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Antico? Moderno? Etnico!
La musica di tradizione orale a scuola: una risorsa per la didattica musicale [1]

di Elide Melchioni (in dialogo con Enrico Strobino)
Etno e dintorni, Choraliter 64, maggio 2021

Nella mia pratica più che ventennale di docente di musica presso la scuola secondaria, ho constatato con crescente piacere che i ragazzi sono incredibilmente attratti e incuriositi dalla musica di tradizione, che percepiscono come talmente inconsueta da risultare loro, paradossalmente, modernissima! 

Per l’insegnante che non lo avesse ancora fatto, come fare per avvicinare, incuriosire, far incontrare il mondo apparentemente lontano e arcaico dell’oralità con i nostri studenti? Sicuramente è fondamentale partire da un’educazione all’ascolto che proponga, come suggerito dalle Nuove Indicazioni [2] anche il repertorio etnico, fonte incredibile di materiali sonori altri rispetto alle categorie della musica colta. Vocalità spesso aspre, taglienti e crude, non sempre coerenti con l’idea colta di bel suono, di intonazione, di armonia, di polifonia: aggregati sonori, intensità, modalità, timbri talmente arcaici da diventare come dicevo, paradossalmente contemporanei. Il repertorio etnico, vivificato a scuola da una pratica creativa in divenire, offre quindi punti di vista molto interessanti non solo per tutto ciò che attiene l’ambito musicale, ma anche rispetto alla pedagogia interculturale, tema cruciale nella formazione dei cittadini del XXI secolo e tappa fondamentale nel progetto educativo trasversale dell’Educazione Civica. 

Agire la voce, rappresentare la fisicità, portare il testo

In un contesto di didattica della musica etnica quale voce, o meglio ancora, quali voci sperimentare e suggerire ai ragazzi? Che tipo di vocalità, di suono proporre e chiedere al proprio gruppo? Nell’ambito di una didattica della musica corale che si interessi anche di repertori etnici questa riflessione diventa fondamentale e come dicevo, estremamente legata sia all’educazione dell’ascolto che al mondo musicale di riferimento dei nostri allievi. Innanzitutto, è necessario ricordare che la cosiddetta “lingua musicale” media dei ragazzi di oggi appare sostanzialmente omologata e massificata. Il web e i media, onnipresenti in tutte le case e nei vari device, propongono un ambiente quasi esclusivamente tonale, intonazione a 440 Herz (spesso di derivazione elettronica), ritmica molto banale su tempi pari, vocalità modellata sulla musica cosiddetta “di consumo”.
Questo aspetto di uniformità stereotipata però, paradossalmente può costituire un importante punto di forza: la grande novità costituita dall’ascolto delle sonorità del repertorio di tradizione – sia quello storicizzato, sia quello multietnico del presente – pone questi repertori nell’ambito dell’inconsueto e attira la curiosità anche dei più giovani! «[…] è importante ricordare come gli allievi siano generalmente attenti e disponibili a considerare gli aspetti espressivi della musica; se l’insegnante saprà coinvolgerli in una ricerca timbrica ed emotiva che miri alla ricerca del significato di un canto, essi saranno pronti a destinare molto tempo alla ricerca di una vocalità adatta allo scopo. Viceversa, se l’insegnante chiederà di applicare in astratto dei modelli di “bel canto” essi percepiranno queste richieste come incomprensibili limitazioni della loro libertà espressiva e probabilmente questi tentativi saranno portati al fallimento» [3].
E quindi via libera a un utilizzo della voce che metta in campo le diverse possibilità che vanno dal parlato al canto intonato, prevedendo le infinite sfumature intermedie! Dal parlato drammatizzato al cantillato, dalla ricerca di sonorità aperte e nasali, stile mondine o tabacchine agli slanci vocali, dalle onomatopee ai glissati, dalla ricerca del suono dolce a quello aspro, in un continuo divenire aperto a molte possibilità.
Le modalità esecutive, il pathos musicale e i testi dei brani tradizionali risultano coinvolgenti per i ragazzi, perché vanno a toccare aspetti di inconscio collettivo, archetipi appunto, dei quali probabilmente non sono nemmeno consapevoli, ma che li affascinano e li colpiscono: nella riproposizione didattica bisogna osare il modo, agire l’archetipo, connettersi con quell’emozione! I nostri studenti (in maniera inversamente proporzionale all’età) sono assolutamente capaci di lasciarsi coinvolgere dall’archetipo e di immergersi in una immedesimazione rappresentativa: l’archetipo è dentro di noi!

Musica a scuola e il problema dei prerequisiti

Il repertorio di tradizione orale per sua natura può prescindere da una conoscenza scritta della musica, ed è adattissimo per iniziare o proseguire un percorso musicale, anche in un contesto privo o con scarsissimi prerequisiti musicali. In sintesi, come ci insegna da tempo la pedagogia kodályana, il repertorio di tradizione può essere un ottimo viatico per avviare e implementare, quando non già presenti, l’educazione dell’orecchio relativo, il riconoscimento e l’intonazione degli intervalli, la lettura ritmica per arrivare alla lettura posizionale, con qualsiasi gruppo ci si trovi davanti, che si tratti di un percorso temporaneo o duraturo, di giovani o di adulti, nell’ottica di una educazione permanente!
Come inserire la musica di tradizione orale nelle nostre classi? Nelle attuali antologie scolastiche è presente un numero molto limitato e spesso stereotipato di proposte di musica di tradizione. In quasi tutti i libri di testo si ritrovano gli stessi brani,4 spesso presentati con atteggiamento bonario e paternalistico, o peggio ancora con una chiave di lettura di tipo evoluzionistico, come se la musica di tradizione fosse il cascame di quella colta, frutto di menti semplici e poco strutturate, dove prevalgono buoni sentimenti e l’ingenuità della vita agro-pastorale. In questo scarno panorama di proposte destinate alle scuole, spicca per interesse il libro Il canto popolare, una risorsa per la didattica musicale [5], di Enrico Strobino, con il quale ho avuto un amabile confronto di cui riporto alcuni stralci.

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 Professore, dall’alto dei suoi quarant’anni di insegnamento, quale musica proporre nella scuola di base? 

Il compito della scuola è sicuramente quello di far incontrare gli studenti con tante musiche, farli passare dal familiare all’inconsueto, costruire lunghi ponti tra diversi mondi ed esperienze musicali, senza far calare dall’alto inossidabili certezze. Mi sono sempre approcciato all’insegnamento con un atteggiamento etnomusicologo, ovvero ponendomi molte domande e rifiutando atteggiamenti aprioristicamente dogmatici.

Quali ritiene siano le ricadute didattiche nell’ascolto e nella pratica del repertorio di tradizione orale?

La musica di tradizione è innanzitutto un’apertura alle differenze, è un incontro con la diversità rispetto alle musiche più familiari, più conosciute. Inoltre ci riporta a un mondo di contesti funzionali e rituali in cui il canto e la musica conservano ancora un’antica umanità che sono un valore a mio avviso da preservare e magari ri-plasmare sul mondo attuale. L’incontro con un repertorio di tradizione è l’incontro con un mondo spesso sconosciuto, anche a partire dal suono di una singola voce o di uno strumento. Il timbro arcaico, la sonorità gracchiante e datata di una registrazione, che so, degli anni Cinquanta, può risvegliare vissuti molto diversi e ci pone il confronto con il sound attuale, molto patinato e standardizzato. Mi piace portare i ragazzi verso la mentalità dell’oralità, ovvero farli avvicinare a timbriche particolari per poi farli giocare e confrontare con quell’emissione. I ragazzi e le ragazze inizialmente possono essere spaesati da questi suoni, ma l’appropriazione fisica di ciò che si ascolta e poi si cerca di realizzare introduce un cambiamento, una crescita musicale e con il tempo l’abitudine al non familiare diviene anche molto apprezzata.

Allargare i punti di vista – anzi potremmo dire “di ascolto” – e conseguentemente, di produzione. Lei ad esempio, cosa inserisce all’interno della sua programmazione?

Per l’insegnante è importante arrivare a scuola innanzitutto con la verità dei propri amori e delle proprie passioni, perché il primo feedback che avremo dai nostri studenti sarà legato a ciò che vedranno in noi, ovvero un feedback emozionale: più noi saremo appassionati e appassionanti, più loro si lasceranno coinvolgere dalle nostre proposte. Personalmente, anche nel lavoro a scuola cerco di portare un atteggiamento di ricerca: rielaboro e cerco di spaziare sempre tra i repertori, mescolo i materiali – anche quelli tradizionali – con nuove sonorità, anche legate all’elettronica, o a particolari applicazioni. Altre tipologie di pratiche che utilizzo molto sono l’inventare, ri-creare e comporre, ovvero di quelle che vengono definite tecniche di improvvisazione creativa. Inoltre, credo sia importante per i ragazzi imparare ad ascoltare i brani, aiutarli a tirare giù a orecchio ciò che ascoltiamo, per poi ri-creare e ri-proporre assieme a loro una delle tante possibili esecuzioni! Il mio libro difatti non deve essere letto come una raccolta di canzoni popolari a scopo didattico: il mio obiettivo è quello di presentare, di suggerire una polifonia di approcci al repertorio di tradizione orale, di proporre dei percorsi di musica d’insieme corale e strumentale che vadano di pari passo con l’educazione all’ascolto.

Dall’ascolto alla produzione quindi, in un’ottica creativa e di riuso del materiale, popolare e non. Potrei riassumere così quanto detto finora?

Certamente. La combinazione di diversi stili e il loro ri-uso sono aspetti molto interessanti, anche perché non credo esistano musiche più “importanti” di altre e, ragionando con un approccio etnomusicologico, se una musica esiste, o è esistita, c’è sempre un motivo. Inoltre sono convinto che sia importante proporre ai nostri studenti un’apertura rispetto al punto di vista eurocentrico ed eurocolto: tre secoli e mezzo di storia della musica, certamente straordinaria, non possono però essere presi a paradigma e a pietra di paragone per l’intera umanità nei secoli! In questo senso ho cercato di creare dei percorsi che tenessero appunto insieme la dimensione inventivo-compositiva con quella esecutiva, convinto che in classe si possa e si debba fare sia un riuso creativo e una lettura delle musiche colte – quindi provenienti da fonti scritte – sia delle musiche di tradizione orale del mondo attuale e del nostro passato. Inoltre, rispetto al tema del riuso, credo sia fondamentale far capire ai ragazzi il tema dell’identità di un brano, del portato culturale che lo accompagna, del contesto e della funzione che lo hanno generato. Non ultimo, rifletto sempre con i ragazzi su una questione di carattere direi etico (che dovrebbero porsi anche molti pubblicitari!), che si potrebbe riassumere con «cosa andiamo a fare con questo materiale?». Questi aspetti vanno tenuti in grande considerazione e rispettati e ci riportano al concetto alto di valore della musica, slegata dalla mera funzione di intrattenimento. 

Conclusioni

Il processo della musica d’assieme corale e strumentale, la rilettura con margini di improvvisazione e l’apprendimento che coniuga l’esperienza orale e le sue trascrizioni scritte, danno conto e ci restituiscono i diversi e complessi piani che coinvolgono l’esperienza musicale. Il mutare del repertorio etnico attraverso le numerose ri-creazioni che via via lo arricchiscono di nuova linfa – comprese quelle dei nostri studenti! – diviene quindi tema importante per una storia della musica e per una didattica che partono da un repertorio apparentemente lontano e arcaico, ma che invece si avvicina, si interfaccia e rinasce costantemente attraverso il riuso ai giorni nostri, con i nostri alunni e le nostre classi multietniche. Ne abbiamo tanto bisogno!

Enrico Strobino

Nato nel 1957, a Trivero (Biella), laureato in Etnomusicologia al Dams di Bologna con Roberto Leydi, è ricercatore e formatore nell’ambito della pedagogia e della didattica musicale e insegnante di musica per quarant’anni nella scuola secondaria di primo grado. Svolge la propria attività di ricerca all’interno del Centro Studi Maurizio Di Benedetto di Lecco. È autore di canzoni e altre musiche per bambini. Ha pubblicato numerosi testi per le più importanti case editrici del settore.

1. Citazione del bel testo di E. Strobino, Il canto popolare, una risorsa per la didattica musicale, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro, PU, 2019 del quale presenterò alcune riflessioni in questo articolo.
2. In AA.VV., Annali delle Pubblica Istruzione, Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione. Numero speciale 2012, Le Monnier, Firenze, 2012 (pag. 70).
3. G. Guiot, Guida al cantar leggendo di Roberto Goitre, Milano, Edizioni Suvini Zerboni, 2000, pag. 94.
4. Immancabile un brano del repertorio delle Mondine (Senti le rane che cantano o Sciur padrun), Vitti ’na crozza, Funiculì Funiculà, una qualche canzone del Maggio toscano e davvero poc’altro.
5. Il sopracitato testo di E. Strobino, Il canto popolare, una risorsa per la didattica musicale, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro, PU, 2019. Segnalo anche i testi di Serena Facci, dedicati più strettamente ad addetti ai lavori: Chants d’Italie. Pour chanter ensemble de 8 à 14 ans, Cité de la Musique, Paris (con Gabriella Santini), 2012; Capre, flauti e re. Musica e confronto culturale a scuola, EDT, Torino, 199

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