E allora ci vuole un cantore consapevole, come recita il titolo di questo dossier dedicato a lui. Un cantore che sappia adattare la sua vocalità alla prassi dell’epoca a cui appartiene il brano che sta cantando. Questo necessita certamente dell’aiuto e dell’orientamento dato dal direttore, che però il cantore deve essere in grado di saper recepire: nella musica antica il cantore non deve usare il passaggio di registro, per rimanere nella tessitura adatta senza utilizzare il terzo registro; nella musica del periodo barocco deve avere facilità e dimestichezza nell’usare il diaframma nelle agilità e nel fraseggio staccato o quanto meno slegato; in quella romantica deve utilizzare la voce coperta, e sfruttare il terzo registro usando il classico secondo passaggio; nella musica moderna deve avere molta familiarità con le dissonanze non preparate e gli intervalli difficili ecc.
La seconda figura dà un’immagine decisiva su quale sia la grande responsabilità dei cantori al momento dell’esecuzione. Ci vuole molta consapevolezza (questo sostantivo e il suo aggettivo ricorreranno spesso e con consapevolezza all’interno di questo scritto…) da parte loro per fare quello che devono fare, sotto vari aspetti. Intanto sarebbe ottimo che avessero una certa capacità di lettura, che permetta loro di cantare in modo consapevole una linea melodica. Purtroppo, il divario tra un brano imparato per imitazione e un altro interpretato attraverso una lettura musicale consapevole è piuttosto profondo. La connotazione del primo appare faticosa e impegnativa, quella del secondo invece è fluida e comoda, in definitiva più convincente. Anche il repertorio, naturalmente, subisce un blocco davanti a una incapacità di lettura, lasciando fuori una quantità enorme di capolavori moderni.
Il cantore deve anche essere consapevole che deve aprire la bocca. Che brutte quelle foto corali con tutte quelle bocche semichiuse… Sappiamo tutti benissimo, magari in modo inconsapevole, che aprire la bocca significa mostrare al mondo la nudità delle proprie mucose interne e quindi intime. Per questo ho sempre pensato che i cantori che sono in grado di aprire la bocca siano persone che hanno fiducia soprattutto in se stesse, ma anche nel loro direttore. Potremmo anzi affermare che il grado di apertura della bocca del cantore è direttamente proporzionale alla stima che egli ha nel direttore. E poi non dimentichiamoci che la bocca aperta è una condizione insostituibile e inevitabile per emettere i suoni acuti.
Ma il cantore deve essere anche consapevole che alla base di tutto ci deve essere una buona respirazione. Altrimenti sarebbe come pretendere di lanciare una freccia senza aver messo in tensione la corda dell’arco. Purtroppo, non tutti i direttori dedicano sufficiente attenzione a questo aspetto, e si accontentano delle respirazioni vitali dei loro cantori. Queste però permettono di assumere solo mezzo litro di aria nei polmoni, a differenza di una respirazione diaframmatica che ne immette 6 litri, cioè dodici volte di più. In realtà sappiamo bene che non è tanto la quantità di aria inspirata a essere importante – o almeno non solo –, quanto la sua qualità. Si intende in questo caso l’attivazione o meno del diaframma che, una volta abbassato attraverso l’adozione di una buona respirazione, spingerà l’aria fuori, e con essa il suono, attraverso il suo movimento naturale di risalita.
La consapevolezza deve investire anche l’apparato muscolare del cantore, e non solo il diaframma. Il suo corpo non deve essere teso o rigido, soprattutto nella zona laringea, ma libero e rilassato. Questo per non impedire la libera oscillazione delle corde vocali, in modo da poter raggiungere una emissione comoda, confortevole e ben proiettata. Sono solito fare un esercizio di kinesiologia con gli studenti di canto, per dimostrare loro come basti uno spostamento di due millimetri della postura per indebolire inevitabilmente due muscoli lunghi e potenti come i bicipiti e i tricipiti: figuriamoci cosa può succedere ai piccoli muscoli delle corde vocali, che hanno una lunghezza media di 1,5 cm per le donne, 1,75 cm per i tenori e 2,3 cm per i bassi…Ah, dimenticavo: siate consapevoli, cari cantori, della assoluta necessità di guardare il direttore! Adesso ai direttori dico: abbiate un gesto che sia degno di essere guardato, che crei il suono, che stimoli il cantore a dare il meglio di sé…
Ma introduciamo con un breve sguardo generale le altre consapevolezze del cantore che sono trattate negli articoli di questo dossier, senza naturalmente anticipare nulla.
Lo potremmo definire semplicemente insostituibile. Già risultiamo in difficoltà per il fatto che non ci riesce facile ascoltare la nostra voce, sia per la posizione delle orecchie (rivolte in avanti per sentire un suono che ci raggiunge e non quello che si allontana da loro come la nostra voce), sia perché essa raggiunge le nostre orecchie anche per via interna, attraverso le tube di Eustachio. Questi due fattori modificano la nostra percezione a tal punto da rendere incredulo, estraneo, persino fastidioso, l’ascolto della propria voce registrata.
Questo aspetto rientra nella necessità della capacità di lettura musicale da parte dei cantori. Non ci sono applicazioni web magiche che possano sostituire il lavoro e l’esercizio personale per migliorare la lettura. Parafrasando Benigni e Troisi, bisogna provare, provare, provare, provare…
Qui possiamo dire: «ai miei tempi non c’era». Infatti, per questo Jovanotti ha la zeppola e io con Antonello Venditti abbiamo questa strana erre scivolosa e indebolita. Avessimo avuto a disposizione un logopedista avremmo sicuramente fatto esercizi per il frenulo linguale e avremmo sistemato la nostra dizione. Molti bambini hanno la esse come Jovanotti. Anche mio figlio ce l’aveva, ma con un po’ di esercizi fatti con me adesso ha una esse pulita e sibilante. Se ne avessi voglia potrei sistemare anche la mia erre, ma ormai mi ci sono affezionato… Sono molti invece i difetti che la logopedia può risolvere: la voce velata per deficit di adduzione delle corde vocali o per loro ipercinesia, oppure per difetti nella gestione del flusso aereo; la voce ingolata e quella fissa; i noduli, gli edemi, le disfonìe…
Alcuni numeri fa su questa rivista abbiamo pubblicato un dossier sulla voce, nel quale sia io che soprattutto il professor Franco Fussi parlavamo di quanto il riscaldamento della voce sia necessario e ineludibile. A conferma dell’importanza del riscaldamento – e per convincere i cantori di questo – abbiamo voluto inserire l’articolo di Clara Bertella, per aiutare i cantori a scaldare la voce anche in proprio.
La fisiologia della fonazione ha fatto passi da gigante nell’ultimo secolo, anche in relazione all’invenzione dei moderni macchinari adesso in dotazione ai foniatri. Eppure ciò che Garcia ha detto in passato mantiene in parte una sua validità, al di là degli sperimentalismi, delle innovazioni sacrosante e dei tentativi di apportare qualcosa di nuovo a ciò che è antico come l’uomo: la sua voce.
Magari potessimo imparare tutto divertendoci! Ma nell’apprendimento musicale questo è possibile se utilizziamo i giochi. Singoli o di squadra (per meglio dire in questo caso: di sezione) apportano i loro benefici senza affaticare, e anche senza appesantire il cervello con il solfeggio (parola sempre odiata, anche da chi non sa esattamente cosa sia). Buona lettura a tutti voi, cari cantori.