Il tempus imperfectum diminutum in C tagliato, essendo una proportio dupla del tempus imperfectum integer valor in C non tagliato, di per sé impone un esatto raddoppio teorico della velocità. In queste condizioni i brani in C tagliato diventano praticamente ineseguibili, tanto risultano veloci.
Quando si tratta di cantare l’inizio di un mottetto con le brevi la situazione risulta in alcuni casi ancora gestibile, ma quando interviene la diminuzione dei valori nella coda del tema e la battuta-tactus allunga le sue dimensioni e il numero di note, allora il tactus alla breve diventa inservibile, perché i tocchi del tactus risultano troppo rarefatti e distanti tra loro. Questo ammettendo che il valore del tactus resti invariato, sia esso alla breve come alla semibreve.
La soluzione potrebbe risiedere nel rallentamento del tactus alla breve in presenza di C tagliato. Ma il legame con il polso umano obbligherebbe a mantenere il metronomo intorno a un valore di circa 70 [Il valore di 60 comunemente accreditato risulta arbitrario: il polso umano medio si attesta almeno intorno ai 70 battiti al minuto]. Seguendo questo pensiero ho fatto una ricerca nel mondo della cardiologia, per verificare se 500 anni fa (data l’altezza media dell’uomo molto minore di adesso, dato anche lo stato immaginabile di minor stress nel quale vivevano gli uomini del Rinascimento…) il polso medio di un uomo potesse essere più lento di quello di adesso. La risposta è: non ci sono prove che fosse più lento.
Però Franchino Gaffurio, che fu uno dei primi a collegare il tactus della semibreve al polso umano [Franchino Gaffurio, Angelicum ad divinum opus musicae, Libro III, cap. I.], in Practica Musicae del 1502 si poneva anche il problema del polso febbricitante, e quindi implicitamente della mobilità del tactus. Seguendo il concetto di non fissità del tactus si deve nominare Athanasius Kirkher, che nel suo Musurgia universalis [Citato in: Jeffrey Kurtzman, The Monteverdi Vespers of 1610, Oxford University Press, 1999, ristampa 2003, pp. 438-439] distingue diverse velocità del tactus-polso umano legate all’età e addirittura all’umidità e alla temperatura dell’aria!
Premessa 2c
Pier Francesco Valentini (Roma, 1570-1654) si batteva contro il tactus univoco, affermando che ci sono tanti tactus quante sono le persone [Cfr. Margaret Murata, Pier Francesco Valentini on Tactus and Proportion, in: Frescobaldi Studies, Silbiger ed., Duke University Press, Durham, 1987, p. 333].
Premessa 3
Esisteva uno sfasamento-separazione tra i cantori e i musici: i primi più pragmatici, i secondi più teorici. Il tactus alla breve è comodo per i teorici, perché sposta la scansione verso le note più lunghe e quindi più comode da gestire (le dissonanze, i ritardi e le sincopi sono più chiare…), ma scomodo per i cantori, che all’interno di un tactus dovevano distribuire tante note, soprattutto quando il tema si sviluppa con valori più piccoli.
Tenendo in considerazione la ben nota scissione culturale esistente tra musici e cantori in epoca rinascimentale, sembra opportuno introdurre il concetto di suddivisione del tactus.
Esiste infatti il tactus e la scansione. Il primo consiste nel movimento in giù della mano, la seconda rappresenta il movimento in su. Entrambi i movimenti sono identificati e descritti da tutti i teorici del Rinascimento e oltre. Agostino Pisa – tenuto in grande considerazione all’epoca, se si pensa che Banchieri, per quanto riguarda lo studio della battuta, rimanda i lettori della sua Cartellina proprio alla lettura del libro di Pisa! – dà così tanta importanza alla scansione da dedicarle ben diciotto pagine del suo trattato, affermando addirittura che il brano avrebbe inizio quando ancora la mano si trova in alto, prima di battere il tactus in basso… [Agostino Pisa, op. cit., cap. V, pp. 71-88]
Il passo da compiere è quello di attribuire il tactus ai musici e alla teoria, e la scansione ai cantori e alla prassi esecutiva. Cosicché, se il tactus è alla breve, la scansione è alla semibreve, se il tactus è alla semibreve la scansione è alla minima. Come si fa con il Sicut cervus di Palestrina: è in tempus imperfectum diminutum, con tactus alla breve ma con inevitabile scansione alla semibreve…
Molte testimonianze scritte (Vanneo, De Rameja, Bermudo, Anselmi, oltre che vari compendia anonimi) attestano che i cantori fossero soliti battere da soli il tactus con il piede, con le due mani, o battendo sulla spalla del compagno davanti, in modo da aiutare se stessi e anche il compagno. L’iconografia dell’epoca è ricchissima di questi esempi. Ora: battere una interminabile breve in una frase con note nere senza suddividere la scansione alla semibreve (se non alla minima in certi passaggi, oltre che nei rallentandi!) risulterebbe inutile, se non addirittura controproducente. Si presume quindi che il battito scandisse la mensura inferiore al tactus, per facilitare l’esecuzione. Il prezzo da pagare erano le sincopi, che con un livello inferiore di tactus ricevevano una scansione dove non avrebbe dovuto esserci (cfr. Zacconi, punto 7a).
A questo punto sembra legittimo (e risolutivo!) introdurre il concetto di tactus di natura teorico-compositiva affiancato (non contrapposto) a un tactus di tipo pratico-esecutivo. Ci conforta molto il fatto che tutti i teorici, quando da un lato condannano il tactus alla figura minore (dalla breve alla semibreve, o anche dalla semibreve alla minima) dall’altro lato implicitamente accertano e confermano l’esistenza di tale uso nella prassi esecutiva (cfr. punto 2a).
La prima figura scioglie qualsiasi dubbio sulla trasformazione del tactus in C tagliato, che nel pieno Cinquecento passa dalla breve alla semibreve. Si vede infatti il C tagliato incasellato entro battute che contengono una semibreve, pur trattandosi di musica profana ma senza alcuna nota nera. L’autore è francese – si tratta di Thoinot Arbeau, pseudonimo di Jehan Tabourot (Digione, 1519 - Langres, 1595) – e così si appura anche il precedente punto 6.
Ma ciò che risulta definitivamente chiarificativo riguardo l’ambivalenza tra il tactus alla breve e quello alla semibreve in C tagliato, è costituito dal fatto che nello stesso libro dal quale è tratta la prima immagine [Thoinot Arbeau, Orchesographie, Metode et Teorie en forme de discours et tablature, Jehan de Preiz Imprimeur, 1596. La prima immagine si trova a p. 30, la seconda a p. 99] sia contenuta la seconda immagine, con la battuta contenente la breve posta in C tagliato!
Esiste un altro confronto tra due illustri esempi di uno stesso autore che è in grado di dimostrare l’ambivalenza tra il tactus non diminutum e diminutum (più semplicemente: tra C tagliato e C non tagliato). Occorre porre uno accanto all’altro due famosi mottetti di Palestrina, scritti entrambi utilizzando la formula ritmica tipica dell’esposizione del mottetto: una breve, due semibrevi e poi le minime. Si tratta di Dies sanctificatus e di Sicut cervus. La cosa interessantissima è che essi sono segnati diversamente: il primo in C, e il secondo in C tagliato! Si può ragionevolmente pensare che un reale raddoppio della velocità legata al C tagliato nel Sicut cervus causerebbe un andamento talmente veloce da risultare del tutto inapplicabile nella pratica. Eccoli:
Ma la situazione più definitiva e risolutiva per quanto riguarda l’ambivalenza del tactus tra C tagliato e non tagliato non risiede solo nel confrontare due diversi mottetti dello stesso autore, ma lo stesso brano in due edizioni diverse. Nello specifico ci riferiamo al mottetto O magnum mysterium di Thomàs Luis de Victoria nelle edizioni di Venezia 1572 e Milano 1589. In entrambe i valori delle note usate sono identici (una breve, due semibrevi e poi le minime) ma mentre nella prima, come vediamo sotto, viene usato il segno del C tagliato con tactus alla breve, nella seconda stampata a Milano viene usato il C, con tactus alla semibreve!
l C tagliato all’inizio del brano deve quindi tenere conto delle considerazioni precedenti. Quando invece lo stesso segno compare all’interno di un brano, allora si può trattare di una vera proportio dupla, che causa un reale raddoppiamento della velocità. E qui bisognerebbe chiedersi il motivo di tale raddoppiamento e/o dimezzamento della velocità, quasi come se si fosse in presenza dell’antenato di una variazione sul tema [Un caso illustre di una situazione particolare di questo tipo, che prevede mensure diverse tra le voci, può essere individuato nel Kyrie della Missa L’Homme armé a cinque voci di Palestrina, contenuta nel Terzo Libro delle Messe, ristampa del 1570. Qui tutte le voci hanno l’indicazione del cerchio, mentre il Tenor I ha il cerchio puntato. Nel secondo Kyrie invece il segno del Tenor I è un cerchio tagliato, contrapposto al cerchio semplice di tutte le altre voci. Casimiri risolse la questione con una dilatazione del tema nel primo Kyrie, e adottando una proportio sesquialtera nel secondo Kyrie. Entrambe possono essere riconosciute come variazioni sul tema…].
A meno che non si tratti di un mero esercizio di abilità compositiva, come nel caso seguente di Josquin, nel quale le due voci cantano contemporaneamente la stessa melodia, una con tactus diminutum, l’altro con tactus integer:
Segue un altro esempio di uso simultaneo di proportiones da parte di Pierre De la Rue, questa volta con quattro segni diversi posti su un’unica melodia:
Un ulteriore esempio, tratto dall’Agnus Dei dalla Missa L’Homme armé di Josquin e si riporta qui sotto lo stesso brano di Josquin, con trascrizione: