Per queste ragioni dal punto di vista della costruzione sonora ho diversificato gli approcci comunicativi e stilistici per non “sterilizzare” le composizioni nella ricerca di risultati musicali e di effetti puramente fine a se stessi, ma per giungere alla tessitura di una trama poetica che vada qualche volta anche oltre il contenuto del testo (nel caso della musica vocale cercandone anche le suggestioni fonemiche) e oltre le forme musicali “classiche”, piegando le regole grammaticali e lessicali, siano esse provenienti dal linguaggio armonico modale/tonale, da quello seriale o improvvisativo e aleatorio, per costruire una libera tavolozza di contenuti espressivi e poetici. Il suono che si materializza grazie alla vibrazione e alla propagazione di onde è secondo me perfettamente malleabile e forgiabile alla concretizzazione di alcune espressioni umane come le rappresentazioni simboliche e fantastiche. Cercando di riassumere le principali caratteristiche tematiche ed estetiche delle mie composizioni originali si potrebbe dare il seguente quadro.
Due composizioni in particolare si contraddistinguono per questo tema.
La prima è …Quando quello sciamano della luna… (1984, rev. 2014), una suite sinfonica per orchestra (fl, ob, cl, fg, tr, cr, archi, arpa, timp). Ispirata a una mia poesia omonima, che ha una sua autonoma versione in altro brano corale, la composizione si muove nei tre movimenti allusivi allo stile e alle movenze delle danze della suite barocca ed espande l’immagine sonora al confine con il sortilegio di un rito esoterico di iniziazione dell’unione sponsale e amorosa: la luna si trasfigura in un taumaturgico sciamano dalle movenze danzanti e misteriose che danno luogo a una benaugurate liturgia dell’amore. La suite orchestrale, traducendo musicalmente il fascino misterioso, ipnotico e magico della cultura sciamanica, alterna episodi di sonorità dalla forza piena e travolgente alla rarefazione delicata ed esoterica in un linguaggio costantemente in bilico tra l’affermazione rassicurante della tonalità e la sensualità sonora della extratonalità.
La seconda composizione è il brano per coro femminile Incantesimo sciamanico su testo di Alda Merini, in cui il mistero ipnotico della precedente suite orchestrale, pur mantenendone l’atmosfera rarefatta in una dolorosa denuncia della solitudine umana, si trasforma nella sottolineatura fortemente espressiva di una breve luce di felicità espressa da un semplice gesto di affetto.
In Pape Satàn, per soprani e contralti (2006), il linguaggio musicale sul tema amoroso si fa ironico e dialettico: il famoso verso dantesco (Divina Commedia, Inferno, vii, 1) diviene lo spunto per un nonsense musicale in cui due attori nell’atto dell’approccio amoroso intessono il loro dialogo musicale con intonazioni metalinguistiche ricche di allusioni e sottintesi.
Questo tema, fondamentale in tutto il mio itinerario compositivo, è affrontato sistematicamente nella musica da camera, di cui porto alcuni esempi fondamentali: Poikilíai (1982, dal greco poikilíai = variegato di più colori), per quartetto d’archi. L’atmosfera ricca di sonorità a tratti evanescenti come in una visione onirica nel primo movimento si trasforma nel secondo movimento in un processo in cui il timbro di ciascuno strumento si smaterializza: le sonorità si fondono progressivamente in un unico crogiolo di linee e fasce che alternano tensioni e distensioni espressive in cui di tanto in tanto la materia sonora si fa quasi quasi cerebrale. Nel terzo si produce una sintesi dei due precedenti movimenti con un’impronta ritmica più marcata e un ritorno allo studio della materia sonora.
In Riverberi [PDF] (2010), per chitarra elettrica, la composizione snoda il suo percorso costruendo gradualmente l’enigma in questo caso se sia la chitarra elettrica che riveste anche provocatoriamente forme e stilemi classici, oppure siano questi ultimi a proporre una dimensione di ricerca tra la spazializzazione diafana e siderea e la materialità del suono elaborato con vari artifici tecnici.
Di Zodiacus, suite per chitarra (di cui segnalo anche la versione per organo e voce), riporto il commento di Angelo Gilardino nel suo libro La Chitarra moderna e contemporanea (vol. ii, Bèrben 1988, p. 175):
«L’esaltazione della policromia chitarristica, in un quadro dinamico-agogico assai movimentato, è la caratteristica più immediata…: oltre all’accattivante esuberanza coloristica, è dato di cogliere un’attenta dosatura del fraseggio, che Scattolin impernia soprattutto sulle affinità tra la “voce” della chitarra e la voce umana, con esiti espressivi forti e diretti».
Questa tematica si affaccia preponderante in alcune composizioni corali, come per esempio Hodie Christus factus est [PDF], per due cori, in cui sono la tecnica del delay e le conseguenti sovrapposizioni aleatorie a fare da contorno alla conosciutissima melodia gregoriana natalizia.
La ludicità dei materiali aleatori tratti dalle espressività metalinguistiche (riso, pianto, umore divertito, etc.) è oggetto specifico di alcune composizioni per cori di voci bianche, come Nonsense [PDF], per coro di ragazzi, composizione più volte premiata, o La pulce, su testo di Enzo Iacchetti, tratto dalla raccolta Il pensiero bonsai.
Nel medesimo sentiero espressivo si inserisce un altro brano premiato, In mezzo alla maggese (2012, rev. 2015), per coro (SATB) da camera.
Il testo pascoliano di Lavandare [PDF] fa riecheggiare nebbiose atmosfere coniugate a nostalgici rimpianti che si esprimono in malinconica dolcezza e lacerante rabbia. La melodia e la polifonia a volte lineari e a volte interrotte quasi da singulti vocali fanno da contrappunto a quella delicata introspezione psicologica e alimentano quel senso di un amore abbandonato e simboleggiato dall’aratro dimenticato nel campo che si staglia nella nebbia della campagna.
La medesima scelta di sviluppo timbrico nell’accostamento di diverse fonti sonore si trova in Quattro liriche (1. Alba, 2. Cielo e mare, 3. Rose in fiamme, 4. Sereno), dove la voce si unisce a quella dell’organo e di due flauti dolci per espandere la sonorità oltre i confini dell’immaginifico cadenzare musicale della poesia ungarettiana.
Trenodia, “[se]… questo è l’uomo” [PDF] [Audio] (per voce recitante, coro di voci bianche, coro satb, 2 flauti, archi, 4 flauti dolci, violino barocco, 3 viole da gamba, violone, liuto, arciliuto, armonica a bocca, fisarmonica, campane e perc.) è una pièce scenica in cui si alternano recitazione e musica vocale col corredo (ad libitum) di un’azione coreografica da impostare in maniera scarna ed essenziale. La parte recitata su cui è costruito un sobrio e quasi evanescente itinerario drammaturgico è costituita dalla lettura di una miscellanea di poesie e prose scritte da poeti e soldati che parteciparono o che scrissero sulla Grande Guerra: Renato Serra, Giuseppe Ungaretti, Piero Jahier, Aldo Palazzeschi, Emilio Lussu, Carlo Emilio Gadda, Paolo Monelli, Edoardo Sanguineti. Oltre al materiale musicale originale riecheggiano in maniera evocativa anche frammentarie citazioni di alcuni canti popolari che erano cantati nella “ordinaria consuetudine” della vita di trincea durante le pause, spesso lunghe e alienanti, dell’aberrante attività bellica. Trenodia non è un musical commemorativo, ma uno spazio temporale e sonoro di riflessione sull’agire dell’uomo, sulle motivazioni, sulle reazioni e la visione del soldato ben diversi da quella degli alti comandanti o del potere politico. La guerra come condivisione di un’esperienza negativa, in cui il potere appare totalmente alieno da un’interpretazione logica della vita e in tutta la sua dimensione di monstrum. La composizione si muove a “zolle” polifoniche, mettendo vicine forme musicali frammentate, elementi musicali tra di loro distanti e contraddittori, quasi allusivi a quel canto natalizio intonato dai due eserciti contrapposti che disubbidendo ai comandi fecero una tregua nella notte di Natale. La loro dispersione in mezzo alla recitazione li rende drammaticamente vivi e realistici, comunque molto diversi rispetto alla compiutezza della “canzone” che ne avrebbe offerto un “confezionamento” più distanziato, quasi come un esercizio estetico. La pièce si compone di cinque parti: i. Parodo (Preludio), ii. …frammenti… (Trenodia 1), iii. …echi… (Trenodia 2), iv. Per non dimenticare, v. Esodo (Catarsi). Il Parodo raccoglie alcuni dei materiali musicali e testuali che saranno sviluppati nelle altre quattro parti: i frammenti melodici sono in parte originali e in parte provengono da canzoni popolari alcuni dei quali noti come canti di “montagna” o degli “alpini”. Di questi Fa la nana è il canto guida che sottende tutto il Preludio; inserite in una miscela di alternanze e di sovrapposizioni, raramente le melodie raggiungono un’integrità autonoma: il contesto sonoro spaiato e alienante ne distorce l’originale significato e lo pone in un rapporto antitetico e conflittuale con il contenuto dei testi. Il terzo e quarto brano, …echi… e Per non dimenticare, sono composizioni originali in cui i testi poetici e letterari sono accostati in maniera dialettica fra di loro e passano dallo stato di recitazione a quella di materiale sonoro, diventando essi stessi il contenuto musicale e lo sviluppo drammaturgico. Soprattutto in Per non dimenticare, ispirata da Natale, la nota poesia che Ungaretti scrisse alla fine del 1916, l’atmosfera diventa maggiormente rarefatta: la composizione si affida all’alea, alla spazializzazione della fonte sonora e alla disintegrazione fonemica dei testi per amplificare musicalmente una sorta di narrazione dell’anomalia e delle conseguenze della guerra. In Esodo, in cui il coro seguendo la drammaturgia e la coreografia esce di scena, è costituito da frammenti musicali di tre diversi Agnus Dei: i frammenti, tratti dall’Agnus Dei di Samuel Barber, di Krzysztof Penderecki e dal mio Requiem, sono l’espressione catartica conseguente all’efferatezza e all’insensatezza della guerra, l’abbandonarsi rassegnato alla ricerca del “divino”, per trovare uno spazio all’esigenza umana di espiazione e di purificazione. La presenza degli strumenti antichi accanto a quelli “classici” nasce dalla ricerca di un linguaggio sonoro procedente verso la scarnificazione e l’essenzialità di una musica coerente con l’ambientazione dei testi poetici; così riesce più semplice distanziarsi dall’impronta sinfonico-corale tradizionalmente tipica della forma oratoriale “classica”.
La Passione secondo Marco, diversamente dalla tradizione oratoriale, mette in primo piano la raffigurazione del dolore di Maria davanti alla Croce (immagine che si collega all’atmosfera dello Stabat mater). Il resto della narrazione evangelica si muove per zolle sullo sfondo e si interseca fuori dalla narrazione temporale con questa immagine quasi in maniera surreale.
Lo scorrere del testo del Requiem [PDF], scritto per onorare la memoria dell’amico Giorgio Vacchi, ricercatore, compositore e fondatore del Coro Stelutis, vuole espandere progressivamente la dimensione simbolica della rappresentazione della polarità fra l’aspetto umano e quello divino del mistero della vita attraverso un meticoloso sviluppo dialettico fra il timbro corale e quello orchestrale sottesi da grande libertà di linguaggio.
La visione onirica di alcune precedenti composizioni costituisce l’interpretazione poetica che ho scelto per il testo della celebre favola di Perrault La principessa della cenere ovvero Cenerentola [PDF] (2003, rev. 2015), una fiaba in musica per ragazzi, per voce recitante, coro di voci bianche e femminili e orchestra da camera. La mia interpretazione colloca tutta la narrazione a eccezione della parte iniziale e finale in un’atmosfera completamente onirica: un sogno che sembra farsi realtà, ma dal quale nel finale Cenerentola è risvegliata ancora una volta dalle voci insistenti e poco rassicuranti delle sue sorellastre e della matrigna. La voce recitante, quelle bianche e femminili s’inseriscono in maniera determinante nella drammaturgia del racconto e danno un contributo decisivo allo sviluppo della narrazione musicale dell’orchestra sempre in una coerente sintonia con il percorso testuale.
Personalmente i poeti che più mi hanno illuminato per un approccio musicale sono stati Ungaretti, Merini, Saba, Pascoli, Marina Torossi Tevini, Emily Dickinson, Wilde, Dante, Shakespeare e, nella letteratura antica, Epicuro (scuola), Orazio, Alceo, Saffo. Di alcune composizioni corali ho scritto personalmente i testi per esempio per Estasi [PDF], Non ti perderò, Forse in lontananza [PDF] e Fruscio di foglie [PDF]. Uno dei brani più rappresentativi della dialettica con il testo si trova in Ulisse [PDF], in cui la poesia di Saba corrisponde alla visione pessimisticamente rassegnata dell’uomo che è destinato a continuare, diversamente dall’eroe omerico, nel suo viaggio senza un approdo sicuro e definitivo: le modulazioni cadenzali poste nell’introduzione e a chiusura delle varie frasi musicali, l’accostamento improvviso di episodi emotivamente molto differenziati e la forte pulsazione ritmica vogliono sviluppare la dolorosa riflessione poetica sulla continua peregrinazione, che nega un definitivo approdo dell’esistenza umana, e sulla sua condizione di perenne incertezza.
Alcune composizioni riflettono un percorso retrospettivo, ma in chiave moderna, della polifonia antica di carattere medievale, come Proverbi [PDF], in cui si avvicendano i testi di sei delle ventiquattro sentenze morali che si trovano sulle pareti del cortile interno al castello di Fénis, vicino alla città di Aosta; la composizione si articola in una forma di “contrasto”, in cui i settori femminile e maschile si contrappongono alternandosi nell’enunciazione dei proverbi; un terzo settore composto da contralti e tenori funziona da collegamento fra i “contendenti”.
In Tre carmi [PDF] la forma è parzialmente riconducibile al sistema compositivo del mottetto medievale, basato sulla sovrapposizione di tre testi e sull’uso della talea e del color, procedimenti che articolano la natura ritmica della linea melodica. La coesistenza di tre testi di diverse epoche nasce dall’intento di accostare tre diverse riflessioni sulla vita (Orazio, Shakespeare, Saba): l’antica forma medievale costituisce un’allusione di carattere architettonico, volta a sottendere un’espressività moderna e autonoma rispetto a quei procedimenti.
Nella Cantata a zampogna (2004, per SSA, zampogna e percussioni), i testi sono liriche di Alceo e Orazio. Il brano vuole esprimere l’atmosfera di allegrezza che si trasforma in una danza processionale all’annuncio della morte del tiranno: gli strumenti a percussione enfatizzano in maniera determinante gli snodi formali della composizione. Il suono vocale si mescola con il suono della zampogna che con la sua forza indica lo slancio di una ribellione popolare che ha avuto buon esito. Alceo plaude alla morte di Mirsilo e Orazio, facendogli eco, similmente per quella di Cleopatra.
Un caso a parte è l’elaborazione del brano dei Beatles Eleanor Rigby [PDF], in cui i materiali ritmici e melodici sono stati sezionati in segmenti che sono reimmessi in un percorso contrappuntistico quasi di tipo “storico”, facendone una composizione autonoma e originale.
Vorrei qui segnalare tre composizioni: Missa brevis [VIDEO] (2014) per Schola cantorum (SA) e assemblea (coro maschile). Nelle cinque parti fisse della messa, il riflesso della levigata plasticità della polifonia antica si fa più evidente. Il testo liturgico della Missa è trattato in maniera sobria ed essenziale (brevis) e la vocalità risalta con espressività ricca e attualizza le caratteristiche specifiche di ciascuna delle cinque parti fisse della Messa. Le voci maschili si aggiungono contrapponendosi o fondendosi con le voci femminile soliste per creare nella forma l’inserimento responsoriale dell’assemblea. Il brano è scritto in onore di S. Girolamo della Certosa di Bologna.
Il secondo brano è Motetus [PDF], una breve composizione in cui il conciso testo si spoglia della sua compattezza semantica per articolare fonemi e suoni sillabici come entità a sé stanti, inserite in un contesto di articolazioni consonantiche indipendenti dal testo: si entra così in quel mondo sonoro complesso e del tutto diverso che i compositori moderni hanno in varie maniere esplorato e continuano ad approfondire con ottimi risultati artistici.
In questa direzione si muove anche la terza composizione, In Paradisum deducant te Angeli [PDF] (per SA, 2008) in cui la melodia gregoriana (un’antifona tratta dal Proprium della liturgia dei morti) è utilizzata per un’elaborazione a due voci (accompagnata da una piccola azione scenica) allusiva alle prime diafonie vocali, il cosiddetto cantus planus binatim di origine medievale, e ricollocata in un’atmosfera moderna tesa a sottolineare anche gli aspetti drammatici della liturgia mortuaria.
Vorrei citare Un altro Orfeo ovvero il ritorno di Euridice. Questa pièce musicale e teatrale nasce dall’idea di configurare alcune diverse rappresentazioni del mito, anche tramite opportuni interventi coreografici. Ho preso in considerazione le principali e diverse interpretazioni del mito orfeonico che si sono diversamente ramificate negli esiti testuali e musicali, riguardo all’introspezione e al significato, dall’antichità fino alla contemporaneità soprattutto in riferimento alla figura di Euridice. Per il finale è stata scelta la versione originale del libretto di Striggio, in cui Orfeo è drammaticamente alla mercede della vendetta delle Baccanti; questo finale è stato musicato da me appositamente per quest’occasione, poiché l’originale monteverdiano è andato perduto. Alla poliedricità interpretativa e drammaturgica del mito si è preferito disporre invece un unico tracciato musicale corrispondente per larga parte all’Orfeo monteverdiano, che in questa pièce è inframezzato da alcune brevi composizioni musicali ispirate ai testi aggiunti e che contrappuntano la drammaturgia complessiva. Le musiche aggiunte sono di Berio, Debussy, un bicinium da manoscritto medievale di musica catalana, Claudia Spahn, Scelsi, Barber e quattro mie composizioni originali, fra cui il finale Le Baccanti, per coro e orchestra. Le poesie aggiuntive sono di Virgilio, Ovidio, Poliziano, Browning, Borcas, Rilke, Pavese, Milosz e Bufalino.
Personalmente mi affascinano tutti i processi artistici dove l’elaborazione (quindi non sempre o solo l’invenzione) dia lo spunto per incardinare forme e processi sonori. In questo senso, il canto popolare, per ricchezza ritmica (spesso sconfinante nella poliritmía), la presenza di strutture melodiche micro-intervallari, l’emissione vocale alcune volte di impostazione laringea e la funzionalità insita nella propria ragion d’essere, hanno costituito elementi fondamentali che si sono anche espressi con forza non solo nelle elaborazioni di quei materiali, ma in molte delle mie composizioni originali sia strumentali che vocali. Soprattutto nell’ultima produzione mi sono interessato all’elaborazione non come processo di applicazioni di schemi armonici in grado di sottendere una linea melodica “popolare” ma, attraverso uno studio del dato etnofonico direttamente espresso alla fonte dagli informatori, mi sono posto l’obiettivo di una ricerca stilistica che raggiunga l’amplificazione polifonica ed espressiva di un canto derivandone direttamente le basi dalle sue originali caratteristiche sonore, in cui fra l’altro sono presenti anche caratteristiche polivocali che possono offrire spunti decisivi per l’elaborazione musicale. Questo è il caso del canto religioso siciliano Sarvi Rriggina, arricchito anche da un’elaborazione elettronica, e delle Lamentazioni, nate dalla commistione di due canti funebri della cultura Arbëresh del territorio molisano, dedicati e registrati dal trio di voci femminili LatinoBalcanica Ensemble di Bologna. I
n Fa la nana, per soprano, contralto e violino, l’elaborazione del conosciutissimo canto proveniente dall’Appennino bolognese vuole ricreare l’atmosfera intimistica dell’attività del cullare e dell’addormentamento infantile. Il testo, mai gridato anche nei momenti di maggior tensione, contiene l’idea di uno sfogo intimo, che in questa elaborazione non diventa la corale denuncia sociale della condizione femminile, semmai un chinarsi senza ribellione a una cultura arcaica. Il tema è avvolto in un secondo elemento come un controcanto melodico spesso affidato al violino ed è costruito da un andamento con note distanti fra loro, per indicare il movimento altalenante del cullare.