Come sempre accade ai viaggiatori, il senso autentico dell’esplorazione si acquisisce lentamente, a ogni passo, e a ogni singolo respiro. Raggiungere la prima collina, scoprire nuovi orizzonti, anche se velati da impalpabili nebbie, e riprendere il cammino, ancora, sino alla successiva linea di mare.
L’avvio dell’esperienza Cantar Storie risale a ormai più di quindici anni or sono, sulla spinta del desiderio di recuperare cinque, sei canti dalle voci degli anziani dell’Ossola, affidarsi a un paio di validi musicisti e pubblicare un agile volumetto destinato alla coralità: s’avviarono così i primi dibattiti, incontri e riflessioni, stimolate dai preziosi consigli di chi era esperto in quel campo a noi del tutto sconosciuto. V’era, già allora, la vibrante emozione dell’affacciarsi all’inedita esperienza di una ricerca sul campo, trovandosi di fronte alle insidie, alle molte difficoltà, ai momenti critici legati principalmente alla cruciale e delicata fase dell’avvicinamento, rivolta a chi custodisce canti e storie nei propri ricordi, autentici “reperti” di memoria, indissolubilmente legati all’essenza di una vita [2].
Da quei giorni sono trascorsi molti anni, e siamo giunti – con un vero e proprio “salto nel tempo” – al 2015: oggi Cantar Storie è una radicata associazione culturale, con sede a Domodossola, una sua organizzazione e un buon numero di soci. È stato creato un archivio sonoro, oggi completamente digitalizzato, che non s’è fermato a quei “cinque o sei” esiti, ma ne conta oltre un migliaio… inventariati, trascritti, e naturalmente a piena disposizione di chiunque li voglia ascoltare e ottenerne copia [3]. Sopra a quegli esiti sono state poi realizzate oltre 100 elaborazioni, dirette a cori a voci virili e miste, confluite nei tre volumi a oggi pubblicati dall’editore Grossi di Domodossola, con allegati (a partire dal secondo volume) i CD-audio contenenti una scelta delle esecuzioni alla fonte dei brani musicali.
Volendo completare la disamina, è impossibile non citare, poi, le numerose opportunità di studio e confronto: convegni, incontri, approfondimenti svolti in diverse regioni italiane e all’estero, oltre alla pubblicazione di articoli e saggi su riviste di settore, e l’attuazione di iniziative a livello nazionale e comunitario [4]. Non ultima, la costituzione (nel 2001) di un nuovo e innovativo progetto di coralità: il Laboratorio Corale Cantar Storie [5].
Ma è ora importante, prima di tutto, soffermarci su quelle che sono state, sin da quei primi passi, le scelte “di base” che abbiamo voluto assumere. Spesso ripensate, valutate, discusse… ma s’è voluto affrontare, con chiarezza e rigore, ad alcune domande-chiave da cui non si poteva prescindere. E queste sono state le nostre risposte:
Da qui è partita la nostra proposta, di certo ambiziosa, e oggetto di continui ripensamenti, approfondimenti, valutazioni… strettamente e intimamente connessa a quella Coralità dell’Arcaico in più occasioni oggetto di divulgazione e analisi [9]. Il punto di partenza è stato in questo caso una semplice riflessione: un coro (qualsiasi tipo di coro, a voci virili, miste, di adulti, giovani o fanciulli) che s’accinge ad affrontare un repertorio basato sulla tradizione orale, può e deve acquisirne piena consapevolezza, e assumere – di conseguenza – un proprio ruolo preciso. Perché il coro (e naturalmente il suo direttore, ma anche ciascuno dei cantori) è allo stesso tempo interprete e messaggero, nei confronti di se stesso e del suo pubblico, portavoce di un percorso alquanto esteso e complesso. Ci si protende verso quell’Arcaico che da millenni accompagna l’esistenza dell’umanità, e più in generale della natura intera, che attraverso l’arco e l’orizzonte del tempo si è sedimentato in esiti orali tramandati, appresi e trasmessi, in costante e continua evoluzione: sono i canti che dopo una fase di acquisizione e archiviazione, grazie all’attività compositiva giungono di fronte a un pubblico pronto ad ascoltarne l’esecuzione.
Questo percorso conosce molteplici e fondamentali attori (che in alcuni casi possono coincidere): i cantori spontanei, noti e ignoti, il ricercatore, l’etnomusicologo, il musicista, il coro e il suo direttore: ognuno di essi è chiamato ad assumere un ruolo, che non è di certo (né lo potrà mai essere) casuale, o improvvisato. per poter affrontare come merita questo tipo di questione, è stato necessario (ancora una volta) rispondere a una fondamentale domanda-chiave. Ci troviamo di fronte a canti acquisiti (nel caso specifico) sul territorio delle valli dell’Ossola, in piccoli paesi circondati da austere montagne… ma ha senso che si parli di canti ossolani, oppure, piemontesi, così come di canti alpini, lombardi, toscani, laziali… basandosi unicamente sul luogo geografico ov’è avvenuta la loro acquisizione? Il tema è stato trattato diffusamente in altre sedi e interventi (con il sostegno di numerosi esempi), ai quali si rimanda per un approfondimento…[10] ma la risposta, lo possiamo anticipare, non può che andare in una sola direzione: altro che reperti di piemontesità…! Altro che canti di montagna…! I nostri esiti non sono altro che vascelli, frammenti d’arcaico che da secoli e millenni continuano il loro viaggio, senza conoscere freni od ostacoli, siano essi di natura linguistica, morfologica, politica o religiosa. È, il loro, un continuo e inarrestabile fluire, e là possiamo innegabilmente riconoscere l’impronta di quell’esteso orizzonte di archetipi, quel coacervo di voci e fantasmi della memoria, incubi ancestrali e sogni senza tempo che voci incaute e miopi spesso riconducono a mere espressioni localistiche, figlie di quel concetto di “canto popolare” tanto nostalgico e intriso di vene sentimentalistiche. Non serve rivelare quanto il nostro progetto sia lontano da questa “logica del forziere”, colmo di “dimenticati tesori”, di cui ancor oggi si sente spesso accennare nelle sale da concerto, o tra le pagine delle pubblicazioni corali del nostro paese.
Pensiamo per un momento di trovarci di fronte a una di quelle navi che di tanto in tanto riaffiorano dalle onde di sabbia dei deserti, là dove un tempo c’era il mare. Potremmo, certo, soffermarci a comprendere cosa sia avvenuto durante quell’infinito trascorrere di anni, valutare gli effetti del vento su quei resti di legno, sconvolti dall’incedere di secoli e millenni. Ma ben altra avventura è lo spingerci oltre, tornando coi pensieri a quel mare di un tempo, là dove la nostra nave viaggiava, ripercorrendone le rotte ormai invisibili. Quali terre ha attraversato, quanti marinai v’hanno lavorato e vissuto, in quali porti ha trovato un suo approdo sicuro? Ecco uno dei punti principali che ha ispirato il nostro lavoro: pensiamo alla cruciale figura del musicista che s’avvicina a un esito arcaico. Egli non si trova di fronte solamente una registrazione (emozionante, viva, a volte difficilmente decifrabile, dal ritmo stentato)… e nemmeno un semplice rigo musicale, con note, pause, versi e indicazioni trascritte da un buon etnomusicologo. Testo e melodia coesistono, ma ognuna conserva le proprie celate implicazioni, sotto al livello di superficie (quello dell’esito acquisito alla fonte) s’allungano radici protese verso un magma di ricordi umani e (lo si può presumere) pre-umani, un percorso che non si limita al semplice trascorrere dei secoli, ma estende il proprio respiro ai millenni, e alle ere.
Dunque, quando a quell’esito s’accosta, l’elaboratore non lo fa con la semplice “etichetta” di musicista… sarà di volta in volta sensibile uditore, un sagace e paziente archeologo, e anche un aspirante sciamano, capace di scostare con estrema cura la sabbia del tempo, intravedere forme e sagome accennate nella nebbia, rinunciando alla propria personalità espressiva per far spazio a quella, impersonale, dell’Arcaico. Ma quello spazio non resterà vuoto: l’arché ci soffia attraverso, col suo vento.
Ecco. Da qui, siamo partiti per questa nuova avventura. Trascorsi ormai sedici anni da quei “primi passi”, dopo aver guardato verso i cori a voci virili (nei primi due volumi), e a quelli a voci miste (nel terzo), ci siamo voluti rivolgere all’affascinante e stimolante mondo dei cori a voci bianche, dunque ai bimbi e al loro “far musica cantando”. Non senza – è inutile nasconderlo – una sorta di timore, nell’avvicinarci in punta di piedi a una dimensione tanto sensibile e delicata, nella quale la pratica della coralità è intimamente connessa a un vibrante lato “pedagogico” e di alfabetizzazione musicale, che anzi si spinge a lambire gli estesi confini di quella maieutica così cara a Zoltán Kodály. Impossibile non ricordare, a questo proposito, l’opera di Giovanni Mangione, che nell’introduzione al suo La riscoperta della musica volle tornare alle illuminanti parole di Carl Gustav Jung, a proposito della necessità di «…trovare il modo di gettare un ponte tra realtà conscia e realtà inconscia», riconducendo alla pedagogia (e in modo specifico a quella musicale) un «compito difficilissimo da svolgere: costruire pietra per pietra il famoso ponte». E ancora, riconobbe la musica come «uno dei modelli archetipi contenuti nell’inconscio, […] insito come realtà primaria in tutti gli uomini» [11].
Queste profonde meditazioni, unitamente alla preziosa esperienza condivisa sino al 2012 all’interno dell’Associazione Italiana Kodály per l’Educazione Musicale (AIKEM), e agli intensi e indimenticabili momenti di studio vissuti tra le mura dello Zoltán Kodály Pedagogical Institute of Music di Kécskemét (in Ungheria), hanno portato chi scrive a rivalutare quelle “scelte di base” ricordate all’inizio, con l’intento di applicarle alla coralità infantile, e ai suoi sottili e soffusi equilibri.
Ebbene, la risposta alle nostre “domande chiave” non è cambiata, e così l’impostazione dell’opera, sia in merito alla rilevanza degli esiti alla fonte, che alla definizione dell’apparato metodologico, passando per il “doppio binario” e facendo sì che, pur rivolgendoci al mondo dell’infanzia, non fosse in alcun modo affievolito il desiderio di realizzare un progetto rigoroso e specialistico, dunque non “semplificato”.
Siamo convinti (come lo era, pienamente, Kodály) che sia del tutto appropriato offrire a un coro a voci bianche un repertorio basato su canti della tradizione orale arcaica: se è vero (e non c’è motivo per dubitarne) che ci stiamo rivolgendo all’infanzia dell’uomo, appare quanto più opportuno e rilevante trarre a piene mani da esiti che hanno in sé frammenti dell’infanzia dell’umanità.
E pur escludendo – nella fase preliminare di scelta – alcuni esiti che non sembravano appropriati (per linguaggio, contenuti o ambientazione) alla dimensione infantile, non s’è applicata una troppo severa “censura”, dimostrando di non aver in alcun modo paura dell’Arcaico, e delle sue parole.
Anche in questo caso, dunque, i musicisti hanno potuto vivere con estrema libertà la propria attività espressiva, senza alcun vincolo o limitazione: troverete tra le pagine del volume elaborazioni a due, tre, quattro, cinque voci… strutture semplici o più complesse, sino a diventare, in alcuni casi, vere e proprie “sfide” per i nostri piccoli e grandi gruppi corali. Tanto che non sembra avventato sostenere la possibilità che anche cori a voci pari (e adulte) possano felicemente affrontare alcune di queste elaborazioni, a scopo di buon esercizio o – in alcuni casi – anche a un compiuto livello espressivo.
Vi sono, poi, alcune “scelte specifiche”, come sempre attentamente meditate, che sono state rivolte in modo mirato al volume che tenete oggi tra le mani.
In ultimo, saremo naturalmente felici se questa nostra opera troverà una sua diffusione non solamente tra i cori a voci bianche (che, ne siamo certi, sapranno trarre nuova ispirazione per ampliare il proprio repertorio, volgendolo nella direzione della tradizione arcaica), ma anche tra le aule degli istituti scolastici. Confidiamo nella sensibilità degli insegnanti, e nella loro capacità di trovare nuovi stimoli, materiale didattico e idee capaci d’affascinare e coinvolgere i propri alunni, infondendo in loro quella passione che mai abbiamo smesso di sentire, spesso con viva e autentica emozione, di fronte a questi frammenti d’antico universale. Intraprendere questo percorso sarà, per chiunque se ne voglia accostare, un’avventura da compiere con sapienza, e un senso di profonda umiltà. Fermandosi a riflettere, a studiare, nel silenzio della propria aula o sala prove, e avviare un percorso che – se ben intrapreso – si protrarrà negli anni, senza mai veramente approdare a una sua conclusione. Come ben sa ogni studioso, ricercatore, o viandante, il viaggio non termina mai: questo infonderà ulteriore forza e convinzione alla nostra attività, e a ciò che porteremo ai nostri piccoli cantori, sulla spinta della sensibilità di tutti i musicisti che con noi hanno condiviso la loro opera di archeologia corale. Dentro e oltre le note e i silenzi, là, verso il lento e placido fluire dei nostri amati venti d’arcaico.