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In coro per la pace
Le mille voci del Friuli Venezia Giulia al Sacrario di Redipuglia

di Ivan Portelli
dossier "Speciale Grande Guerra", Choraliter 57, gennaio 2019

In Friuli Venezia Giulia il centenario della Grande Guerra ha visto il mondo corale protagonista di numerose iniziative. Una proposta ricca, inevitabilmente legata all’impatto emotivo che il ricordo del primo conflitto mondiale ha in questa regione, dove il fronte è passato in tutta la sua tragicità. Terra complessa questa, in parte della quale la guerra è iniziata già nel 1914, con i tanti soldati partiti sotto le insegne austriache dal Goriziano e da Trieste.

L’Usci Friuli Venezia Giulia ha voluto proporre come momento conclusivo di condivisione di questo anniversario un concerto a Redipuglia il 16 settembre. Davanti al Sacrario più grande d’Italia, dove riposano 100.000 caduti italiani, e vicino a un cimitero austro-ungarico che ospita 14.550 salme, nel piazzale delle Pietre d’Italia ai piedi del colle Sant’Elia, si sono esibiti novecento coristi provenienti da oltre cinquanta cori della regione e la banda provinciale dell’Anbima di Gorizia diretta da Fulvio Dose.
In coro per la pace: titolo che esprime la volontà non di celebrare ma di ricordare prima di tutto la sofferenza e il dramma umano che la guerra ha portato con sé, e l’impegno a non perdere una memoria che non vuole essere nostalgia, ma speranza. Come ha scritto Alma Biscaro nella presentazione del concerto, «diffondere le arie e le melodie legate al periodo della Grande Guerra nei territori che ancor oggi portano in sé i segni di quell’evento e delle sue conseguenze consentirà alle nostre comunità di fermare l’attimo per lasciare spazio a un pensiero potente che ci richiama all’essenza del vivere, all’ineluttabile bisogno umano di credere in qualcosa di intangibile, di sperare che esista sempre la possibilità di un mondo migliore da lasciare a chi ci seguirà, impegnandoci attivamente a costruirlo».

Il programma musicale prevedeva momenti diversi. In apertura un lungo brano di Franco Arrigoni, Come d’Autunno, per tenore e banda, che raccoglieva molte delle melodie più note dei canti militari e di guerra; a seguire, in continuità con il concerto di Verona del 24 maggio 2015, la proposta della Missa brevis di Jacob De Haan, per banda e coro, quale momento di ideale preghiera per tutti i caduti; poi quattro brani a loro modo simbolici, nelle principali lingue della nostra regione: Stelutis alpinis, Ai preât la biele stele, Oblaki so rudec˘i e Signore delle cime, diretti rispettivamente da Arnaldo De Colle, Alessandro Pisano, Janko Ban e Gianna Visintin.
A conclusione gli inni nazionali di Italia, Austria e Slovenia, e l’inno europeo Est Europa nunc unita.
Ad alternarsi con i brani musicali, le letture dell’attore Massimo Somaglino, che ha proposto una serie di testi particolarmente significativi: Viatico di Clemente Rebora, due pagine di diario legate a celebrazioni di messe da campo, un lungo estratto da Trincee di Carlo Salsa e due passi di Giuseppe Ungaretti (scritti uno a ridosso della guerra e uno molto tempo dopo). Pagine che finivano per commentare i canti e i suoni attraverso la parole di protagonisti diretti del conflitto, capaci di darne una dimensione di sofferta autenticità.

Nel concerto di Redipuglia suoni e parole venivano a costituire in primo luogo un percorso di memoria. Il canto, che contiene in sé entrambi, nella sua sintetica efficacia, permette di fissare ricordi e sensazioni. Ci sono ovviamente tantissimi esempi di brani che raccontano la guerra o che la rielaborano a posteriori. In questa occasione si è cercato di uscire da una lettura celebrativa per cercare di far sentire la voce dell’umanità composita travolta dall’esperienza bellica. Un’umanità piena di sofferenza, magari anche sostenuta da volontà e valori profondi, ma messa davanti a situazioni decisamente inumane. La scelta dei canti ha voluto poi tener conto delle diverse lingue e quindi delle diverse comunità di queste complesse terre. Non è quindi un caso che si sia cantato in italiano, friulano e sloveno.
Ogni brano ha una sua storia e propone un suo racconto dell’esperienza bellica (e non solo): il doloroso canto del soldato sloveno che spera di poter tornare a casa, la preghiera in friulano della moglie che spera che il Signore fermi la guerra e che faccia tornare a casa il marito, il canto nato nella profuganza dopo Caporetto che racconta il duro fronte della montagna friulana, il canto che, pur non essendo nato nel mondo della guerra, è stato fatto proprio dagli alpini e da tutti i cori come momento di sentito ricordo di tutti i defunti.

Così le letture: senza indugiare nella retorica dell’eroismo si è voluto cogliere proprio il dato umano, le preoccupazioni, le domande, la tragedia. Non vi è migliore invito alla pace che ricordare la realtà tremenda dell’uomo che uccide un altro uomo senza in fondo avvertirne la necessità.
Non è semplice elaborare una memoria così complessa per questa nostra realtà. Si rischia di uscire da una retorica per assumerne un’altra. Forse rimettendo al centro della nostra riflessione l’uomo, con tutte le sue esigenze, storie e valori, si possono superare quelle difficoltà che hanno lacerato comunità e famiglie, negato o imposto memorie, trasformato luoghi e persone.
Il momento del canto, esperienza di condivisione, è uno strumento con cui raccogliere i vissuti personali e collettivi, capace di fissare emozioni e sentimenti oltre che memorie non sempre fissate a dovere o non sempre facili da rivivere.

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