Per lo più figli di una formazione di stampo essenzialmente solistico-strumentale, che poca importanza riconosce all’espressione vocale, i direttori si accontentano troppo spesso di dare corpo sonoro alla pagina scritta limitandosi a una semplice lettura.
Nella pratica strumentale, invece, tutto rimanda alla voce, all’atto del cantare: i primi a capirlo furono, secoli fa, i trattatisti che hanno codificato nei loro testi informazioni e indicazioni mediandole dalla coeva pratica vocale, ossia usando la voce come modello per le istanze del nuovo idioma strumentale.
Quante volte note-tempo-intonazione-insieme ritmico finiscono per essere, anche in chi ascolta, gli unici parametri utili a ritenere un’esecuzione stilisticamente apprezzabile? Eppure, ridurre a questo la musica, è pari all’affrontare un viaggio immaginando che i quattro pneumatici in buono stato possano costituire, da soli, la garanzia del successo e del piacere del nostro progetto turistico, dimenticando che i requisiti fondamentali del viaggiare sono anzitutto l’avere ottime capacità nel condurre la vettura, un tragitto da percorrere e – ultima solo in ordine di apparizione – una meta da raggiungere.
Sarebbe fondamentale possedere anche una cartina accurata e corretta nella segnalazione del percorso. I limiti imposti dal tema e dallo spazio dell’articolo non consentono in questo contesto la disamina delle qualità che una buona edizione musicale dovrebbe possedere, soprattutto rispetto al repertorio storicamente più lontano da noi, perché è proprio di fronte alla pagina più antica che “l’imbarazzo” dell’interprete in assenza di indicazioni agogiche, dinamiche e di espressione (che per formazione è solito trovare nelle pagine di musica stampata), si risolve in un atteggiamento serenamente a-problematico: leggo le note scritte (ma saranno poi corrette le note (tra)scritte su questa pagina?); le farò cantare a tempo (a tempo di chi, di cosa?); le farò cantare intonate (intonate come?); le farò cantare insieme, et… voilà: la noia ha la strada spianata! Ma come diceva un mio grande maestro «se la musica genera noia, lì si nasconde una colpa» (che di solito non è della musica). Una buona esecuzione non si limita a proporre le sole note intonate, cantate a tempo e insieme, con un bel suono. Bisogna essere in grado di leggere la pagina musicale con un occhio che non perda mai di vista la sua verità storica.
Dunque, per evitare di emulare pallidi esempi d’oltralpe o di muovere più o meno metronomicamente a tempo le mani davanti al coro, proviamo a dotarci di strumenti per progettare un nostro “viaggio” musicale, prendendo le mosse da una corretta e approfondita lettura della partitura.
Ispirandomi alla tecnica utilizzata dal famoso compositore americano John Cage, che “preparava” il pianoforte distribuendo sulle corde diversi oggetti con specifici criteri per ottenere un certo tipo di risultato timbrico, ho voluto chiamare “partitura preparata” questa fase di studio preliminare e fondamentale che ogni direttore dovrebbe realizzare sul proprio spartito, la cui comprensione dovrà nutrirsi di cognizioni storiche, estetiche, letterarie, tecniche e vocali. L’obiettivo è quello di fermare sulla pagina il progetto che gli sarà guida durante le sessioni di lavoro col coro. Solo in questo modo, parafrasando Edgar Willems, sarà possibile dirigere «ciò che si è già sentito» e che nella mente ha già suonato; è in questa fase che si pone la base di una chironomia al servizio della musica. La preparazione della partitura e della gestualità che da essa scaturisce saranno l’immagine concreta del suono che il direttore vorrà ascoltare.
Durante le prove di studio e concertazione, alcuni segni utilizzati dal direttore sul proprio spartito dovrebbero essere condivisi anche con i coristi, invitando gli stessi a farne uso sulle loro parti. Il coro è infatti uno strumento vivo, ed è funzionale alla buona riuscita dell’esecuzione che il cantore sia consapevole non solo delle peculiarità della propria parte melodica ma anche di quanto avviene attorno a sé, nella complessiva struttura musicale. Questo modo di procedere, col tempo, aiuterà il cantore stesso a comprendere quali siano le corrette intenzioni espressive in seno al tessuto armonico, melodico e contrappuntistico e quale sia il suo ruolo in ogni momento dell’esecuzione.
Proviamo dunque a elencare alcuni momenti fondamentali della “preparazione” di una partitura, utilizzando come esempio il mottetto a 4 voci Regina coeli di Giovanni Giacomo Gastoldi, nell’edizione che nel 1984 Giovanni Acciai pubblicò in uno dei mai troppo rimpianti Quaderni de La Cartellina. L’esemplificazione di alcuni passaggi sarà integrata con altri esempi tratti dal repertorio corale.
È fondamentale inserire preliminarmente nello spartito una traduzione del testo cantato, ove non sia già presente nell’edizione che stiamo utilizzando, soprattutto quando il brano da cantare è in lingua diversa dalla nostra [Vedi seguente esempio - dalla Cantata BWV 4 di J.S. Bach]
Il cantus obscurior di ciceroniana memoria rimane sempre un punto fermo per chi vuol far musica con la voce, su un testo: chi canta, canta la parola, la temperie emotiva delle sue proprietà musicali, non le note; e il testo non è mai un pretesto: semmai un contesto, espressivo. L’analisi ritmico-metrica e fonetica di ciò che si canta è quindi funzionale a comprendere nel dettaglio l’affetto generale che intende muovere e a operare di conseguenza coerenti scelte interpretative nel momento della concertazione della pagina musicale. Nel brano di Gastoldi che stiamo considerando, in tal senso non passano certo inosservate, per la loro potenza semantica ed espressiva, le parole laetare, alleluia, resurrexit… Quando il compositore ha saputo rendere giustizia alla parola, dipingendola con un gesto grafico che asseconda il suo corretto modo di pronunciarla, è compito della sensibilità dell’interprete lasciar risuonare la sua intrinseca e connaturata musicalità nel suono che emette.
Si dovrà poi porre attenzione all’estensione delle singole linee melodiche (quando già non offerta dall’edizione che si sta utilizzando), indicandola all’inizio del pentagramma di ogni voce. Sulla base di questa prima analisi delle estensioni vocali, il direttore – che ben conosce le potenzialità del suo strumento-coro – potrà decidere di intonare diversamente il brano in oggetto, sempre che lo stile e la prassi dell’epoca lo consentano. Nell’esempio proposto, l’intonazione un tono sopra rispetto all’originale viene indicata in alto nella pagina
[La pratica della trasposizione dell’intonazione di un brano è circoscritta alla musica del XVI secolo, dove l’estensione della voce del cantore diveniva il parametro di riferimento per operare questa scelta ai fini dell’esecuzione; non si traspone mai l’intonazione del repertorio romantico, moderno e contemporaneo, dove l’indicazione della tonalità costituisce un personale assunto estetico del compositore.]
Può essere utile differenziare la segnatura degli attacchi. Possiamo segnare, ad esempio, in rosso quelli preceduti da pausa (a); in blu quelli non preceduti da pausa (b). Con la stessa logica, con una freccia rossa si andranno a indicare le voltate di pagina con attacco preceduto da pausa (c); in blu le voltate con attacco non preceduto da pausa (d). In questo ultimo caso, è utile riportare prima della voltata di pagina anche un custos ritmico, a promemoria dell’attacco che seguirà.
Si osservi l’esempio proposto: O. Dipiazza, da Ave maris stella
L’analisi prosegue con il rapporto testo-musica di ogni singola voce.
Il direttore evidenzierà con l’ausilio di segni a lui più congegnali il percorso di articolazione fraseologica della linea melodica sul testo cantato. Questo passaggio analitico della pagina porterà il direttore a cantare più volte le singole linee e a individuare al loro interno quegli archi melodici che scaturiscono dall’unione di parola e suono.
Verranno messe in evidenza le corrispondenze fraseologiche fra le voci in importanti processi imitativi (ad esempio, a ugual colore corrisponde ugual fraseggio). L’evidenziare i procedimenti imitativi fra le voci (specialmente quando sono canonici) aiuta sia l’occhio che l’orecchio a focalizzare l’attenzione sulla “direzione in avanti” della musica. Questo è un valido supporto sia per il direttore che per il cantore.
Porremo in risalto le rilevanze fonetiche del testo cantato, cerchiando o sottolineando le sillabe accentate all’interno di ogni linea vocale, con particolare riguardo a quelle che hanno il compito di veicolare uno speciale affetto della parola, alle quali verrà dedicata una specifica attenzione esecutiva anche tramite l’applicazione della messa di voce.
Di seguito, ancora un esempio per le indicazioni di fraseggio e articolazione. Laddove occorre, indicheremo i respiri lunghi (√) o brevi (’) (cfr. esempio 1)
Agogica e dinamica fanno parte di quelle “condizioni dello spirito” che non si possono quantificare. Quanto è sonoro un forte? Quanto veloce può essere un Allegro? A nessuno interessa arrivare a una determinazione scientificamente definita di questi che sono “aggettivi dell’affetto”: non si possono dire, non si possono scrivere; si possono invece esprimere in un’intenzione. Ecco allora che aggiungere indicazioni dinamiche, segni di appoggio, accenti e altri simboli di articolazione che riflettano il modo di sentire del direttore e la sua interpretazione del testo sarà un passaggio ineludibile del percorso di concertazione. Andremo pertanto a indicare in seno alla singola voce e a ogni episodio musicale (laddove occorre e dove non indicata dalla partitura stessa) quella che personalmente chiamo dinamica di base, ovvero quel colore, quella nuance espressiva che nascono direttamente dalla semantica del testo cantato. Significato e significante si coniugano in una feconda intenzione espressiva che solo la musica può rendere inarrivabile. Presteremo attenzione a tutte le successive necessarie variazioni (agogiche e dinamiche) all’interno del brano.
Segnare i punti coronati – ad esempio: corona lunga (punto coronato rosso) o breve (punto coronato blu) – aiuta a veicolare differenti “pesi di respiro” e di sospensione in seno all’articolazione della forma (cfr. esempio 1). Questa evidenza grafica darà modo all’occhio del direttore di non trascurare il diverso significato che ogni cadenza e andamento cadenzale porta con sé. Come in un romanzo, il punto che troviamo alla fine del primo periodo è diverso da quello che incontreremo a conclusione del primo capoverso, o del primo capitolo o al termine del libro, così il ritmo della forma musicale è incardinato sul diverso peso articolatorio di ogni cadenza musicale.
Suggerisco di indicare con precisione i rallentando, soprattutto in ambito cadenzale, con i relativi segni di suddivisione chironomica, così come verrà realizzata dal gesto del direttore.
Qualora risultino utili, segneremo in partitura gli stacchi e le chiusure che necessiteranno di un gesto e una attenzione dedicati. Potremo usare il segno proposto nell’esempio o altro più congeniale alla funzione.
Qualora nella partitura moderna mancasse la numerazione delle misure provvederemo ad aggiungerla e a farla aggiungere ai nostri coristi: è un irrinunciabile strumento di lavoro!
Nel repertorio rinascimentale, risulterà assai utile e funzionale anche alla chironomia direttoriale indicare (per ogni linea melodica) i piedi metrici (binari / ternari) generati dalla accentuazione delle parole, al fine di favorire i corretti appoggi delle sillabe ed eliminare “effetti-sincope” stilisticamente non desiderati. I piedi metrici possono essere raccolti all’interno di parentesi al di sopra delle note oppure indicati con segni di ictus verticale posti al di sopra delle note stesse o con qualsivoglia segno funzionale all’indicazione.
Può risultare utile e funzionale al lavoro con il coro collocare una linea verticale attraverso l’intero pentagramma al fine di definire la periodizzazione formale del brano, la sua ripartizione in episodi. Esse non solo aiutano il direttore a strutturare mentalmente l’intero brano, ma possono anche essere semplici punti di riferimento in sede di prova, per riprendere l’esecuzione dopo un’interruzione. Sarà particolarmente efficace, anche ai fini della memorizzazione e della comprensione formale del brano, segnare il “tracciato contrappuntistico” nei brani scritti in stile imitativo. Esso ci aiuterà a non perdere mai di vista (uditivamente parlando!) la linea melodica portante in seno al costrutto contrappuntistico e assecondare la corretta “direzione” della musica in sede esecutiva. Il “tracciato contrappuntistico” pone bene in risalto il principale materiale motivico.
Evidenzieremo (ad esempio cerchiandoli) quei suoni coinvolti nei movimenti armonici che creano ritardi, al fine di ricordare al cantore di non produrre un diminuendo sugli stessi ma di mantenere la giusta tensione sonora per valorizzare la percussione della dissonanza. Esempio seguente: G.P. da Palestrina, Kyrie (dalla Missa Aeterna Christi munera).
Daremo evidenza grafica alle due voci responsabili del procedimento cadenzale al fine di far capire ai cantori quali linee vocali svolgano un ruolo fondamentale in virtù della loro importanza melodica e armonica nell’ordito contrappuntistico. Molto spesso, la voce più grave concorre a confermare la struttura della cadenza con il suo tipico andamento melodico.
Ho volutamente concepito questo mio contributo come un’unità didattica, un canovaccio, una proposta di lavoro che ogni direttore, se lo vorrà, avrà modo di modificare e di elaborare ulteriormente secondo le proprie esigenze, le proprie necessità e soprattutto la propria sensibilità di musicista.
Lungi dal promuovere l’approccio a una «interpretazione frammentaria, che, per tenere sotto controllo ogni dettaglio della partitura, impone soltanto una minuziosa analisi del testo, ma, così facendo, tralascia di rifondere il tutto in un unico crogiuolo» [Paolo Bolpagni e Raul Gabriel, Dibattito. Il dono della sintesi? È il segreto dell’arte, in Avvenire, 28 luglio 2021], il processo analitico proposto, al contrario aiuta il direttore di coro a interiorizzare la pagina e a ricomporla nel momento dell’esecuzione in un’unità espressivamente significativa. Solo dopo un approccio sinottico e uno sguardo d’insieme, egli potrà concretamente operare quel processo di sintesi che rende viva la pagina musicale e storicamente informata la sua esecuzione. Questa sintesi non deve però essere intesa come contrazione, riduzione, semplificazione del tutto bensì come (ri)composizione degli elementi in una perfetta relazione tra le parti, fuse in una coerente unità formale, estetica e di pensiero.
Solo attraverso una personale introspezione e rilettura della pagina musicale l’architettura sonora può disgelarsi nel tempo dell’esecuzione, rivelando il pieno e fecondo rapporto fra ordine, armonia e respiro, vera fonte di piacere per quegli spiriti che avranno conservato la capacità di ascoltare.