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Jubilate Deo

di Simone Campanini
Dossier Compositore, Choraliter 66, gennaio 2022

Tutto iniziò un inverno di ormai cinque anni fa. Mi trovavo a un concerto cui partecipava un eccellente coro italiano che aveva in programma un brano scritto proprio sul testo del Salmo 99, Jubilate Deo, appunto. Io mi ero affacciato da relativamente poco tempo alla realtà della composizione per coro, che dapprima coltivavo in modo quasi eremitico. Non conoscevo nessuno e nessuno conosceva me, ma alcuni recenti bei risultati alimentavano la mia permalosa creatività. Così come la alimentavano e continuano a farlo i più svariati generi di stimoli musicali, di cui la musica propriamente corale costituisce un insieme per nulla maggioritario; però quello Jubilate Deo, quel ritmo, quel testo ascoltati in quel pomeriggio novembrino diventarono un vero e proprio programma a cui, tuttavia, per mesi non sono riuscito a dare compimento, e per i motivi più vari: non ultimo l’aver già in lavorazione altri brani che desideravo terminare. Chi non scrive musica è talora suggestionato dall’idea, molto romantica, dell’ispirazione che, inaspettatamente, travolge il compositore il quale, da quel punto fino al termine della tempesta, altro non può fare se non gettar note sul foglio. La realtà è più prosaica e sovente l’ispirazione assomiglia più a una ricerca che a una specie di fenomeno medianico, così come la costruzione di un brano è un processo con un’elevata componente razionale, perché è il nostro contesto culturale che lo richiede. Tuttavia è vero che le idee, gli incisi musicali da cui prende avvio il processo creativo e che lo nutrono, possono davvero balenare in mente in modo inatteso e, direi, inconscio: le prime quattro battute del mio Jubilate Deo ne sono un esempio, visto che le ho “ricevute” in sogno. Come noto la memoria notturna è estremamente labile, per cui al risveglio mi sono precipitato al pianoforte a trascrivere quello che avevo sentito; non erano proprio le stesse note, la memoria stava già svanendo, ma il risultato mi sembrava buono e quello è rimasto.

Da lì ho recuperato il programma elaborato mesi prima: Jubilate Deo doveva essere un brano in più sezioni, coerenti al testo, dall’apertura fortemente ritmica, danzante, alternate a movimenti dal carattere più solenne, per una durata complessiva intorno ai cinque minuti, decisa in base ai bandi di alcuni concorsi che avevo consultato all’epoca. Conseguentemente ho cominciato a costruire uno schema formale del brano assegnando una durata indicativa alle sezioni e a suddividere il testo che, essendo piuttosto breve, necessitava di ripetizioni: così la parte iniziale, fino a battuta 23, è costruita come una ripetizione in crescendo di queste parole di lode che, dal profondo, si elevano sempre di più. Segue una sezione intermedia che si regge sul dialogo tra le parole «servite Domino» e «jubilate Deo», fondamenti della vita cristiana; tale sezione è modulante e ancora una volta costruita come un crescendo fino alla battuta 45, quattro misure di fortissimo, poi subito piano, sempre sulle parole «jubilate Deo», in diminuendo fino al termine della sezione, per farle scendere nel cuore.
Ho deciso di costruire una nuova sezione sulle parole «introite in conspectu eius» avendo in mente l’idea dell’uomo che si pone al cospetto di Dio, immaginando, allora, una corte regale a cui, nonostante tutto ciò che combina, questo piccolo essere viene invitato e l’ingresso non poteva che essere solenne, molto solenne.

Segue un bagliore di gioia sulle parole «in exsultatione» con accelerando dal piano al fortissimo, dopodiché una pausa generale riporta al precedente movimento solenne, ieratico: siamo sempre al cospetto di Dio, e un passaggio imitativo ci ricorda che Egli ci ha fatto, e che non ci siamo certamente fatti da soli [1]. Alla battuta 82 ricompare, in eco, l’inciso tematico iniziale «jubilate Deo», che il basso ripropone, quasi in ostinato, fino alla battuta 92; tale inciso è sempre riproposto nell’originale ritmo ternario sovrapposto ai 4/4 delle parti superiori che proseguono la scrittura imitativa – «populus eius et oves pascuæ eius» –, nuovamente in crescendo. Dalla battuta 93, «jubilate Deo» diventa una serie di risposte serrate prima tra tenore e basso, poi tra contralto, tenore e basso fino alla battuta 97 dove tutte le voci riprendono, forte e accelerando, il disegno ritmico ternario che porta alla ripresa del materiale iniziale; questa volta, però, tale materiale viene esposto dapprima dalle voci superiori poi, via via, da tutto il coro. La ripresa non ripete specularmente la prima sezione, ma dopo 23 battute lascia spazio alla conclusione del brano usando le stesse cellule ritmiche ternarie danzanti sulla parola «amen». Il salmo 99 (100) ha in realtà ulteriori due versetti che ho deciso di non utilizzare poiché, nello sviluppare il brano, avevo già materiale a sufficienza e mi piaceva l’equilibrio che si era venuto a creare tra le sezioni già scritte. L’armonia per quarte dell’esordio deriva da come si sono disposte le mie dita assonnate quella mattina sul pianoforte, nient’altro; per il resto la scrittura è sostanzialmente tonale, seppure spesso venga deliberatamente ignorata la sensibile.

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Note

  1. La più recente traduzione CEI del Salmo 99 (100), versetto 3, dice «egli ci ha fatti e noi siamo suoi», ma il brano è basato sulla Vulgata il cui testo recita «Deus ipse fecit nos et non ipsi nos».
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