Soprattutto in Italia, infatti, nell’ultimo mezzo secolo, si è più volte disgraziatamente rinnegata l’eredità della grande, millenaria tradizione del repertorio musicale sacro e liturgico del passato in favore di molteplici e talora confuse “soluzioni moderne” rivelatesi spesso non solo di dubbia qualità artistica ma pure prive di autentica funzionalità liturgica e profondità spirituale.
Nonostante il Magistero della Chiesa Cattolica abbia effettivamente prodotto (anche dopo la “apparente rivoluzione” del Concilio vaticano II) i testi con le indicazioni, gli ammonimenti, i consigli e le avvertenze atti a indirizzare l’uso della musica all’interno delle celebrazioni nel modo più consono all’importanza del compito così come alle necessità pratiche e funzionali da esso richieste, tali indicazioni sono rimaste spesso inapplicate, sommerse dai gusti individuali, dalla mancanza di cultura e di gusto musicale e da una scarsa attenzione a questo aspetto della ritualità nelle celebrazioni religiose, evidentemente giudicato secondario o poco importante. Ciò, unitamente a una progressiva ed evidente “laicizzazione” della vita culturale e artistica nazionale, ha portato a creare un sotteso ma percepibile (e preconcetto) sentimento di “sottovalutazione” del ruolo del “musicista di chiesa”, per tanti secoli così centrale, quasi che la musica sacra-liturgica si configurasse come una sorta di “sottogenere” all’interno del contesto musicale attuale.
Ma la realtà, a uno sguardo più attento e approfondito, non si rivela per fortuna così tristemente uniforme come la descrizione di qui sopra farebbe pensare; l’effettiva situazione italiana della produzione musicale a servizio del rito cattolico è assai più complessa e variegata di quanto si creda comunemente e affianca a casi di dilettantismo esecutivo e povertà repertoriale esempi musicalmente più elevati fino, per l’appunto, a quello di varie Cappelle Musicali, istituzioni secolari dal glorioso passato e dal vivace presente. Ma cosa significa, per un musicista del XXI secolo, lavorare all’interno di una istituzione storica di questo genere, magari ricoprendo l’antico ruolo di “Maestro di Cappella”?
Si possono fare alcune considerazioni generali ma non esiste certamente una risposta univoca a tale interrogativo, dipendente com’è, oltre che dalle motivazioni e dalle convinzioni personali del singolo musicista in relazione al fatto di operare in un contesto “religioso”, anche e soprattutto dal modo in cui ogni singola cappella ha adattato la propria antica fisionomia, il proprio funzionamento, i propri compiti e la propria attività ai tempi attuali. Alcune di esse forniscono un servizio ininterrotto durante l’anno liturgico, altre in modo occasionale; alcune si rivolgono prevalentemente al repertorio già noto (dall’antico al contemporaneo), altre eseguono spesso musiche composte appositamente dal Maestro di Cappella; alcune hanno una struttura complessa di natura professionale o semiprofessionale, altre una connotazione più “amatoriale” e burocraticamente più semplice.
La mia personale testimonianza non può non basarsi sull’esperienza fatta in seno alla Cappella Civica di Trieste, storica istituzione la cui origine risale al 1538 e in cui opero dal 2008, prestando servizio dapprima come organista titolare e, attualmente, come direttore, succedendo al maestro Marco Sofianopulo. La sua particolarità è di dipendere, sin dalla sua origine, dalle autorità comunali, nonostante presti servizio presso la Cattedrale cittadina di San Giusto; tutti i suoi componenti sono retribuiti dall’autorità municipale e scelti sulla base di selezioni pubbliche da essa bandite. Il suo organico, più volte mutato nel corso del tempo in relazione soprattutto all’entità dei sovvenzionamenti comunali, conta attualmente un direttore, un organista e un massimo di quaranta cantori, di cui venti titolari e venti supplenti; la presenza di un cospicuo e prezioso archivio musicale comportava, fino a qualche anno fa, la presenza di un’archivista, figura che è stata cancellata per motivi economici qualche anno fa. L’attività musicale della Cappella Civica si estende, con organico variabile, durante tutto l’anno liturgico, coprendo tutte le messe domenicali, le festività principali, alcuni vespri solenni e celebrazioni liturgiche particolari ed eccezionali; essa è accompagnata anche da una non ampia ma significativa attività concertistica, compatibilmente con le disponibilità economiche.
La presenza in organico di un organista titolare favorisce, di norma, la scelta di un repertorio concertante piuttosto che di quello a cappella; ciò ha determinato una tradizione esecutiva che predilige una vocalità piuttosto generosa e, dunque, la preferenza accordata al repertorio classico-romantico e contemporaneo piuttosto che a quello antico. Tale scelta è legata anche al fatto che l’archivio storico della musica prodotta dai maestri del passato è quasi nullo fino alla fine del ’700 mentre risulta assai ricco nell’800 e nel ’900. Queste caratteristiche generali determinano naturalmente anche quelle del lavoro del Maestro di Cappella le cui mansioni si dividono tra quelle più squisitamente artistiche e quelle organizzative e gestionali. Il maestro istruisce il coro e lo dirige nelle esecuzioni, programma l’attività e sceglie il repertorio, convoca di volta in volta l’organico e gestisce budget a disposizione, compone musiche apposite, suona l’organo in caso di assenza dell’organista titolare, cura l’archivio e gestisce l’utilizzo delle partiture, cura e gestisce i rapporti con le autorità religiose e con quelle civili. Una pluralità di funzioni, tutte da interpretare secondo gli specifici compiti e modalità di lavoro tipiche dell’istituzione.
Da segnalare che le funzioni domenicali e molte di quelle festive sono radiotrasmesse in diretta dalla Rai del Friuli Venezia Giulia, aspetto che non è senza conseguenze sulle scelte musicali comportando il rispetto di prefissati tempi di trasmissione e particolari considerazioni sull’efficacia “radiofonica” e “liturgica” del repertorio.
Ecco dunque che, a causa della continuità e della frequenza quantomeno settimanale delle performances musicali, con la conseguente ristrettezza dei tempi di preparazione, il lavoro di concertazione deve essere assai rapido ed essenziale, mirato a “mettere in piedi” e a “far funzionare” una partitura nel minor tempo possibile, in questo differendo molto da quello svolto di norma nei cori amatoriali, anche di alto livello. Pure l’attività compositiva è sottoposta ai molti vincoli imposti dalle necessità liturgiche e dalla trasmissione radiofonica ma sta al compositore trovare, in questi apparenti condizionamenti, motivo di stimolo e di ispirazione anziché di disturbo.
Suonare, cantare e comporre per la liturgia è, infatti, evidentemente molto diverso dal farlo per un contesto concertistico ma certo non meno intenso e coinvolgente.
Tralasciando il caso del musicista credente, per il quale è ovvio vivere il proprio compito già di per sé come particolarmente importante e gratificante, chiunque abbia fatto musica all’interno di celebrazioni curate e attente conosce bene quale particolare atmosfera, quale clima di tensione emotiva e di magia quasi mistica si può sperimentare. Il contatto con il divino, con il mistero di un’Alterità che ci trascende e che si esprime nel complesso apparato simbolico e gestuale del rito, conferisce all’esperienza musicale e interpretativa un fascino unico e straordinario, se affrontata con le giuste motivazioni.
Come si può vedere, dunque, non si tratta assolutamente di un’attività musicale di “secondo piano” rispetto ad altre maggiormente “sotto la luce dei riflettori”, né per complessità né per varietà. Per la pluralità di competenze professionali che essa richiede, invece, non meno che per le peculiari modalità di lavoro, essa costituisce una sfida particolarmente stimolante per il musicista del XXI secolo permettendogli a un tempo una particolare vicinanza al glorioso passato che lo precede e la possibilità di esprimere compiutamente la propria sfaccettata personalità di artista contemporaneo.