maschili e femminili?
Non differenzio e lavoro in maniera trasversale anche a livello di età, promuovendo una verticalità nella quale credo moltissimo. A volte divido ragazzi di età diverse per progetti specifici, ma preferisco farli lavorare insieme e hanno sempre collaborato benissimo. La muta nelle ragazze si sente meno, inoltre nei miei cori i cantori provengono da un’esperienza pregressa importante che fa superare questa fase con maggiore serenità e senza forzature. Principalmente perché sono seguiti individualmente dal punto di vista vocale: quando hai la possibilità di avere un vocalista nel tuo gruppo, tutto diventa più gestibile e controllabile. Credo che i cantori maschi in muta non debbano fermarsi, nonostante questo appaia contro corrente. Quando iniziano a sentire un po’ di affaticamento o la voce si rompe, accettano facilmente il cambio di sezione perché spieghiamo loro cosa sta succedendo dal punto di vista fisiologico, rendendoli consapevoli di ogni fase e cambiamento. Oltre a colorare in modo particolare la propria sezione, questi ragazzi, con la loro esperienza, diventano un modello per i bambini più piccoli, un punto di riferimento. Con il cambio di repertorio e sezione entrano in una dimensione più adulta e responsabile, durante la quale al loro ruolo musicale si aggiunge quello sociale. Una motivazione in più a proseguire l’attività corale.
Perché la partecipazione femminile all’attività corale è in genere maggiore rispetto a quella maschile?
Penso che manchi un’adeguata cultura e sensibilità. Forse la comunicazione in questo senso pecca anche da parte nostra. Se il coro fosse veramente inserito nei programmi scolastici, sarebbe tutto più semplice. Invece un ragazzino che sceglie di fare coro deve avere genitori motivati e coscienti dell’importanza e dei benefici formativi di questa attività. La maggior parte dei genitori predilige l’attività fisica, è la scelta più scontata… Il segreto è iniziare da piccoli, con corsi di propedeutica musicale.
Qual è il segreto del suo successo?
Credo che il successo vada di pari passo con la credibilità dell’offerta formativa, con una solida organizzazione, una buona comunicazione, il tutto volto a creare un rapporto di fiducia. Tutti sappiamo dei grandi vantaggi del cantare in coro, ma a volte trascuriamo gli ingredienti necessari per maturare questi elementi così importanti nella crescita del gruppo: ci vuole un direttivo, collaboratori, tanto impegno e tempo. Ottieni credibilità anche quando sei in grado di raccogliere attorno a te persone capaci, che decidano di abbracciare e sostenere il tuo modo di operare. Io mi ritengo molto fortunata, attorno a me ho persone che mi vogliono bene, mi sostengono, camminano al mio fianco e si spendono in maniera esemplare per l’associazione.
Il metodo di prova vincente: quali consigli darebbe a un giovane direttore per apprendere il “ritmo giusto” che mantiene l’energia e il coinvolgimento durante una prova?
Credo sia importante avere una varietà di generi che permettano di tenere il ritmo serrato. È importante trasmettere obiettivi chiari e mantenere una scaletta di prova che permetta di raggiungere la meta condivisa. Nel momento in cui espliciti il traguardo, il risultato è un impegno comune. Promuovo inoltre l’ascolto individuale durante la prova, perché tutti si sentano protagonisti, elementi importanti del puzzle che è il coro.
Quali sono le tre doti che un direttore di coro di voci bianche e giovanili deve avere?
Tre doti sono poche, ma posso suddividere la questione in due aspetti: le doti umane e quelle professionali-musicali, strettamente interconnesse. Nel primo caso elencherei, in ordine di importanza, equilibrio, capacità di ascolto, essere leader, nel secondo preparazione, curiosità (ricerca) e creatività. Per ottenere risultati che vadano al di là del fatto musicale non si può prescindere da uno dei due aspetti. Infatti la mia vita musicale coincide con il mio progetto di vita.
Lavorare con i giovani impone di essere musicista e insieme educatore. Quali pensa siano le capacità e i valori che è riuscita a condividere?
Sento una grandissima responsabilità. Tra le doti prima accennate devi avere chiara la tua direzione. La mia è educare con la musica. Nei due anni di pandemia, ho capito da subito la gravità della situazione nella percezione dei giovani, un mondo diventato quasi invisibile. Avendo percepito segnali di fragilità e disagio, ho cercato in tutti i modi di tenere accesa la luce, di farli incontrare in presenza appena possibile, di mantenere i contatti per dare loro stimoli e speranze, una ragione per “fare”. La musica è un mezzo per crescere insieme e raggiungere la meta del benessere, della felicità. Punto moltissimo sui valori condivisi legati al fare coro, sul senso di responsabilità, sulla cura dell’altro, l’affidabilità, il rispetto reciproco, la condivisione, la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie capacità che permette di diventare leader di se stessi e protagonisti all’interno del gruppo. Tutti aspetti che cerco di coltivare con le nostre innumerevoli iniziative, che non sono solo concerti e prove.
Di cosa avrebbe bisogno la coralità infantile e giovanile italiana?
Sicuramente ha bisogno di maggiore consapevolezza del fatto che bisogna essere bravi educatori e non solo bravi musicisti. Se vuoi che la scintilla diventi fuoco e quindi un rapporto duraturo nel legame con il coro di appartenenza, devi costruire la fedeltà attraverso proposte accattivanti, offerte formative che hanno un valore didattico, artistico e ricreativo. Ho molta fiducia nello scambio di esperienze con docenti validi che stimolino la crescita del gruppo, nelle collaborazioni importanti, che creano aspettativa, nelle sinergie che non significano competizione, nei festival che regalano il sorriso perché sono esperienze da vivere con impegno, ma anche leggerezza e spontaneità, portando a casa un arricchimento enorme e condividendo le aspettative sulla propria vita.
A riprova del principio di condivisione delle esperienze messo in pratica nei propri cori, Cinzia Zanon ha scelto di coinvolgere i coristi anche nell’intervista, rivolgendo a loro una delle domande che le abbiamo posto, ovvero: qual è il segreto del suo successo?
Ecco le loro risposte: