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Simone Campanini
La fantasia delle dita

di Davide Benetti
Dossier compositori, Choraliter 66, gennaio 2022

Conobbi Simone nel 2016 al Seminario europeo per compositori di Aosta e per entrambi fu una sorpresa. Lui rimase molto colpito da Arcova Vocal Ensemble, il coro che allora dirigevo, e io toccai subito con mano la profonda vivacità di scrittura celata dietro l’apparente severità del suo essere organista e ingegnere. Quella di Simone era una composizione che, seppur con scelte di ricerca ritmicamente vivaci e talvolta armonicamente ardite, non mancò mai di mettersi a servizio del coro laboratorio. 

Questa caratteristica così tangibile del modo di lavorare fu ciò che mi stimolò, qualche anno dopo, a cercare tra le sue composizioni dei brani che mi aiutassero ad affrontare l’iniziale costruzione del suono con il Coro Giovanile Italiano. Fu così che rincontrai Simone la scorsa estate, a Parma, di fronte alla Chiesa di San Francesco del Prato, dove con il CGI avevamo appena interpretato due sue antifone mariane. Qualche chiacchiera veloce tra i vicoli della città per poi sederci a cena. Qui un’ulteriore conferma. Alla domanda «Cantiamo qualcosa?» il CGI senza esitazioni ha attaccato il suo Regina caeli: i brani di Campanini convincono anche chi li canta ed è una questione non da poco.

Come inizia il tuo processo compositivo? Qual è il germe che abitualmente ti permette di dare avvio alla scrittura?

Nella maggior parte dei casi tutto inizia sulla tastiera del pianoforte. E qui pago la mia formazione essenzialmente tastieristica. Poi, certo, un progetto compositivo, grande o piccolo che sia, può nascere dalla lettura di un testo, nel caso della musica vocale, oppure da un’idea, un tema, un ritmo, che può materializzarsi apparentemente in qualsiasi momento, ma in realtà il contesto, l’ambiente che mi circonda, ha un ruolo importante: un bel concerto, di solito, è una situazione piuttosto stimolante. Ma per sviluppare queste idee, non c’è nulla da fare: ho bisogno di una tastiera e di “cercare” i suoni con le mani. Quando invece l’idea non c’è e devo veramente partire da zero, a maggior ragione ricerco il conforto della tastiera, confidando, perché no, nella “fantasia delle dita”.

Oltre a essere un compositore, sei organista e ingegnere del suono. Quanto questi mestieri condizionano il tuo processo compositivo?

Ancora peggio: ingegnere elettronico. L’acustica è arrivata alla fine degli studi, con la tesi, ed è quello a cui mi dedico tutt’oggi come programmatore, lavoro che mi piace e mi diverte. All’organo e soprattutto al mio primo insegnante, Francesco Tasini, devo tantissimo. Non ho un diploma di composizione, con l’università in corso sono riuscito a diplomarmi in organo, ma l’approccio analitico del maestro Tasini alla musica e la sua devozione al contrappunto mi hanno praticamente insegnato i rudimenti della composizione e anche molto di più. Tra l’altro è utile ricordare che nei corsi di organo del vecchio, ormai vecchissimo, ordinamento, tutte le prove d’esame avevano una parte compositiva importante, unico strumento tra quelli studiati in conservatorio con questa caratteristica. A ingegneria, invece, ho imparato prima di tutto a ragionare con la mia testa, perché la matematica quello insegna: a ragionare in modo consequenziale, non a fare i conti, poi a costruire cose con razionalità e metodo: e cos’è la composizione se non la costruzione di un’architettura? Un’architettura che può arrivare anche a essere molto complessa: ecco, forse all’università mi hanno insegnato anche a gestire e a organizzare la complessità.

n una tua nuova pagina cosa è meglio che emerga: il compositore o la composizione? 

Domanda curiosa… senz’altro l’opera. Poi va da sé che l’autore, lì dietro le quinte, ci sarà sempre.

Non vi è dubbio che il tuo stile compositivo sia permeato da una fresca ed equilibrata polifonia che non di rado sembra strizzare l’occhiolino ai grandi polifonisti del passato. Chi sono i tuoi maestri ispiratori antichi e/o più recenti?

Ti ringrazio per il bel complimento, fa piacere! La letteratura organistica e il contrappunto che ne contraddistingue una larga parte ha avuto e certamente ha un peso importante nel mio modo di scrivere; ma gli autori che amo e da cui spesso (sempre) mi piace prendere spunto non appartengono solo al mondo organistico, anzi. Penso a Bach (e chi non ci pensa?), a Mendelssohn, a Brahms, a Chopin, Rachmaninov, Franck, Debussy, Stravinskij, Prokofjev, Ravel… ma la scintilla per la musica corale è scoccata quando, da corista del coro Città di Parma che ora dirigo, ho avuto occasione di ascoltare e cantare i mottetti di Mendelssohn e Brahms: una folgorazione.

Stravinskij si arrabbiava con i direttori che non si attenevano perfettamente a ciò che era scritto. Tu con quale atteggiamento consegni le tue pagine agli esecutori?

Stravinskij poteva permetterselo. Io credo che le esecuzioni che ci hanno lasciato gli autori stessi delle loro opere sovente non siano le più convincenti. Certamente, in veste di interpreti, proponevano la loro visione e ti dirò che veder stravolte le intenzioni e quella parte del mondo interiore che ogni autore affida a una sua opera da interpreti scadenti o affetti da eccessivo protagonismo è proprio doloroso. Ed è esattamente quello che molto spesso accade nel mondo dell’opera lirica, e non per colpa dei cantanti. Ma quando, invece, un interprete cerca con sincerità e umiltà di accostarsi a questo “mondo”, trovando una chiave di lettura che esprima anche la sua interiorità, allora può veramente accadere qualcosa di straordinario e il compositore, con altrettanta umiltà, dovrebbe essere grato all’interprete per aver dato nuova vita alla sua creatura.

In che direzione si sta evolvendo la composizione per coro italiana?

Mi pare sia una realtà piuttosto vivace, grazie specialmente alle varie associazioni (Feniarco e affiliate, ma non solo) che si adoperano in più modi per mantenere vivo l’interesse e favorire la diffusione di musica nuova. Poi, è vero che gran parte di questa produzione è destinata a cori amatoriali, dal livello tecnico e musicale piuttosto variabile (con casi di vera eccellenza), e questo inevitabilmente condiziona il modo di scrivere. Occorre sempre trovare un equilibrio e non è facile, almeno per me, che subisco il fascino della complessità.

Dal punto di vista del compositore, ci dici quali sono alcuni pregi e i difetti dei cori italiani?

La qualità dei cori italiani è parecchio aumentata negli ultimi 20-25 anni, ci sono molte più occasioni di condivisione, confronto e crescita reciproca e, se è bello scrivere di pregi, non lo è scrivere dei difetti. Oltretutto io non credo proprio di avere una conoscenza così profonda della coralità italiana da poterne parlare. 

Se potessi cambiare qualcosa del sistema corale italiano, visto con gli occhi di un compositore, cosa ci sarebbe in cima alla lista?

Il sistema corale italiano è un raggio di sole nell’oscurità della considerazione di cui gode la musica in questo Paese, dove l’iniziativa dei singoli, delle associazioni e di coloro che vi operano investendovi il proprio tempo libero, cerca di porre un rimedio a un’impressionante carenza nella formazione culturale di base, dove i ragazzi che non frequentano una scuola con indirizzo specificamente musicale sapranno chi è Michelangelo, ma non sapranno mai chi è Mozart se non per altre vie. Cosa dovrebbe chiedere un compositore? Di ascoltare bella musica. Che non è necessariamente quella nuova e neppure quella antica più o meno conosciuta, ma quella che ci parla nel profondo.

Progetti musicali importanti per il futuro?

L’inverno scorso ho terminato un oratorio per coro, due solisti e orchestra da camera, un sogno che coltivavo da tempo; il prossimo sogno è eseguirlo. Ci sto lavorando e devo ringraziare chi mi sta aiutando. Poi ho già messo gli occhi su un testo per un altro progetto di ampio respiro, ma una cosa alla volta...

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