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Stabat Mater per coro e orchestra d'archi

di James MacMillan
Dossier Compositore, Choraliter 67, maggio 2022

Alla musica piace raccontare sempre la stessa storia. Fa parte della sua tradizione, ma anche i singoli compositori possono essere attratti dagli stessi modelli nel tentativo di rivestire e reinterpretare forme, strutture musicali e ambientazioni di testi classici. È questo il caso, in particolare, della narrazione della Crocifissione. Bach è venerato per le sue due Passioni – quella di San Matteo e quella di San Giovanni – ma ci sono stati altri modi in cui i compositori hanno raccontato questa storia in musica. Le Sette ultime parole dalla Croce sono una forma liturgica ormai scomparsa che ha attirato l’attenzione di Lasso, Schütz, Haydn, Gounod e César Franck.
La liturgia della Tenebre ha dato origine alla composizione delle Lamentazioni di Tallis, Charpentier e Stravinsky (Threni), nonché ai Responsori delle Tenebre di Victoria e Gesualdo. Anche il famoso Miserere di Allegri (Salmo 50) è associato al Venerdì Santo, e poi ci sono tutte le versioni incredibilmente potenti dello Stabat Mater

Quest’ultimo testo è un inno mariano del XIII secolo che medita sulla sofferenza di Maria, la Madre di Dio, ai piedi della croce. Per i devoti cattolici, e per i molti grandi compositori che hanno musicato queste parole, si tratta di una sorta di Kindertotenlied spirituale e assoluto. La poesia va oltre la semplice descrizione e invita il lettore e l’ascoltatore a partecipare al dolore della Madre come percorso di grazia e come parte del cammino spirituale di un credente. La paternità dell’inno è stata variamente attribuita a San Gregorio Magno, San Bernardo di Chiaravalle, Innocenzo III, San Bonaventura, Papa Giovanni XXII e Gregorio XI, ma molto probabilmente è opera di Jacopone da Todi, un frate francescano. È un testo insidioso da mettere in musica: è difficile sostenere un tono di pathos persistente e presenta problemi di ripetitività ritmica. Il grande teologo svizzero del XIX secolo Philip Schaff ha scritto di questa poesia nel suo Literature and Poetry, dove afferma: 

«Il segreto della forza della Mater Dolorosa sta nell’intensità del sentimento con cui il poeta si identifica con il suo tema, nella melodia dolce e lamentosa del suo ritmo e della sua rima latina, che non può essere trasferita in nessun’altra lingua»

Le obiezioni protestanti alla cosiddetta “mariolatria” del poema sono state messe a tacere dalla grande bellezza e dal pathos capace di toccare anche il cuore più duro. Schaff ricorda ai suoi lettori che i cattolici «non pregano Maria come dispensatrice delle misericordie desiderate, ma solo come interceditrice»

Ho scritto due versioni della Passione (San Giovanni e San Luca), le Sette ultime parole, alcuni Responsori delle Tenebre, un Miserere. Da qualche anno mi sembra di girare attorno a questi pochi giorni della storia dell’umanità. Si può fare anche nella musica pura, ma il compositore entra in una misteriosa connessione con la parola (e con il Verbo) ogni volta che si tratta di un testo come questo. E con lo Stabat mater un compositore entra in un mondo particolarmente doloroso di perdita, violenza e desolazione spirituale. Mi sembra di essere cresciuto con lo Stabat mater: l’ho cantato come inno a scuola (nella traduzione inglese di Edward Caswall) e nella mia parrocchia cattolica in Scozia da ragazzo, e ho l’impressione che la mia giovanile percezione della crocifissione (e del mondo) sia stata colorata dalla sua bellezza e tristezza. È stato un grande piacere e un onore rispondere a The Sixteen e scrivere il mio Stabat mater per loro. Questa commissione mi ha impegnato molto negli ultimi anni. È come raccontare una storia antica: molti altri mi hanno preceduto e hanno percepito l’impronta della storia e della tradizione. Ma la tragedia continua a riemergere, attraverso le generazioni e i secoli. 

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