Astrid Vang-Pedersen nel suo studio sul choral design per la Royal Danish Academy of Music parla della costruzione di eventi concertistici come di un «processo creativo di concettualizzazione di un evento musicale classico che abbraccia il complesso dell’esperienza performativa. Il suo scopo è ispirare diversità, innovazione e creatività ricercando nuovi potenziali nelle performance musicali classiche». Non si tratta di forzature, ma di evoluzioni naturali in quanto il concerto è un rituale sociale che riflette modelli attualmente in rapido cambiamento. Cambiano le esigenze degli artisti e cambia la fruizione del pubblico che richiede maggiore ampiezza, ovvero l’uscita dell’evento dalla sala per estenderlo anche agli appassionati dietro lo schermo, che sia quello del cinema o quello che accoglie i video di youtube. La Pedersen parla dei concerti classici come «format congelati che contribuiscono a preservare l’ideale di un mondo ordinato, sicuro, illuminato e stabile», come anche del tentativo di trascendere tempo e spazio con performance che seguono ovunque un copione preciso di azioni e comportamenti, sia da parte degli artisti che del pubblico (come dire che l’immagine del concerto classico non subisce grandi variazioni, che si svolga a New York o a Stoccolma).
È il cambiamento del rapporto tra proposta e utenza la chiave delle incursioni multimediali e multidisciplinari che caratterizzano la scena corale attuale a livello mondiale. Esperienze sensoriali, inserti narrativi o video, presentazioni coreografiche o teatrali, travalicamento della barriera invisibile tra scena e platea sono alcuni degli espedienti che adattano il rituale moderno alle esigenze della società e quindi del pubblico contemporaneo. Per realizzare questo ampliamento dei confini dell’evento concertistico sono necessarie professionalità esterne, da aggiungere al lavoro del direttore. Esistono anche casi di lavoro fondamentalmente autonomo, come vale per la direttrice di coro slovena Karmina Šilec, diventata celebre per i suoi progetti di choregie, un modo per dimostrare che i cori possono essere «versatili corpi artistici, splendidi strumenti che si aprono a nuovi spazi creativi». I suoi spettacoli musicali con il gruppo Carmina Slovenica hanno teorizzato l’ampliamento dei confini del concerto tradizionale attraverso la ricerca di riferimenti in mondi non musicali. Una ricerca attivata all’occorrenza perché, con le parole della parole della Šilec, «i movimenti accadono quando necessari, altrimenti è preferibile fare un concerto». Secondo la sua fondatrice, il metodo della choregie è «una combinazione di didattica, lavoro di squadra, laboratorio della mente e del corpo, esplorazione della voce. La sfida è tenere accesi tutti questi parametri in ogni momento dell’esibizione».
Lo studio del movimento a supporto della voce è la specialità della Choireography, la via percorsa dalla coreografa Panda van Prosdij, che esplora le segrete connessioni tra voce e corpo per permettere alla prima di liberarsi con maggiore espressività, grazie al contributo del secondo. Che in fondo significa anche ragionare sul motivo per il quale si sale su un palcoscenico e sul messaggio che si vuole trasmettere al pubblico.
Nel presente dossier approfondiremo alcune di queste esperienze, toccando riferimenti noti anche in Italia, come le performance “sciamaniche” del maestro basco Basilio Astulez, ma proponendo anche riflessioni di artisti europei che finora hanno avuto meno contatti con la scena corale italiana. Partiremo da una riflessione generale sullo spostamento del coro nello spazio scenico, condizione base per poter aspirare a una buona resa sonora e per garantire ai coristi le condizioni ottimali per realizzare le idee del direttore. Per alcuni il corredo utile a trasformare un concerto in un evento leggibile a più livelli potrà sembrare soltanto una decorazione esterna al contenuto musicale. Quando questa interazione tra elementi diversi avviene però nel modo giusto, il messaggio musicale rimane immutato nella sua sostanza, sebbene posto in contesti che ne modificano la fruizione, aumentandone l’impatto emotivo e quindi valorizzando il potenziale artistico anche presso un pubblico misto che non comprenda soltanto esperti del settore.
La contemporaneità di esperienze che coinvolgono sensi e mezzi diversi è il nostro quotidiano, quindi l’aggiunta di elementi a commento e sostegno della fruizione di un concerto non è altro che un tentativo di parlare il linguaggio più comune e riconoscibile del nostro tempo. Certamente non è necessario sempre e in ogni contesto, ma va considerato come un percorso parallelo che può aiutare in situazioni che lo consentano (quando con il concerto si vuole raccontare una storia, quando il pubblico è molto diversificato, quando il repertorio ha bisogno di una spiegazione). L’importante in ogni caso è definire chiaramente i limiti, perché quanto viene aggiunto deve rimanere un corollario della musica, un’integrazione di senso e contenuto, non il soggetto principale.
Tutto questo è soltanto quanto accade nel luogo del concerto, dal vivo, perché l’altro aspetto dei nuovi mezzi di diffusione della musica corale riguarda principalmente il web, alleato nel creare consenso attorno a un genere che nella vita reale tende a non suscitare, a parte rari casi, entusiasmi di massa. La convivenza con gli schermi ci ha abituati a presentazioni cinematografiche, alla spettacolarizzazione degli eventi ed è normale che anche la musica corale abbia iniziato a cercare in questo potenziale nuovi spazi di espressione. Youtube piace soprattutto ai gruppi vocali, per questioni di repertorio (pop) e di facilità nella gestione di un numero ridotto di persone da movimentare. Maestri del settore sono senza dubbio i Pentatonix, le cui clip hanno le situazioni e il glamour del mondo del pop, che costituisce il loro riferimento e la loro fonte di ispirazioni molto varie. Ma il mondo dei cori su youtube si muove su molti percorsi diversi, veicoli di intenti e messaggi altrettanto diversificati. Chi si rivolge al proprio pubblico di riferimento sceglie ad esempio di offrire l’immagine, esteticamente elaborata, dell’esibizione da concerto classico. Navigando si incontrano inoltre il coro di commento a immagini suggestive, quello che parla con i volti dei suoi coristi, il coro di grandi dimensioni che sceglie una cornice naturale e inquadrature epiche per trasmettere entusiasmi religiosi, quello che in video somma massa e messaggio sociale per essere ambasciatore di contenuti extramusicali, il gruppo che semplicemente si promuove (dando grande soddisfazione ai propri coristi), anche con risultati che a livello tecnico e artistico richiedono il supporto di professionisti di alto livello.
Nella fioritura di videoclip corali esiste attualmente una decisa prevalenza anglosassone (non è peregrina l’associazione con un fenomeno tipicamente statunitense e legato all’ambito universitario come lo show choir), ma si tratta di un mezzo in grande e rapida evoluzione che sta toccando anche il nostro Paese. Alle clip si possono aggiungere anche altri tipi di comunicazione attraverso schermo, come è stato ad esempio il coro virtuale di Eric Whitacre, realizzato con la sincronizzazione di video provenienti da ogni parte del mondo (o altri, simili esperimenti di canto collettivo a distanza).
E si potrebbe citare inoltre ulteriori tipi di virtualità corale, in questo caso one man choir, come i prodotti delle registrazioni multitraccia, altrettanto facilmente reperibili sul web.
Non dobbiamo temere tutte queste forme, non si tratta di tentativi superficiali per minare il concerto in senso classico. Viviamole per quello che sono, ovvero una stimolante, suggestiva esplorazione di nuove possibilità che, se utilizzate bene, non si muovono contro il canto, ma favorendo secondo moderne alchimie la capacità dei cantori di trovarsi a proprio agio sul palco e di lasciarsi coinvolgere dalla musica con meno filtri, esattamente come i loro spettatori.
(Citazioni tratte da: Astrid Vang Pedersen, Concert Design. An investigation into the potential of classical concerts as creatively designed events, PhD Roskilde University & The Royal Danish Academy of Music, 2017; European Choral Magazine, European Choral Association - Europa Cantat, 2-3/2016)