Il materiale musicale di Merkù colpisce soprattutto per la varietà della sua densità armonica, che oscilla continuamente tra suoni singoli e accordi di vario tipo.
Un tentativo di schematizzazione potrebbe comprendere i seguenti livelli di crescente complessità:
Quale il motivo di questa varietà di soluzioni e della posizione degli accordi nel discorso musicale? Non certamente la loro funzione armonica, che viene anzi spesso volutamente disattesa da Merkù, ma una scelta derivante dall’intenzione del compositore di perseguire uno scopo, da lui stesso rivelato in varie occasioni e di cui parla il collega e amico Fabio Nieder. Adoperare formule trite, ben conosciute, in situazioni invece nuove e tali da spiazzare l’ascoltatore, anziché rassicurarlo. Una sorta di ironia, quindi, accompagnata dall’esigenza di evitare la banalità.
È anche utile, per capire il linguaggio delle Canzonette, ricordare il ruolo che la musica vocale, e quella corale soprattutto, hanno avuto per Merkù. Non solo essa è prevalente per numero di composizioni ma, pur distribuita lungo tutta la sua carriera (a partire da Pesem s Krasa, 1947), divenne la più frequentata nella seconda metà della sua attività. E, rispetto agli anni precedenti, c’è un recupero, magari parziale, della tonalità sia per l’origine popolare di molti suoi brani, sia per la destinazione dei brani stessi ai cori amatoriali, i quali hanno fortemente corrisposto all’interesse di Merkù nei loro confronti. Ancora oggi il mondo corale sloveno identifica Merkù con Jnjen čeua jti gna’, elaborazione di un canto popolare tanto semplice quanto efficace, e che continua a godere di una enorme diffusione.
A guidare Merkù è naturalmente anche l’attrazione per la parola, della quale egli cerca le potenzialità espressive. È per questa ragione che la linea del soprano è, nelle Canzonette, la più ricca, la più estesa (quasi due ottave nel primo brano), la più varia nell’andamento e negli intervalli, e quella cui il musicista affida il compito di far raggiungere al discorso i momenti di maggiore intensità. Talvolta la scrittura è quella di una melodia accompagnata dalle altre voci. Se dunque la musica serve per sottolineare in modo anche molto energico ciò che la parola suggerisce, non mancano momenti scherzosi in questo rapporto tra parola e musica. Merkù non riconosceva alla musica una valenza descrittiva, ma in una divertente contraddizione inserisce nelle Canzonette alcuni madrigalismi. Il soffio dei tenori a b. 18 del primo brano, la semplicità delle triadi allo stato fondamentale nel secondo, e per contrasto l’accordo difficile di b. 14 nel terzo. Ne Il respiro, infine, il compositore aggiunge al testo una a brevemente vocalizzata.
Questo passaggio è anche utile per verificare, ancora una volta, la presenza di momenti di grande regolarità nella forma dei brani. Proprio qui le voci femminili e quelle maschili si scambiano il loro ruolo in una sorta di dialogo (e quando si può dialogare se non quando si canta e quindi si respira?).
E un altro episodio è la ripetizione delle prime quattro battute de La terra dopo pochi istanti.
Pater noster è una breve composizione (47 battute) per coro a quattro voci miste, scritta nel 1998 e pubblicata due anni dopo da Pizzicato (PVH 600).
La forma binaria prevede due sezioni di diversa lunghezza: la prima, da Pater noster a et in terra, di 13 battute; la seconda, da panem nostrum ad Amen, di 34.
La prima sezione è, per definizione dello stesso autore, un corale. Sono tradizionali, in questo senso, l’andamento omoritmico, la declamazione essenziale del testo, la regolarità del 4/4, il linguaggio tonale che pure include via via varie modulazioni e accordi complessi. Questi elementi mostrano un progressivo arricchimento, quasi a introdurre la successiva sezione b, che del corale rappresenta una sorta di sviluppo. Va anche notato uno spunto melodico ascendente che ricorre nella linea del soprano, racchiuso nell’intervallo la-re. Compare nelle batt. 3, 4, 6 e 9-11, con la nota conclusiva aumentata di un semitono.
La seconda parte, mantiene, della prima, la scelta di dividere il testo in quattro frasi, regolarmente separate da una pausa di semiminima. Ma in questo caso, anche grazie alla ripetizione di alcuni versi o di singole parole, le frasi aumentano di lunghezza e la verticalità del corale può essere parzialmente sostituita da un cenno di imitazione, stretta a batt. 14-15 e 22-23, più ampia a batt. 31 e seguenti.
Merkù adotta nuovamente l’uso di servirsi di uno spunto ripetuto: qui la cellula melodica, posta all’inizio di ciascuna frase, mostra nell’incipit un intervallo di quinta (fa#-do#) derivabile da quello di quarta, oppure uno di ottava (batt. 31-32), somma dei primi due.
L’iterazione del materiale musicale è adoperata in modo più ampio anche all’interno delle frasi, e stavolta coinvolge pure le altre voci, determinando così la ripetizione integrale di un breve passo: il terzultimo accordo di batt. 17 e quel che segue è ripreso infatti a batt. 24 e poi a batt. 36.
Maggiore è la libertà ritmica. L’autore annuncia battute da due a sei quarti, necessari non per la ricerca di effetti, ma per il rispetto della accentuazione delle parole.
Naturalmente nello sviluppo del corale non può mancare l’allontanamento dal contesto tonale, ma si tratta di un allontanamento solo apparente. Per quanto taluni accordi siano complessi e aspramente dissonanti, il loro ruolo è espressivo, e la conclusione delle frasi riporta sempre, dopo i momenti di tensione emotiva, alla rassicurante consonanza.
La fine della composizione è all’insegna del recupero di quella semplicità presente all’inizio del corale: una breve frase che riprende il consueto spunto melodico, cantata all’unisono dalle voci femminili e da quelle maschili, e una sola nota, il re dell’esordio, per finire. E questa è una firma lasciata spesso da Merkù nei suoi lavori.