Lo scorso 24 e 25 novembre si è tenuto nell’Auditorium dell’Accademia Teatro alla Scala di Milano il 3º convegno Midas, avente come tema “il canto nella scuola, dall’infanzia alla professione”.
Midas non è un metodo, come spiega l’ideatore e coordinatore dell’evento Carlo Delfrati dopo i brevi saluti della direttrice dell’Accademia Luisa Vinci, ma un modello di insegnamento dinamico delle arti dello spettacolo. Ciò che propone è un percorso formativo rivolto agli insegnanti di scuola primaria e secondaria che prevede l’approfondimento di tematiche relative all’insegnamento della musica e del teatro musicale all’interno delle scuole, con particolare attenzione a metodi e dinamiche finalizzati al coinvolgimento e alla partecipazione attiva degli studenti. Particolare attenzione viene data all’individuazione di modelli vincenti (e perdenti) nei sistemi educativi, alle tecniche di coinvolgimento attivo degli allievi, a come strutturare una lezione di musica, alle strategie di lavoro cooperativo, al lavoro di gruppo, alla tipologia dei laboratori musicali e alla strutturazione di percorsi interdisciplinari.
Carlo Delfrati, nell’introdurre i docenti partecipanti a questa edizione, ha sottolineato più volte l’importanza del canto e del coro all’interno della scuola. Il relatore Dario Grandini, direttore del coro di voci bianche dell’Accademia, ha intrecciato il ricordo dell’esperienza totalizzante di piccolo cantore del coro di voci bianche del Teatro a suo tempo diretto da Bruno Casoni all’esperienza attuale di direttore. Allora come oggi missione imprescindibile del maestro è avere rispetto assoluto per la voce del bambino, sia quando canta che quando parla poiché, quanto più il materiale vocale e umano è piccolo, tanto più alto deve essere il riguardo. La voce è uno strumento misterioso, intangibile, che mette in gioco l’essenza più profonda del bambino e per questo spesso è necessario lavorare per immagini perché, a differenza dell’insegnamento di uno strumento, il direttore di coro lavora con quanto di più intimo e interiore esista. Quando il direttore propone un esercizio al coro deve essere ben preparato e convinto della sua efficacia altrimenti l’esercizio e il direttore stesso diventano privi di efficacia e credibilità. Grandini ha sottolineato che i principi morali, professionali ed etici che muovono un direttore devono essere sempre gli stessi, in tutti gli ambienti in cui opera, e con i piccoli questo diventa una necessità poiché i bambini percepiscono subito se l’attenzione nei loro confronti è autentica: solo così daranno il massimo, sia in prova che durante la performance. Il rispetto e l’attenzione sono ad ampio spettro, non coinvolgono solo la voce ma anche la postura e il tono di voce nel parlato e, essendo il coro il miglior esempio di democrazia, di tutto questo i bambini devono essere a conoscenza e coscienti affinché ciascuno di loro lavori per il bene comune. Grandini ha raccontato che durante le prove si trova a ripetere più volte che la voce è uno strumento prezioso, non si può né sostituirla né danneggiarla con urla e parole inutili ad alta voce e richiede spesso al coro di rispettare il silenzio quando un compagno parla, affinché diventi una necessità del gruppo avere la concentrazione necessaria per lavorare al meglio. In ogni prova viene dato grande spazio alla respirazione, alla postura e al rilassamento del corpo con esercizi attinti anche dal thai chi e qi gong.
Il relatore Giorgio Ubaldi, nel suo intervento incentrato sul tema “stonati si diventa”, ha interagito spesso con i corsisti per permettere loro di sperimentare con la propria voce esercizi pratici mirati al recupero dell’intonazione, riportando la propria esperienza di direttore del coro di voci bianche presso la Civica scuola di musica Claudio Abbado e di docente di musica in molte scuole di Milano e provincia. Ubaldi ha constatato che il gran numero di bambini stonati e amusici sia purtroppo da attribuire anche a una scarsa competenza delle maestre che insegnano educazione musicale nella scuola primaria. I metodi utilizzati sono spesso poco corretti e portano il bambino a rovinare voce e intonazione. Non solo i metodi, ma soprattutto i repertori scelti portano a queste conseguenze. Ubaldi ha molto a cuore questo tema e per far fronte al problema ha scritto nel 1986 una raccolta di 138 canoni da tutto il mondo intitolata Cantintondo, edita da Carrara, di cui ha proposto una selezione alla platea che si è improvvisata coro scolastico.
Nella ripresa pomeridiana l’intervento laboratoriale di Lisa Gallotta ha coinvolto i corsisti nella simulazione di varie fasi di un ciclo di lezioni che lei stessa svolge nelle scuole, dimostrando la metodologia adottata per l’apprendimento delle arie d’opera nel progetto che quest’anno il Teatro alla Scala dedica all’Elisir d’amore di Donizetti. Cuore della metodologia è il movimento legato alla musica e lo sviluppo dell’audiation già teorizzato da Edwin Gordon.
La prima giornata di studi si è conclusa infine con l’intervento di Carlo Delfrati che ha introdotto il tema dell’importanza della prosodia e di quando la prosodia sia già in realtà musica. I latini chiamavano la prosodia cantus, moltissimi musicisti e filosofi (Janáček, Bellini, Diderot) scrissero importanti trattati sulla prosodia e secondo Delfrati bisognerebbe ritornare a svolgere una vera e propria educazione prosodica nelle scuole. Ha consigliato a questo scopo di far comporre ai ragazzi partiture prosodiche e, dopo aver proposto la teatralizzazione corale della filastrocca milanese Ti che te tachet i tac, l’incontro si è concluso con grande enfasi sulla recitazione corale della poesia di Salvatore Quasimodo Alle fronde dei salici.
[Chiara Casiraghi]
Nel suo intervento “Processo al solfeggio. La lettura cantata”, Alberto Odone, docente presso il Conservatorio Verdi di Milano, si è addentrato negli aspetti concettuali e didattici della teoria ritmica, della percezione musicale e dell’ear training. L’apprendimento informale della musica sembrerebbe molto simile al percorso di formazione naturale incunabola cui l’infante è esposto nel suo rapporto col mondo sonoro e linguistico in cui cresce, nella pratica indiretta di ascolto ed emissione dei suoni articolati in discorsi o semplici emissioni sonore. L’ascolto porta il bambino a una progressiva esperienza pratica che lo condurrà a organizzare, attraverso spontanee competenze linguistiche, un efficace utilizzo per assimilazione imitativa. L’esperienza audio-orale è quella su cui il discente può elaborare, semplificata o codificata poi nelle dinamiche intervallari di deriva scolastica e funzionale a una formalizzazione grafico-descrittiva di un processo percettivo. Così dalla melodia deriva una linea guida, alla quale può essere abbinata una linea di basso, altre linee guida più o meno elaborate (da qui il senso lessicale di elaborazione), fino all’improvvisazione come esposizione sempre più libera, autodiretta ed evolutivamente dissociata da una formalizzazione grafica. L’efficacia dunque di un approccio didattico si fonda sulla capacità di esprimere la musica attraverso un’organizzazione pre-grafica e pre-formale e un suo fluire estemporaneo-spontaneo.
Infine Maria Luisa Merlo, nel suo intervento, ha descritto le possibili tattiche e gli stratagemmi da mettere in atto con i bambini per stimolarne l’interesse e favorirne il coinvolgimento nell’apprendimento della musica.
[Andrea Natale e Daniela Nason]