La sua passione e il bisogno di andare oltre le restrizioni formali lo guidano a spingersi sempre più a fondo nelle possibilità dello strumento voce. La sua incessante ricerca attraverso la world music e la sperimentazione, le sue forti radici nella musica jazz e la sua eccezionale abilità di improvvisatore lo portano alla creazione di un nuovo genere musicale: l’Epic Jazz. Le vaste e solide competenze tecnico-stilistiche, unite a una grande sensibilità umana e pedagogica, lo rendono uno dei più noti e ricercati insegnanti di canto e le sue masterclasses sono affollatissime sia in Italia che all’estero.
Dal 2005 partecipa al Convegno internazionale di foniatria e terapia della voce La Voce artistica di Ravenna e collabora attivamente nella ricerca sulla voce con importanti specialisti in campo internazionale quali il notissimo foniatra Franco Fussi. Mettendo l’arte al servizio della scienza, Hera alimenta la propria ricerca vocale e introspettiva, atteggiamento che rende il suo canto dinamico e in continua evoluzione. Da questo incontro il suo approccio al suono e la sua libertà espressiva esplodono con grande energia. Nel 2009 collabora con Bobby McFerrin al progetto Bobble presentato in anteprima allo Stimmen Festival. Nel 2010 viene invitato dallo stesso McFerrin a cantare nell’ambiziosa opera arrangiata da Roger Treece Vocabularies, vincitrice del premio miglior album di world music ai prestigiosi Image Awards. Ha all’attivo tre album: Positive Consciousness (2006), AriA (2011) e SoloS (2016). Altre collaborazioni significative lo vedono come special guest al London A-Cappella Festival 2012 (evento curato dai Swingle Singers) vicino ad artisti di fama internazionale quali Paolo Fresu, Antonello Salis, Petra Magoni.
Albert, facciamo un po’ di storia: cos’è e come possiamo definire una circlesong?
Circlesong è una particolare modalità di canto corale, una pratica davvero ancestrale in cui i coristi sono disposti in cerchio, ripartiti per sezione. Al centro di questo cerchio vi è un conduttore/facilitatore che in un processo di composizione estemporanea crea e assegna progressivamente specifici moduli ritmico-vocali costituiti da fonemi nonsense, ripetuti in una sorta di loop. Alla sequenza musicale iniziale vengono gradualmente sovrapposte nuove sequenze ritmico-melodiche improvvisate sempre dal facilitatore che funge anche da solista. Le armonizzazioni e invenzioni vocali nate da questo ensemble assumono una forma musicale irripetibile, inedita e articolata, che dura dai sette ai dieci minuti, con scomposizioni e ricomposizioni in corso d’opera che la rendono un unicum!
Che meraviglia! Quando comincia a essere conosciuta e a diffondersi questa pratica?
Si comincia a parlare di questa pratica del cantare in cerchio nel 2000, quando Bobby Mcferrin pubblica l’album Circlesong. L’archeomusica e l’etnomusicologia tuttavia testimoniano che le più antiche tradizioni musicali orali – a partire da quelle africane dei Griots e dei Pigmei, fino a quelle dei Nativi americani, passando per le tradizioni asiatiche, arabe, dell’Est Europa – erano eseguite in questo modo. In passato vi era certamente una funzione rituale, aggregante, taumaturgica per questi canti che nascevano per questa o quella funzione. Oggi l’odierno facilitatore, che di fatto è il compositore in tempo reale delle musiche, sceglie e organizza i pattern ritmico-vocali secondo la sua estetica musicale, spesso molto vicina alla word music e/o al minimalismo, e utilizza particolari segnali per gestire l’esecuzione polifonica.Musicalmente le circlesongs si basano sulla ripetizione di fonemi legati armonicamente tra loro, ma dal punto di vista ritmico si possono creare sovrapposizioni molto ardite! Questo tessuto vocale è creato e affidato dal conduttore alle varie sezioni del cerchio e con questo atto estemporaneo il facilitatore dialoga e propone improvvisazioni e variazioni ritmico/melodiche. Per quanto riguarda la diffusione in Italia, negli ultimi dieci anni molti miei allievi hanno cominciato a insegnare, quindi siamo attualmente il Paese al mondo che ha più facilitatori di circle!
Albert, ci racconti in cosa consiste la tua attività?
Ho cominciato nel 2002 a girare l’Italia proponendo pioneristici seminari e spettacoli di circlesongs in molti teatri italiani, con grandi consensi di pubblico e critica. Ho lavorato molto per costruire un approccio personale a questo modo di fare musica, in cui la finalità artistica si intreccia con quella didattica: migliorare la padronanza dello strumento vocale riscoprendo e attingendo alle proprie emozioni e al piacere di cantare insieme. Inizialmente si avvicinavano a me persone che credevano di non essere in grado di cantare, tranquillizzate dal fatto che nei miei laboratori non fossero richieste competenze pregresse ma si partisse dal canto come esperienza umana, ovvero come riappropriazione della relazione tra la propria voce, un gruppo e un facilitatore. Ebbene, in questi diciotto anni ho incontrato e fatto cantare un numero incredibile di persone – oltre 12.000 coristi singoli – e sono molto contento di questa intervista per Feniarco perché attraverso la mia attività ho letteralmente iniziato moltissime persone alla pratica del canto, molte delle quali poi si sono appassionate e hanno deciso di cantare stabilmente in un coro. E sono molto contento che adesso, circolarmente, Feniarco e il mondo dei cori si interessi a ciò che faccio!
Albert, sono senza parole… 12.000 persone! E quali sono le caratteristiche peculiari di una circlesong rispetto a una pratica corale diciamo tradizionale?
Cantare in cerchio è un’altra cosa, il cerchio definisce il potenziale, è un’attività open, di ambienti, di viaggi, di immaginazione, di sound painting ma le circle non salgono in cattedra, anzi sono al servizio della musica! Con le circle si conseguono esperienze diverse rispetto al mondo corale, a partire dall’incredibile unicità di ogni brano nato da un’improvvisazione, dalla stimolazione di processi mentali di attenzione continua ai segnali (che sono ben 42!), al sorprendersi della musica che è in continuo e inaspettato divenire… Oltre a queste esperienze uniche, la circlesong coinvolge altre aree comuni al canto corale tradizionale, quali la dimensione corporea (movimento, ritmo), cognitiva (memoria, attenzione), socio-emotiva (ascolto, sintonizzazione, coordinazione tra le sezioni). Ne risulta un’esperienza di profondo assorbimento in cui le dimensioni emotive ed esperienziali si fondano.
Tu insisti molto sul fatto che le circle trasmettano un grande senso di libertà: ci vuoi spiegare cosa intendi?
La circlesong vive di libertà! Senza partitura questo dato è tangibile. L’approccio orale stimola un upgrade di energia, un’individualità corale, una libertà corale al di fuori della lettura!
Albert, dopo diciotto anni di lavoro solitario e apparentemente sconosciuto agli addetti ai lavori, hai appena conseguito un risultato straordinario: far entrare le circlesongs dentro una facoltà di area medica. Ci vuoi raccontare questa conquista?
Sono davvero commosso e fiero di avere lavorato insieme al notissimo foniatra dottor Franco Fussi per far nascere il primo corso al mondo di Alta Formazione in Circlesinging presso l’Area Medica dell’Università di Bologna. Il corso struttura l’esperienza del cerchio come pratica lavorativa in ambiti abilitativi artistici e riabilitativi socio-sanitari, creando la figura del Facilitatore della Comunicazione. Ha come obiettivo quello di far acquisire a professionisti dell’educazione, della riabilitazione, musicisti, insegnanti di canto, musicoterapeuti/ musicoterapisti e infine logopedisti competenze specifiche nell’area dell’applicazione dell’attività di Circlesinging Facilitator. È il sogno di una vita che si realizza!
Esperienza artistica ed esperienza terapeutica quindi: due facce della stessa medaglia?
Sì, ne sono assolutamente convinto. Anzi, aggiungerei una terza dimensione: quella didattica. Esperienza artistica, didattica e terapeutica quindi. Il coro è strumento umano di benessere da sempre, pensa solo alla ripetizione di un modulo ritmico come un mantra, esperienza nota fin dall’antichità per determinare benessere psicofisico, quasi di trance vigile. Portare il coro dentro l’area medica vuol dire per me dare forma e istituzionalizzare ciò che da anni facevo come pratica didattica e del benessere esecutivo: progetti di recupero dall’Alzheimer a Trento, terapia per l’autismo ad Ancona o di recupero sociale nelle prigioni a Sassari. Questo risultato quindi è frutto di una progettazione complessa che mi ha portato a fare, oltre a tutte le esperienze di cui ti ho parlato, anche workshop nei teambuilding bancari fino ad arrivare di recente nei conservatori! E io continuo a credere che sia importante divulgare questo approccio proprio nei luoghi in cui non veniva compreso!
Ed è proprio per arrivare a un pubblico più vasto che sei ospite fisso del programma Voice Anatomy?
Anche questo è un risultato di cui vado davvero fiero! Un programma in seconda serata su Rai2 in cui si parla solo e unicamente della voce, cercando di abbracciare tutte le professioni artistiche che hanno nella voce la loro materia costitutiva: cantanti, attori, doppiatori… La voce è un elemento fondamentale del nostro essere umani ma la si dà molto per scontata. Dovremmo tutti imparare a usarla bene, a prescindere che si tratti del nostro veicolo professionale, o per dimostrare affetto, inneggiare, essere assertivi, esprimere idee, pensieri… La voce spesso tradisce – con incrinature e velature – particolari stati d’animo, emozioni, o segreti che non vorremmo rivelare. Perché la domanda di fondo su cui interrogarsi quotidianamente io credo sia: conosciamo davvero la nostra voce?