Cookie Consent by Free Privacy Policy website

Educare alla musica corale
Intervista a Mauro Marchetti

di Rossana Paliaga
Portrait, Choraliter 46, aprile 2015

Una linea continua, che dall’esperienza del coro scolastico conduce alla scelta del coro come attività musicale, artistica, associativa, a un livello proporzionale al percorso che ognuno ha avuto l’opportunità di intraprendere nella propria formazione corale: così Mauro Marchetti vede lo sviluppo ideale di una coralità di qualità. La sua idea nasce da esperienze artistiche personali di particolare rilievo e dall’impegno nello sviluppo della coralità scolastica e infantile che da sempre rappresenta uno degli aspetti peculiari della sua identità specifica di direttore di coro. Muovere i primi passi tra la Scala e Santa Cecilia ha impresso alla sua successiva carriera di direttore una direzione precisa: occuparsi di canto corale amatoriale guardando ai modelli professionali.

Quanto è stata determinante la sua personale, esperienza nel coro di voci bianche per mantenere e sviluppare un rapporto duraturo con la coralità? 

Essere nato musicalmente nel Coro di Voci Bianche dell’Arcum di Roma è stato fondamentale. La capacità e la competenza del suo maestro, Paolo Lucci, ha di fatto innescato un meccanismo nella mia personalità musicale che ancora oggi custodisco gelosamente come la vera scuola corale, che è al tempo stesso musicale e umana. Quel coro mi ha permesso di vivere e respirare esperienze uniche, in una ricerca continua di novità. Si passava da una registrazione con Morricone a una Ottava di Mahler all’Accademia di Santa Cecilia, da una Tosca al Teatro dell’Opera agli incontri con compositori quali Mortari, Giuranna, Boreggi, Tocchi, Rota. Nei miei primi vent’anni ho raccolto esperienze che sarebbe stato difficile riscontrare in musicisti già in carriera, un valore di gran lunga superiore alle molte ore di lezione che si consumano nei conservatori. 

La sua è un’esperienza professionale internazionale sia a livello di mentori che a livello di attività. Cosa le ha portato il contatto con culture e approcci alla coralità diversi dall’esperienza italiana?

All’estero ho apprezzato la capacità diffusa di credere davvero nella coralità come elemento di crescita e sviluppo. La presa di coscienza dell’utilità di creare una cultura corale ha posto le basi di un sistema piramidale che ha permesso lo sviluppo di eccellenti cori universitari e di voci bianche. Nel nostro paese purtroppo siamo stati capaci di gettare al vento anni di storia. Basterebbe pensare che abbiamo fatto sparire il coro di voci bianche della RAI, diretto da Renata Cortiglioni, che per anni ha fatto cantare centinaia di ragazzi, con prove quotidiane. Fortunatamente le cose sono profondamente cambiate negli ultimi decenni. Il risveglio del nostro mondo corale si nota, frutto di un lavoro quasi nascosto, lento, ma presente. Basti pensare alle scuole. Penso di essere stato il primo a creare un coro in un liceo: era il 1983, il mio esordio come direttore. Molti di quei ragazzi oggi continuano a cantare, nei cori amatoriali e addirittura nel Coro dell’Accademia di Santa Cecilia. Ho sempre cercato di lavorare durante le ore dedicate all’attività didattica, evitando di fare coro nei pomeriggi. Se sappiamo coltivare bene giovani coristi in ambito scolastico, avremo sicuramente futuri cantori dei nostri cori giovanili e di adulti. Negli ultimi anni quasi tutti i licei hanno avviato un coro, anche se spesso questa attività viene affidata a collaboratori esterni, non sempre adeguatamente preparati, magari con una scarsa conoscenza del repertorio e delle capacità dei ragazzi. 

Come insegnante di direzione di coro avrà certamente evidenziato gli errori più frequenti nell’approccio e nelle scelte di repertorio, le convinzioni più o meno condivisibili, i cambiamenti degli ultimi anni…

Questo è un argomento che mi sta molto a cuore. Purtroppo devo verificare una carenza, tra i nostri direttori, di curiosità e capacità di saper cercare, scoprire, trovare il nuovo. Non mi riferisco soltanto alla composizione del nostro tempo, alla sensibilizzazione dei compositori a scrivere per coro, ma soprattutto al non saper riscoprire e valorizzare il repertorio del passato. Quando oggi sento parlare di repertorio, o leggo programmi di concerti, vedo sempre i soliti nomi, i soliti brani. Eppure abbiamo un grande patrimonio, che oltretutto è pubblicato e quindi facilmente fruibile. Anche Casa Ricordi commissionava composizioni che venivano poi stampate in eleganti fascicoli. Quanti vi hanno posto mano? Non entro nel merito delle ultime mode corali, ma se non poniamo attenzione anche e soprattutto al repertorio creato e pensato per il coro, difficilmente riusciremo a trasmettere l’idea di coro, nel suo significato più alto. 

Ogni coro ha un carattere specifico, molto evidente soprattutto quando si tratta di coristi giovani. Come definirebbe la personalità del Coro Città di Roma?

È un coro giovane e in continuo cambiamento. Ci sono cantori che arrivano e altri che lasciano, con la continua necessità di tenere alto il livello e non snaturare quelle che sono le linee guida. Il maestro ricopre un ruolo fondamentale per mantenere non solo lo standard del coro, ma soprattutto quel personale suono che lo caratterizza. Il Città di Roma predilige il repertorio del ’900 e gran parte del suo lavoro è indirizzato verso la conoscenza del nuovo, anche attraverso il coinvolgimento degli autori stessi, tra i quali compositori italiani come Michele Josia, Manolo Da Rold, Lorenzo Donati e Piero Caraba. Uno dei principali valori del nostro coro è la diffusione della coralità attraverso ogni canale, dall’esecuzione alla registrazione, dalle rassegne ai brani commissionati per concorsi. 

Quanto può essere utile, stimolante, determinante per i coristi il contatto diretto con i grandi protagonisti della coralità mondiale?

Mettere il proprio coro nelle mani di un altro direttore è cosa saggia, ma soprattutto dona qualcosa in più al cantore. Il Coro Città di Roma si è prestato ad altre mani per occasioni particolari: con Ennio Morricone (per concerti in giro per tutta l’Italia e l’Europa, incisioni discografiche come Focus con Dulce Pontes, sceneggiati televisivi) ma anche con Maurice Jarre e tanti altri direttori che hanno accettato l’invito a condividere il proprio sapere con i cantori. Abbiamo avuto il piacere di lavorare con Eric Whitacre, che ha scritto su nostra commissione Nox aurumque, Javier Busto ci ha donato Tu venias, Bob Chilcott ha affrontato un repertorio che ruota intorno alla figura di Benjamin Britten nel centenario della nascita, Paul Crabb ha lavorato su Whitacre, così come David Skinner su Thomas Tallis. Credo che sensibilizzare il cantore a un nuovo gesto, a un modo nuovo di far musica, a leggere le intenzioni del compositore, sia di fondamentale importanza per il singolo corista e per il coro intero; lo rende più maturo e lo mette continuamente a dura prova. La caratteristica dei nostri incontri con l’autore-direttore, denominata ROMAinCORO, vuole essere anche una sorta di scuola per giovani direttori. 

Ci sono poi i grandi eventi, dal Campidoglio all’Arena di Verona, oppure le colonne sonore per cinema e televisione, esperienze molto particolari per un coro. Da una parte è un modo per gratificare i coristi, dall’altra però esprime un concetto della coralità che può e deve puntare anche a una maggiore visibilità in quanto genere.

È un modo per gratificare il coro, ma credo sia anche una possibilità di crescita con esperienze che segnano la vita di ognuno. Sono dell’idea che un cantore debba poter provare ogni forma di spettacolo ed esecuzione, dalla messa cantata presso un ospedale per bambini alla prima esecuzione di un nuovo brano di Giorgio Battistelli. Ritrovarsi di fronte a un microfono in sala di incisione per cantare un brano di Morricone per un film, che inevitabilmente il coro non ripeterà mai più, è un’esperienza unica che il coro ha la fortuna e il dovere di affrontare, così come affiancare un gruppo pop o heavy metal. Credo di appartenere alla categoria dei musicisti e non a quella dei direttori di coro o, nel mio caso di strumentista, a quella degli arpisti. Bisogna essere completi e sapersi muovere in più ambiti, avendo ovviamente cura di affrontarli con competenza.

I cori amatoriali frequentano spesso repertori con i quali il largo pubblico ha poca dimestichezza, ad esempio la musica rinascimentale e contemporanea. Abbiamo il pubblico per la coralità amatoriale di alto livello?

Se pensiamo a quanti cori abbiamo nelle nostre città, possiamo facilmente calcolare un elevato numero di cantori che potrebbero rappresentare il nostro potenziale pubblico. Ritorniamo così al ruolo del direttore e alla sua capacità di saper coinvolgere. Il pubblico va creato, proponendo iniziative, progetti e programmi che sappiano attirare l’attenzione. Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti. Di contro posso però dire che le innumerevoli volte che abbiamo organizzato concerti con cori diretti da maestri del calibro di Graden, Kuret, Hogset, oppure direttori ospiti come Whitacre, Chilcott e Busto, mi sarei aspettato una partecipazione più massiccia, proprio da parte di quel pubblico di cantori e direttori di coro! 

Oggi per un coro che voglia crescere e poter presentare un curriculum degno di attenzione, è necessario partecipare ai concorsi (e possibilmente vincerli). Cosa pensa di questa tendenza?

Partecipare a un concorso offre sempre visibilità, se lo si vince ancora di più. Ma purtroppo non è sempre così. Nel mio caso specifico, ad esempio, l’aver vinto a un concorso come quello di Varna in Bulgaria, con conseguente partecipazione al Gran Premio Europeo, ha avuto meno visibilità rispetto ad altri progetti da me proposti. Il concorso rimane pur sempre un brevissimo momento nell’attività di un coro. Ci si arriva dopo mesi di preparazione e tutto si consuma in un quarto d’ora. A volte mi domando: ne vale davvero la pena? Se parliamo in termini associativi, sociali e umani probabilmente sì, perché si condivide un momento di altissima tensione emotiva, mettendo in risalto quella vena agonistica che abbiamo dentro di noi, la capacità di fare gruppo ed emozionarsi insieme. Al tempo stesso penso però che non sia necessario partecipare e vincere un concorso per avere un curriculum migliore. Ci sono cori che, pur non avendo mai messo piede su un palco di concorso, sono comunque presenti nelle nostre menti. Dobbiamo saper proporre alternative ai concorsi e non considerarli sempre un trampolino di lancio.

In quanto membro della commissione artistica Feniarco è chiamato a proporre indirizzi di crescita e orientamento artistico a una realtà nazionale che sta vivendo un grande sviluppo, riconosciuto ad ampio raggio. Quali sono le sue linee e i suoi principi in questo settore?

Feniarco, così come le associazioni regionali, si muove da molti anni nella coralità con sapienza e competenza. Deve dare voce ai cori e sensibilizzare le nostre associazioni a perseguire un indirizzo comune, quello di riuscire a vedere un’unica finestra aperta, globale, che riesca a far confluire al suo interno le centinaia di realtà locali. Parlando a titolo personale, ritengo necessario credere in una grande e unica realtà, slegandola pian piano dalle singole realtà regionali. Bisogna inoltre continuare a credere nella scuola, unica fonte di rifornimento dei nostri futuri cori. Investire sui giovani, creare il pubblico del futuro, formare i giovani direttori, riuscire a entrare nei conservatori per creare un collegamento con il mondo accademico, sensibilizzare i teatri e le istituzioni concertistiche affiancandole nelle scelte repertoriali e gestionali di un coro. Abbiamo ancora molta strada da fare, ma è anche vero che il fermento creatosi da qualche decennio ci porterà sicuramente verso interessanti prospettive future. Bisognerebbe scrollarsi di dosso questa etichetta di dilettantismo e di attività ricreativa che molto spesso genera una errata cognizione del fare musica. Abbiamo validi direttori di coro in Italia, dobbiamo credere nel nostro saper fare e affidarci alle loro mani.

Biografia di Mauro Marchetti

Mauro Marchetti è nato a Roma. Ha fatto parte del Coro di voci bianche dell’Arcum, partecipando in qualità di solista a opere liriche presso la Piccola Scala di Milano, il Teatro Comunale di Treviso, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il Teatro dell’Opera di Roma, sotto la direzione di Bernstein, Sawallisch, Sinopoli, Pretre.
Diplomato in arpa, ha tenuto concerti come solista e in formazioni cameristiche, collaborando, tra l’altro, con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il Teatro dell’Opera di Roma, l’Istituzione Sinfonica Abruzzese. Come direttore di coro si è formato sotto la guida dei maestri Paolo Lucci, Gerhard Schmidt-Gaden, Peter Neumann, Gary Graden, Stojan Kuret. Ha fondato e diretto vari cori tra i quali: dal 1983 al 1987 ha diretto il Coro XXIV Liceo Sperimentale (primo coro di Liceo in Italia), dal 2000 al 2002 è stato maestro del Coro di Voci Bianche Musica per Roma, dal 2003 al 2005 è stato maestro del Laboratorio Voci Bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (primo direttore dalla fondazione del coro). Dal 1992 è direttore del Coro Città di Roma, con il quale ha partecipato a numerosi festival e concorsi in Italia e in Europa.
È membro della commissione artistica di Feniarco. È stato più volte membro di giurie di concorsi corali e di concorsi di composizione corale. Viene spesso invitato a far parte di giurie di concorsi nazionali e internazionali di canto corale e tiene regolarmente masterclass sulla direzione di coro. Ha ottenuto riconoscimenti in concorsi corali regionali, nazionali e internazionali (Varna, Gorizia, Arezzo, Maribor, Roma, Vallecorsa, Rieti). Attualmente è docente di Direzione di Coro a Messina. Ha vinto il premio Mariele Ventre come miglior direttore al 57° Concorso Internazionale Guido d’Arezzo 2009 e il premio come Miglior Direttore al 32° Concorso Internazionale di Varna (Bulgaria) nel 2010.

Ti potrebbero interessare anche:

Questo sito utilizza cookies propri e di altri siti. Se vuoi saperne di più . Continuando la navigazione ne autorizzi l'uso.