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Semi di suono
intervista a Andrea Basevi Gambarana

di Roberta Paraninfo
Dossier compositori, Choraliter 48, dicembre 2015

Genova come cornice, l’amore per la musica, per i giovani e per la didattica le ragioni di vita che hanno permesso l’incontro: questi gli ingredienti della mia fratellanza di vita con Andrea Basevi Gambarana. In un discreto numero di anni abbiamo condiviso la conduzione di cori di voci bianche, realizzato insieme opere teatral-musicali, eseguito prime assolute di sue composizioni, fatto musica e concerti per la nostra città e fuori, parlato a lungo, discusso, riso e scherzato… molto. Mi piace darvi un’immagine di Andrea come persona: un adulto che ha tenuto stretto il suo essere bambino, mantenendo così la capacità di sentire l’umanità a tutto tondo, tipico del bambino, ma con lo sguardo dell’adulto. Alcune sue composizioni sono pietre miliari di molte delle mie formazioni corali, dalle voci bianche ai grandi. Sue caratteristiche: l’immediatezza, la profonda leggerezza e la cantabilità sempre adatta a tutte le voci.

Nel raccontare di te, Andrea, partiamo dalla tua formazione, che è senz’altro stata fondamentale, ma da cui ti sei mosso per diventare te stesso. Quali i compositori della storia hai più amato, ti hanno cresciuto e ispirato? 

La mia formazione è molto variegata, non ho mai pensato, quando studiavo, di dedicarmi a un solo argomento musicale ma mi serviva in quel momento studiare tante situazioni per addentrarmi nella musica e cercare di poterla manipolare. Della mia formazione fa parte anche la mia famiglia, la storia è molto importante per ognuno di noi, non solo la storia musicale poiché sono un musicista, ma anche la storia di noi, e più questa è ricca, più la persona è colma di risorse. È normale che un ragazzo che voglia fare il compositore segua gli studi al conservatorio, io ho studiato a Torino con don Virgilio Bellone per la composizione corale, Carlo Pinelli per il contrappunto e Gilberto Bosco per la composizione. Non devo dimenticare però gli inizi, da bambino giocavo a dare dei concerti per mia nonna Mimina, mi mettevo un finto frac e immaginavo di essere un pianista famoso. Preparavo un programma senza sapere esattamente cosa avrei fatto, nomi di compositori inventati e improvvisavo suonando vari stili. Ero un compositore onnivoro, leggevo tantissima musica ascoltando i miei compositori preferiti, Bach, Handel e Mozart in primis e poi nel Novecento Šostakovič, Poulenc e naturalmente Stravinskij, che è un po’ il papà di tutti i compositori moderni. Ho incominciato a studiare musica seriamente con Mario Moretti che insegnava solfeggio al conservatorio, da lui andavo portando molte composizioni, cose un po’ raffazzonate, ma lui mi spingeva a scrivere e a quei tempi, avrò avuto 15 anni, ho composto una ventina di concerti per strumento solista e pianoforte. Uno di questi, mi ricordo, per mandolino fu eseguito a casa del maestro Moretti che suonava benissimo questo strumento. Scrivevo anche musica vocale perché mi piaceva la poesia e volevo darne una nuova veste. Dopo gli studi a Torino mi sono domandato se era importante seguire un corso di musica contemporanea, di quella musica che forse non mi interessava tantissimo in quel momento, ma volevo entrarci dentro, capirla. Ho scelto di seguire il compositore forse più complesso in quegli anni, Brian Ferneyhough, con lui ho fatto un anno alla scuola di Friburgo. È stato un anno straordinario perché Ferneyhough mi ha permesso di entrare nel mondo della musica contemporanea in maniera radicale, senza compromessi. Non rinnego quelle composizioni che sono state importanti per la mia Buildung. Poi Luciano Berio che ho letteralmente inseguito perché volevo studiare con lui. I nostri incontri restano nella mente e nel cuore. Quando mi chiedono della mia musica rispondo che quando entro in una libreria il primo settore dove vado è quello per bambini. Mi attrae quel tipo di leggerezza che deve esserci all’interno di un libro per bambini. Non ho mai smesso di comprare e di leggere letteratura per l’infanzia oppure libri che parlano di giochi letterari, penso a Dossena, e poi Queneau e naturalmente Italo Calvino e Gianni Rodari. Ultimo tassello nella mia formazione è stato un incontro fondamentale al corso di etnomusicologia tenuto da Simha Arom sulla musica dei pigmei del centro Africa. Ho avuto la conferma che la musica deve essere letta a trecentosessanta gradi e non possiamo fossilizzarci su una singola situazione, e poi soprattutto che la musica resta il veicolo più straordinario di emozioni che la mente umana ha potuto creare, perché io penso come Debussy che la musica non porta significati ma contiene tutti i significanti di cui ha bisogno l’essere umano.

Prima di iniziare a scrivere per coro sei stato un cantore… e lo sei ancora oggi. Come ha influito, questo, sulle tue scelte compositive e sulla tua scrittura?

La voce è la casa della musica, dice Luciano Berio. Amo questa immagine perché una casa vuole essere abitata in tanti modi diversi e la voce mi emoziona non solo perché è il modo attraverso il quale noi esprimiamo il nostro pensiero ma perché, quando si canta, la voce sottolinea ogni tipo di emozione. Sant’Agostino diceva che chi prega canta due volte e così io potrei parafrasandolo dire che chi canta spiega quel che vuol dire molte volte e in modi diversi. I compositori che più mi accompagnano nel mio cammino coral-musicale sono Monteverdi e Schubert, di loro mi piace l’approccio sul testo, il portato emozionale della parola che si traveste in musica. Ho un grande rispetto della parola, la poesia è già musicale da sola, e con la musica non faccio altro che allungarla nel tempo. Ma questo tempo non deve essere però un tiranno, il significato della parola nella poesia devo trasformarlo in immagini sonore. Cantare in un coro è una fucina immensa per un compositore per la conoscenza delle musiche vocali. Non ho mai smesso di cantare in un coro perché voglio continuare a imparare.

Tu sei un compositore che non mira a scrivere difficile. Ma quanto è difficile scrivere semplice?

La mia scrittura parte da un principio lineare, quello della chiarezza formale. Se si scrive musica per i giovani bisogna avere presente l’aspetto didattico che dev’essere chiaro e netto. Forse è per questo che ho voluto studiare musica contemporanea tosta per cercare di raggiungere quello che invece è la leggerezza. Italo Calvino nel suo saggio sulla leggerezza nelle Lezioni Americane parla di frantumazione del linguaggio in piccoli pulviscoli, in leggeri fiocchi di neve. È molto difficile scrivere facile perché non bisogna assolutamente dimenticarsi né della struttura né tantomeno del contrario e cioè della pesantezza. L’ironia è un momento importante del mio mondo musicale. Chi è ironico con se stesso continua a mettersi in gioco, forse è per quello che io amo molto la letteratura del gioco o quella umoristica di Achille Campanile e Marcello Marchesi che giocano con il linguaggio. La ricerca della leggerezza è una strada difficile e secondo me l’unico che è riuscito a percorrerla tutta è stato Mozart che in ogni suo lavoro, dai primi fino agli ultimi, è riuscito a raccontarci di cose grevi in modo aereo. Tra i miei compositori preferiti devo assolutamente mettere Virgilio Savona che ha trascorso la sua vita musicale scrivendo per il Quartetto Cetra e canzoni per bambini con una lievità assolutamente invidiabile. Ho scritto molto teatro musicale per ragazzi. Troviamo principalmente due tipologie: opere teatrali per bambini fatte da adulti con al massimo un coro di voci bianche, e quelle pensate e scritte per essere messe in scena da ragazzi. Io ho toccato entrambi gli aspetti trovando nel secondo una migliore risposta alla paideia che desidero venga recepita; trovo che se i bambini stessi partecipano allo spettacolo non solo come spettatori, riescano a trovare una migliore risposta alle loro aspettative, ai loro sogni: il teatro riveste una funzione formativa importantissima per la crescita non solo culturale del bambino. Anche il compositore stesso ha molto da imparare dai bambini e nel mio lavoro mi è capitato strada facendo non solo di correggere alcune parti, ma di pensarle in modo nuovo.

Nelle tue composizioni per i bambini il testo che scegli ha sempre un grande valore. Per questo hai stretto una profonda e duratura collaborazione con uno dei poeti più importanti di questi anni, Roberto Piumini: quali le sue caratteristiche che si intrecciano bene con la tua poetica?

Roberto è un poeta che passa con straordinaria disinvoltura dai testi per ragazzi a quelli per adulti senza in realtà cambiare la sua poetica. È poeta in ogni sua riga con una ricerca mai banale del linguaggio e un’intelligente coabitazione di forme strutturali. Per comprendere meglio questo pensiero posso citare una brevissima poesia per bambini che contiene però dentro di sé tutto un mondo per far viaggiare meglio la fantasia. Ciao comodino. Armadio bambino. Ci si domanda se questa poesia sia solo per bambini o anche un po’ per adulti, e quindi ritorno a dire che mi colpiscono quegli autori, quegli scrittori che anche senza scrivere testi per bambini, cioè fiabe o racconti brevi, riescono a essere leggeri, a dire cose profonde senza mai cadere nel banale. Non dimentichiamoci che Piumini ha scritto due romanzi per ragazzi parlando della morte con lievità e gentilezza. La musica può essere presente dentro la poesia in modi diversi. Io preferisco quando la musica abita la poesia e da questa è abitata in modo rispettoso. Piumini parla della sua poesia come di una poesia bambina e io posso dire lo stesso della mia musica, mi fa piacere che possa essere considerata una musica bambina, perché i bambini hanno questo dono di avere dei grandi occhi per guardare il mondo.

Parliamo dell’educazione musicale in Italia: cosa possono fare i compositori, oggi, per i bambini delle scuole dell’infanzia e primaria, gli anni più fertili per lo sviluppo della musicalità?

Una buona educazione alla musica cerca di far comunicare tra loro la triade orecchio-mente-cuore: orecchio per ascoltare (e non solo udire), mente per cercare di comprendere (e non solo capire), cuore per accettare il tutto (e quindi amare). Insieme, mai separati, questi tre elementi sono nei bambini già attivi, sta all’educatore il compito di guidarli. Roland Barthes suggerisce: «Udire è un atto fisiologico, ascoltare è un atto psicologico» dove ascoltare quindi deve trasformarsi in ascoltami e cioè in modo pienamente cosciente. Quando si lavora con i bambini, il mio pensiero non cambia, ci vuole sempre un’idea didattica davanti a sé, nel proprio cuore e nella propria mente. Così mi è successo tutte le volte che ho voluto creare un coro di bambini anche in situazioni disagiate come la periferia sud di San Paolo in Brasile, regalare a questi ragazzi l’amore per la musica, già latente in ognuno di loro, ma che ha bisogno di una Paideia per uscir fuori nel modo migliore. Tra le metodologie europee più importanti io seguo la didattica kodalyana, molto utile soprattutto per l’intonazione e la comprensione di una melodia, perché nata all’interno del canto popolare. Il punto di partenza e quello finale di un direttore di coro, e tu lo sai benissimo, è quello di far nascere la passione per quello che si fa, di trasmettere ai ragazzi l’amore per la musica che tra tutte le arti è quella più ineffabile ma anche più emozionale. Così deve fare un compositore che scrive per i giovani, attraverso un’idea didattica molto forte cercare con il suo linguaggio di arrivare al cuore e alla mente. In Italia l’educazione musicale è carente, ma ci sono delle esperienze straordinarie, maestri che con grande passione portano avanti un lavoro che unisce lo studio con pazienza e impegno al piacere del cantare o suonare insieme. Questo si vede soprattutto nelle rassegne e nei concorsi che Feniarco e altre istituzioni corali organizzano durante l’anno. Così accade durante la Rassegna Città di Alessandria per cori giovanili e scolastici che organizzo da sette anni insieme al Conservatorio Vivaldi, dove con immensa gioia assisto al bellissimo lavoro che i maestri fanno con i giovani.

Quali sono le tue esperienze con l’editoria musicale? Cosa pensi sarebbe utile fare, per riuscire a far girare musica il più possibile, fra i compositori e gli insegnanti e i direttori di coro?

L’editoria musicale rappresenta un grosso problema, soprattutto quella corale, perché in Italia si fanno troppe fotocopie. So che all’estero l’idea di fare fotocopia di un brano corale non passa neanche per la testa, la musica costa molto poco, se un direttore di coro vuole eseguire un brano compra tanti spartiti quanti sono i suoi coristi. Io e molti altri compositori usiamo spesso internet e nei nostri siti mettiamo a disposizione moltissima musica. Quando si trova un editore il problema resta la distribuzione, solo gli editori grandi hanno una buona distribuzione, se no si rischia di avere a casa tante copie della propria composizione e quindi la musica non circola. Non ho un rimedio a questi problemi. Forse bisognerebbe che durante ogni rassegna o concorso si mettesse a disposizione di tutti la musica eseguita, oppure che ci fosse uno spazio per i compositori che presentino le loro musiche. Ancora oggi resta molto forte, almeno in Italia, il passaparola, questo succede per la didattica e la musica per bambini perché nelle scuole primarie non esiste il libro di musica. La musica per l’infanzia è dunque arte? Come le altre forme del pensiero musicale è in bilico tra compiutezza e superficialità; può essere semplice ma perfetta, può al contrario complicarsi in inutili orpelli. Solo quando l’idea di fondo emergerà sincera possiamo accettarla come nuova veste di un pensiero. La musica rappresenta un modo per unire le persone, e qualunque sia il modo di porgerla, rimane uno dei più bei gesti d’amore.

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