Nell’attività regolare dei cori, la cura dello strumento-voce raramente rientra nelle priorità…
Non posso dare una regola universale su modalità e priorità. Ovviamente
io non posso esimermi dal guardare all’attività corale anche attraverso la
lente professionale da foniatra e quindi, secondo me, una delle priorità nell’approccio
al corista è innanzitutto inquadrare a grandi linee la corretta estensione e
tessitura. Questo è già un grande lavoro e una grande responsabilità, anche
perché ci sono tante realtà vocali estremamente dissimili una dall’altra. Nelle
formazioni che utilizzano coristi con una tecnica vocale evoluta e con alle spalle
un percorso di maturazione musicale, l’individuazione dell’ambito tessiturale è
secondaria alla selezione per timbro, dinamica e velocità di lettura e
apprendimento della parte. Quando ci si trova invece di fronte cori dove si fa
anche formazione con soggetti nuovi che non solo non hanno esperienza vocale,
ma proprio non hanno mai cantato, la classificazione è molto più difficile
perché hanno ovviamente lacune tecniche di emissione, quindi si possono
commettere errori che saranno in alcuni casi penalizzanti a livello psicologico
e vocale. Inoltre l’imprinting del tipo di suono che devono emettere può condizionarli pesantemente per
il resto della loro carriera, seppur amatoriale, di coristi quando non arrecare
anche patologie cordali.
Una volta individuati gli ambiti vocali, sarebbe fondamentale proporre a queste voci il repertorio adeguato alle loro possibilità…
Personalmente non ho mai diretto cori formati esclusivamente da cantori
esperti, ma ho sempre formato coristi, quindi per me il fatto di creare “nuove
realtà vocali” è stato un fenomeno predominante rispetto alla determinazione
della letteratura corale, che ho sempre scelto non in base a quello che mi
piaceva, ma nell’ottica di non condizionare pesantemente la vocalità dei miei
coristi. Questo è secondo me il primo grosso dilemma che un direttore di coro
deve porsi in maniera etica. L’altro grande spartiacque si pone invece tra
quello che si vuole fare a livello di didattica e quello che si vuole fare per
ambizione personale. Ci sono repertori che adoro ma che non ho mai affrontato
perché ritengo non siano adeguati al mio coro. Ovviamente questo può essere
frustrante per i coristi che si sentono più evoluti e rodati e ambirebbero a
qualcosa di più. La scelta del repertorio che tenga conto della salute vocale
del gruppo non suscita necessariamente gratitudine nel singolo corista, il quale
tuttavia non sempre è capace di una lettura critica del proprio status quo di
emissione vocale. Soprattutto l’imprinting
psicologico della prassia fonatoria non corretta può essere pesante: si
può acquisire e automatizzare una modalità di emissione della voce cantata che
sarà difficilissima da rimodellare in mancanza di seri studi di tecnica vocale.
L’impostazione di base della vocalità del corista è estremamente importante.
Anteporre la scelta del repertorio alle competenze vocali che attualmente si
hanno a disposizione può comportare un adeguamento della risorsa vocale alle
pianificazioni musicali, con conseguenti usi impropri, specialmente nella
classificazione del corista.
Ci
sono grandi differenze tra chi inizia a fare attività corale da bambino e chi
inizia da adulto?
Dipende
sempre dall’esperienza che si intraprende. Conosco persone che hanno cantato da
bambini e sono diventati eccellenti professionisti vocali, ma nella mia
esperienza foniatrica ho visto anche molti soggetti che hanno cantato nei cori
da bambini con classificazioni sbagliate e che nel post muta vocale non sono
mai riusciti a ottenere un equilibrio fonatorio. I cori dei bambini che si
dedicano a un repertorio classico sono numericamente inferiori, ma hanno di
media un’esigenza competitiva musicale superiore ai cori amatoriali degli
adulti, quindi la classificazione dei coristi è abbastanza rapida in un’età in
cui la struttura laringea ha un’evoluzione enorme ed è spesso pesantemente
sottomessa al repertorio da eseguire. Dobbiamo preservare qualunque voce si
addentri nel campo della vocalità, tanto più se infantile.
Quali
dinamiche si innescano rispetto ai coristi (e ai loro eventuali problemi
vocali) in un direttore che è anche foniatra?
Il
foniatra è come un meccanico che aprendo un cofano sente un rumore e immagina
immediatamente quale sia la parte meccanica logorata o non perfettamente
funzionante che lo produce. Non ho mai mandato via nessun corista con disordini
fonatori, ma ho proposto percorsi di didattica se il problema consisteva nell’aspetto
tecnico, o di terapia e di riabilitazione, se c’era un problema organico e/o disfunzionale.
Il
riscaldamento è un buon momento per poter costruire con i coristi una base
omogenea e dare loro i mezzi per occuparsi della salute vocale.
Il mio
riscaldamento vocale è personalizzato a seconda delle sezioni, non faccio
cantare tutti assieme. L’impegno della struttura laringea nella frequenza è
assolutamente dissimile in una voce mediana, acuta o grave. Le voci mediane
sono statisticamente maggiormente rappresentate rispetto ai più rari antipodi,
quindi è inutile insistere in un riscaldamento vocale su frequenze estremamente
acute o gravi. Personalmente inizio con vocalizzi modulari, dagli ambiti vocali
gravi verso l’alto e viceversa. Altrimenti la voce non si scalda, si consuma.
Quali
sono i sintomi delle patologie più diffuse in ambito corale?
Un
sintomo da considerare è il fatto che un corista al termine di una prova di due
ore abbia una voce affaticata e sia disfonico, ovvero avverta nel parlato un’alterazione
della voce. In condizioni normali, due ore di prove non modificano la voce. Se
ciò avviene, significa che durante quelle due ore il corista ha avuto un
atteggiamento ipercinetico, cioè ha usato molta più energia, fatto molta più
fatica, ovvero che l’accordo pneumofonatorio non è congruo. Ovviamente oltre le
due ore si può avvertire un affaticamento, ma lo standard delle prove regolari
di un coro amatoriale solitamente non supera questa durata. Quando sul settore
medio-acuto è difficile mantenere l’intonazione su una nota tenuta e la nota
tende a calare, mentre la voce è “indietro” e non si riesce a eseguire un crescendo
o un diminuendo, vuol dire che è tecnicamente male inquadrata o comunque ha un
difetto a livello respiratorio e di sostegno. Se è difficile comprendere il
testo ovvero non si riesce ad articolare, vuol dire che l’appoggio non è
stabilizzato. Quando non si riesce a mantenere una lunghezza di fiato media,
vuol dire che c’è un difetto di adduzione cordale, per cui c’è un grande
consumo d’aria rispetto alla produzione di suono. Tutto questo a grandissime
linee.
Le
patologie sviluppate dai coristi sono diverse da quelli dei cantanti d’opera?
Stranamente
il cantante d’opera ha altre patologie. Gran parte delle patologie del cantante
professionista sono di tipo organico, che si riflettono in ambito fonatorio. Si
tratta ad esempio di allergie, calo dell’immunità, aumento della pressione
arteriosa e della frequenza cardiaca, reflusso gastroesofageo, lombalgie che
normalmente si riflettono sulla postura e sulla respirazione. Ci sono anche
cantanti lirici con patologie a livello cordale, ma nel 90% dei casi sono patologie
di tipo acuto, dovute o ad altri fenomeni morbosi, afferenti soprattutto alle
vie respiratorie, o a fenomeni infettivi. Dal punto di vista dell’analisi
specialistica, su 100 professionisti vocali che hanno disordini vocali, il 10%
avrà alterazioni anatomiche a livello cordale, mentre la percentuale aumenta al
25% nel cantante amatoriale. In questo caso le alterazioni della tecnica vocale
di emissione arrivano al 40%.
L’utilizzo
scorretto della tecnica vocale influisce su suono, estensione, dinamica. Sono
problemi di disomogeneità del gruppo (e quindi della resa generale) che
riguardano la maggior parte dei cori amatoriali, formati da soggetti con esperienze
e capacità molto diverse.
Qualsiasi
problema di carenza tecnica di emissione, se preso singolarmente, è molto
evidente. Ma il coro è un insieme di soggetti che cantano assieme e quindi, se
nelle singole sezioni si eliminano le più evidenti macroproblematiche intonative
e di ritmo, il problema della preparazione eterogenea può essere mascherato.
Sicuramente in alcuni repertori con esigenze vocali particolari, l’utilizzo
scorretto della voce si slatentizza subito.
Quando
il risultato non ideale è causato “semplicemente” da carenze tecniche, la
soluzione comporta solitamente un lavoro aggiuntivo da parte del direttore e
molta pazienza da parte degli altri coristi…
Ho
scelto di non fare selezione e questo ovviamente ha suscitato sempre critiche
da parte dei coristi più esperti che chiedevano maggiore severità nell’approccio
alla scarsa abilità tecnica del singolo, per non rallentare il lavoro di tutti.
Io però non ho mai pensato di fare il direttore di coro in quanto tale, ovvero
immaginando una carriera in questo campo. L’ho fatto perché mi affascina l’utilizzo
e il riutilizzo della voce. Mi interessa l’aspetto divulgativo, anche perché ho
la fortuna di poter considerare la musica un’altra professione, non un hobby.
Questo mi consente di avere una certa libertà e indipendenza di pensiero.
Inoltre gli ambiti delle mie due professioni in gran parte si toccano e si
intersecano.
Come
compositore scrive molto per le voci e come le considera nella sua scrittura?
La
musica vocale e per coro rappresenta circa il 50% del mio catalogo. Ho iniziato
a scrivere per le voci imitando, emulando e sperimentando come tutti, ma senza
prestare veramente attenzione alle problematiche specifiche dello “strumento voce”.
In seguito ho cercato di scrivere brani pensando alla loro reale eseguibilità,
ovvero domandandomi: potrei proporre questo brano al mio coro amatoriale ed
eseguirlo con una buona resa? Iniziando a pormi interrogativi sulla
fattibilità, ho ovviamente piegato alcune esigenze espressivo-tecnicoscritturali
all’eseguibilità da parte dello strumento-voce. Mi rendo conto di quanto questo
sia un fattore generalmente trascurato. Chiunque studi composizione impara di
non poter richiedere mai un la bemolle
acuto da un fagotto, perché sarebbe assurdo e sbagliato. Perché allora
non è sbagliato richiederlo a uno strumento come la voce? Personalmente ho
cercato, nel pormi dei limiti, di mantenere il mio obiettivo
linguistico-espressivo, ma con caratteristiche di orchestrazione fisiologica
dello strumento voce. In seguito ho considerato il coro come uno strumento
aggiunto all’orchestra, ma non necessariamente con un utilizzo da coro concertato.
Ora sto andando verso l’utilizzo “obbligato” dello strumento-coro nell’ensemble
sinfonico, dove la parte testuale (cantata o frammentata) si riduce a un
pretesto semantico. Da compositore cerco di trattare la voce tenendo conto dei
suoi limiti estensionali e di orchestrazione imposti dall’ortofisiologia
vocale.
Obiettivi
artistici e considerazione dei limiti vocali, ovvero delle specifiche esigenze
vocali del repertorio non vanno sempre di pari passo.
Ci
sono repertori in cui la vocalità è più pesante, più dedicata a professionisti
vocali. Non per questo sono preclusi ai cori amatoriali, ma occorre porsi la
domanda di come eseguirli. Ho ascoltato per esempio esecuzioni ben costruite di
brani del repertorio tardoromantico tedesco e dell’espressionismo con coristi
dalla vocalità non completamente formata dal punto di vista tecnico, assieme a
strumentisti oppure orchestre di professionisti. Tuttavia mi domando: se in
questo contesto esecutivo ci fosse un utilizzo di strumenti barocchi dalla
dinamica esile e dal suono antico, esso verrebbe molto criticato e contestato
in quanto risulterebbe stridente per questo repertorio anche alla sensibilità
dell’ascoltatore medio. Per quanto riguarda la parte vocale, invece, perché ci
si pone poche volte il problema di questa diversità tecnica di emissione e
viene accettata la “sbiancatura” timbrica? Ritornando al tema della salute
vocale: se abbiamo parti abbastanza impegnative dal punto di vista dinamico e ipertrofizzate
verso il registro tonale acuto, una voce che non abbia la copertura, il
sostegno e l’immascheramento sufficiente, ha un aumento del tempo di contatto
cordale ampio, quindi soffre. Anche se il risultato estetico potrà essere
gradevole nell’assieme corale, mi domando se per questa voce sia corretto
affrontare questo repertorio senza prima aver seriamente studiato il canto.
Ed è forse giusto dal punto di vista estetico-musicologico?
Lo
sarebbe se ritenessimo in modo generalistico che si può affrontare qualsiasi
repertorio in qualsiasi modo e con qualunque strumento. Se questa affermazione
ci sembra uno scandalo, allora evidentemente in ambito amatoriale esistono incongruenze
di pensiero e analisi rispetto a esecuzione, produzione e utilizzo del prodotto
musicale. Sicuramente sono cambiati i tempi; oggi con la digitalizzazione e
internet le informazioni costano meno e hanno un’altissima velocità di scambio
e veicolazione, quindi è più facile trovare repertori corretti alle voci che si
hanno a disposizione, pianificare programmi concertistici, guidare l’estetica
della fruizione corale, anche se amatoriale.