Il coro Mikrokosmos di Vierzon in Francia racconta storie con ogni concerto, è un coro concettuale per vocazione, che utilizza luci, elementi scenici, costumi, ma rimanendo nell’alveo del concerto. Direttore artistico del coro Mikrokosmos, del Choeur de l’Education Nationale e direttore artistico del Festival de la Voix di Châteauroux, Loïc Pierre è inoltre regista, scenografo, compositore e artista visivo. Coralmente allievo di Michel-Marc Gervais, Eric Ericson, Rachid Safir e Nicole Corti, è un promotore del repertorio contemporaneo corale attraverso numerose commissioni. Poco incline a percorrere vie convenzionali e standardizzate, il suo lavoro è una ricerca continua di nuovi spazi di espressione per l’evento corale, alla luce delle sue frequentazioni teatrali e cinematografiche, come racconta in questo interessante contributo per la nostra rivista.
Mikrokosmos è un giovane coro, fondato nel 1989. Tutti i cantori hanno un’età compresa tra i 18 e i 30 anni. Quando organizzo le audizioni con l’insegnante di canto, ascoltiamo prima di tutto la grana della voce e domandiamo ai candidati di eseguire un brano a cappella. Preferisco ascoltare una melodia tradizionale piuttosto che un’aria d’opera perché la melodia tradizionale rivela da subito l’immaginario espressivo e fisico del giovane artista, mentre con un’aria d’opera il cantore (dotato di una tecnica ancora fragile) sarà sempre una pallida e studiata imitazione di cantanti celebri. Inoltre l’arte lirica esige una conoscenza del teatro, cultura troppo spesso assente nei giovani, che devono ancora costruire tutto: postura, immedesimazione, sguardo. Mikrokosmos difende l’arte corale nei confronti dello strapotere dell’arte lirica. “Arte corale” e non canto corale, una precisione terminologica che sfida anche i puristi dell’opera per provare che il coro può esistere anche da solo, senza orchestra, senza drammaturgia, senza solisti, senza decorazioni.
Le audizioni servono soprattutto a verificare il potenziale del cantore: è strumentista? Attore? Pittore? Grafico? Performer? Acrobata? Clown? Questa ricchezza interiore sarà ben presto utile al gruppo intero. Nell’elaborazione e nella scrittura dei miei spettacoli cerco talenti polivalenti per nutrire e sviluppare l’immaginario collettivo. Il canto non mi basta per sviluppare il percorso di Mikrokosmos. La poliedricità è la vera ricchezza del gruppo, ben al di là del canto. Questo rinforza la coesione e l’unità del coro perché annulla la rivalità tecnica legata al “saper cantare bene”. D’altro canto tutti i cantori ricevono una formazione vocale (con corsi individuali per tutti durante i weekend di prove). Il gesto vocale e tecnico è quindi uniforme e al servizio dell’arte corale a cappella che Mikrokosmos tutela da trent’anni.
Grazie a questa pluralità di individui posso oggi sviluppare un altro cardine della mia attività, legato alla trasmissione e alla nascita di un teatro corale. Da una decina d’anni mi occupo della formazione di giovani assistenti provenienti dalle file del coro. Sono collaboratori stretti che mi affiancano nella genesi degli spettacoli. Assistenti alla direzione, all’allestimento, alla scenografia. Tutti continuano a cantare nel coro ma sono in grado di guidare il gruppo secondo le proprie competenze. I cantori accettano molto bene e facilmente questa nuova autorità. In Jumala, spettacolo con il quale abbiamo invitato il gruppo taiko Fun un No Kai con il grandissimo percussionista Eitetsu Hayashi, avevo audizionato alcuni mesi prima un giovane mezzosoprano. Nel colloquio successivo lei mi ha precisato di essere una percussionista e di avere una predilezione per la marimba. Ho quindi modificato velocemente un brano a cappella per integrare due marimbe. Mikrokosmos conta attualmente sei percussionisti di alto livello.
Ho sempre lavorato sulla drammaturgia dei concerti e ho spesso tentato di movimentarne i rituali. Oggi muoversi e danzare sembra essere una necessità impellente per tutti i cori. A questo proposito, distinguo diversi tipi di coro:
Il coro coreografico rappresenta l’85% della produzione visuale attuale. Con un coro che si muove, il concerto scivola lentamente verso lo spettacolo. Talvolta con pertinenza e insolenza, talvolta con semplicità e minimalismo. Lo spettacolo di Jake Runestad Nyon, Nyon rimane un esempio sorprendente delle possibilità coreografiche e visuali a disposizione di tutti i cori che cerchino movimenti scenici: clown o marionetta, coro tecno e discoteca, dance-fusion o esperienza di light design. Rimane da capire come il pubblico percepisca queste libertà cinetiche. Lo spettatore ne è escluso? L’opera corale resiste? Il pericolo principale osservato nel coro coreografico è dimenticare l’intento poetico dell’opera e non utilizzarne che la trama ritmica. Entriamo dunque nell’intrattenimento, con il pubblico che assiste a una profusione di gesti e corpi abbandonati sulla scena. Lo spettatore guarda ma non comprende più.
Il coro teatrale è invece molto raro: Karmina Šilec, la collaborazione tra Peter Sellars e la Los Angeles Master Chorale, Philomela, Lone Larsen e Voces Nordicae propongono universi potenti che aprono ricche prospettive sul futuro del canto corale, valorizzando repertori nuovi.
Nel 2012 abbiamo realizzato con Mikrokosmos il progetto La Nuit dévoilée, spettacolo che ha ottenuto rapidamente un vivace successo. Questo concerto, non ancora “spettacolo” è stato rappresentato oltre cento volte in tutto il mondo. All’origine c’è una commissione di Paul Fournier, direttore dell’Abbazia di Noirlac - Centro culturale di incontro che ha voluto invitare Mikrokosmos per una grande notte all’abbazia che avrebbe riunito dal tramonto all’alba artisti dagli orizzonti e sensibilità molto diversi. Già molto curioso e promotore di nuove idee scenografiche, Paul Fournier ha accettato facilmente le mie proposte di mettere Mikrokosmos al centro dell’abbazia, di dividere il pubblico in due gruppi, uno di fronte all’altro, e infine di concepire una scenografia di luci per ciascuno dei brani.
Ma nuove idee sono intervenute presto a costruire l’architettura di questo evento, come ad esempio la fusione di repertori e la dissoluzione di riferimenti cronologici (e musicologici) che troppo frequentemente frammentano la fluidità del concerto. I concerti a cappella sono spesso costretti dentro un ritmo prevedibile in una successione di pezzi brevi intervallati da brevi applausi. Dobbiamo tentare di evitare anche queste gratificazioni premature. Infine anche la spazializzazione è una fonte di riflessione: con una scena centrale, la figura del cerchio appariva come quella a maggior rischio di esclusione del pubblico, ma si sono presentate altre soluzioni scenografiche e coreografiche, legate alla scelta dei brani e che indirizzavano verso configurazioni inedite.
Velocemente si è delineato lo svolgimento dei brani, così come il primo abbozzo delle forme possibili del coro: in cerchio, in doppio cerchio, attorno al pubblico, in fila, raggruppati, queste immagini corali nascevano naturalmente dalle architetture musicali. Il cerchio è già suggerito nella danza norvegese Halling fra sinja, il quartetto di solisti in lontananza per Leon di Joby Talbot, il doppio cerchio nella ninnananna Gjendines bandlat o la linea del soprano che tende all’infinito in Ned i vester soli glader. La luce è allo stesso modo il nostro filo rosso, con sfumature modellate sulle fluttuazioni dei tempi, delle armonie crepuscolari e delle lingue utilizzate.
Concepito come un grande arco suddiviso in tre scene notturne, La nuit dévoilée invita, avvicina e mette in accordo artisti ingiustamente messi in contrapposizione dalle gerarchie musicologiche spesso improprie e contraddittorie. Qui il tempo si dissolve, gli artisti si sposano, le lingue si mescolano e le armonie si abbracciano. Immerso al centro della materia corale, il pubblico dimentica nello spazio di una notte queste barriere ataviche. Ovviamente questo spettacolo ha trovato spazio in molti luoghi e ogni nuova rappresentazione è stata modellata secondo le caratteristiche architettoniche e acustiche dello spazio coinvolto. Un lavoro appassionante, portato avanti con il giovane gruppo Mikrokosmos, sempre pronto a scolpire il corpo del coro cercando l’esatta e spesso impercettibile vibrazione dei luoghi.
La Nuit dévoilée mi ha permesso di avviare una approfondita riflessione sul coro in scena, sul corpo del coro e infine sugli spazi possibili per i cantori.
Distinguo così:
Questi spazi dovranno essere combinati per definire la drammaturgia del concerto. Si può quindi parlare di “scenografia corale” e ispirarsi al lavoro dei registi e scenografi di ambito teatrale.
Utilizzo il termine di teatro corale rifacendomi al lavoro straordinario di Pina Bausch. Mikrokosmos approfondisce questa idea di teatro corale da una decina d’anni e siamo ancora lontani dall’aver trovato la forma. La drammaturgia deve essere ancora elaborata, così come l’esplorazione del corpo del coro e del cantore. Fino a oggi ci siamo mossi dentro un collage di frammenti e nella creazione di universi visuali effimeri. Il grande arco rimane ancora e sempre da disegnare.
Il concerto corale è un insieme di piccoli pezzi, piccoli momenti espressivi intervallati da applausi e da saluti spesso fuori luogo. C’è una forte spezzatura tra l’istante del concerto, la sua effimera profondità e il passaggio al pezzo successivo. Si pone quindi la questione di come mantenere l’attenzione dello spettatore e la tensione dello spettacolo. È l’oggetto del nostro lavoro con Mikrokosmos. Accompagnare il pubblico, non lasciare mai la sua mano, interrogarlo, sorprenderlo in continuazione. Soprattutto tra due brani corali. In concerto le transizioni (come i cambi di scena a teatro o le ellissi temporali al cinema) devono essere costruite bene. Lo spettatore deve essere sollecitato costantemente soprattutto in queste delicate svolte drammaturgiche. Dobbiamo trarre ispirazione dalle dissolvenze, dagli effetti di montaggio o dalle sovrapposizioni di tempi al cinema. Ma anche il ritmo del circo è altrettanto affascinante e ispirativo.
Quando elaboro i miei spettacoli, faccio sempre riferimento al mondo del teatro e del cinema, molto raramente all’ambito musicale o corale. Il teatro perché vive di riflessione e ricerca, il cinema per il senso del montaggio, dell’ellissi e della narrazione.
(traduzione di Rossana Paliaga)