Senza dubbio, è da lì che si parte. Il frutto non si materializza improvvisamente, bello tornito, colorito e saporito, senza un lungo, infaticabile e costante lavoro che vede gli albori di fronte alla prima zolla da rendere fertile.
È la parabola stessa della vita a insegnarcelo: un bimbo nasce e, dopo sei anni di solo linguaggio ascoltato e pian piano parlato, può cominciare ad associare il suono a un segno; passano poi altri (in media) diciotto anni, prima che il giovane adulto si “specializzi”, raggiungendo un apice di dimestichezza e approfondimento di almeno un ambito del nostro mondo. Tale e quale è per la musica.
L’orecchio musicale (ricordiamo che l’udito è il primo organo che in grembo della mamma si sviluppa!) ha il suo apice di sviluppo tra i quattro e i sei anni, poi comincia a scendere. Et voilà, altro non serve dire, per porre il dito nel punto esatto da cui tutto ha la base di partenza. Come la mamma parla al neonato senza attendere risposta, reazione alla pari, e non gli parla con un solo monosillabo alla volta, così di fronte a un bimbo dev’essere l’atteggiamento dell’insegnante: essere musica per lui, parlare quella lingua con tutte le sue caratteristiche, senza selezionarne il presentarsi singolarmente, vivendone in se stesso la bellezza, la profondità, l’emozione. Una gran fatica. Sicuro. La fatica di accendere una luce e donare la vista per poterla guardare e seguire. La fatica di seminare in ogni condizione climatica, difendendo il seme e i germogli dalle intemperie, dalla possibilità di disperdersi. La fatica di accendere una luce col timore che un soffio distraente la spinga in un’altra direzione, o la spenga addirittura. Una fatica “gratuita” del cuore, ma indispensabile.
Ormai da tempo, da parte di molti compositori italiani vi è una cura attenta per ciò che riguarda il repertorio dedicato ai bambini: a differenza del cantore del coro di voci bianche, il bambino deve essere ancora nutrito di musica, di poesia, prima di essere in grado di raffinare le sue esecuzioni, con voce impostata e intonazione curata. Il coro di bambini ha il caratteristico suono argentino, allegro e carico di energia e di tutti gli “extrasuoni” possibili immaginabili! Ha bisogno di basarsi su un testo appropriato, che passi un messaggio che sia poetico, che sia narrativo, che sia una filastrocca, che porti con sé un insegnamento, che sviluppi la sua fantasia, che gli insegni ad articolare molte parole e a memorizzarle insieme alla musica; per questo i brani che si sceglieranno per una prima elementare avranno un testo di lunghezza e difficoltà moderati, e di anno in anno potranno aumentare in difficoltà, lunghezza e profondità di tema. Privilegiare i testi in lingua italiana aiuta a sviluppare con più sicurezza e familiarità questo linguaggio, ma non facciamo mancare brani in inglese (ormai seconda lingua obbligata), oppure in altre lingue, se nelle classi abbiamo bambini di altre nazionalità: l’inserimento e l’accoglienza passano anche da qui! Senza dimenticare la “musica delle parole”: il testo dei brani, così come di altre poesie o filastrocche, non necessariamente musicate, può essere occasione per sperimentare ritmi e timbri delle parole, facendone anche materiale che stimoli la creatività, trasformandolo in “partitura”.
Lo stesso criterio usato per la scelta dei testi sarà per la scelta musicale. Come dicevo, piccolo non è sinonimo di semplicistico o impoverito: se per una classe prima sceglierò una linea melodica cantabile, con un’estensione vocale che non scenda sotto il do centrale (anzi, spesso già il do centrale è basso) e non superi il re dell’ottava superiore, non per questo la vorrò con un sostegno privo di bellezza armonica e ritmica e privo di struttura completa. Di anno in anno anche l’aspetto musicale potrà farsi più complesso, l’estensione vocale aumentare, infittirsi la caratteristica ritmica, potrà affacciarsi la polifonia. Il tutto sempre proposto come «il brano più bello che si possa mai aver ascoltato», sempre, dalla fase iniziale dell’esecuzione modello, passando per le fasi di apprendimento, fino alle esecuzioni finali.
Parallelamente al repertorio, ciò che sviluppa l’orecchio e l’intonazione, sviluppa la consapevolezza del ruolo dei gradi della scala, sviluppa la capacità di intonare gli intervalli correttamente nelle diverse tonalità, attraverso il do mobile, è la chironomia: il sistema, formalizzato da Kodály, che associa a ogni nota un segno preciso, in una posizione ben precisa del corpo, che ne identifica non solo l’altezza e la posizione nella scala, ma anche il suo ruolo, in rapporto alle altre. Se proposto con la costanza di una pratica che deve diventare abitudine, questo sistema dà frutti notevoli, sia nella breve, che nella lunga gittata. Si sperimenti la chironomia sin dalla prima elementare, a una, poi a due voci (in ottimi casi, anche a tre): si arriverà in quinta ad avere bambini che potranno intonarsi da soli, leggendo, in totale autonomia, uno spartito in do maggiore, ma anche a due voci!
Il canto con le note e la chironomia preludono al canto in polifonia: il passaggio avviene attraverso il cantare a canone, preziosissimo strumento per imparare a cantare ascoltando più voci. Il canto a canone può essere proposto sin dalla seconda elementare e rimanere, come esercizio e divertimento, fino alla quinta. Una volta compreso il modo di esecuzione, i bambini trovano molta gratificazione nel poter sperimentarsi nei canoni a due o tre voci. A essi facilmente si possono associare gesti ritmici, percussivi o di movimento tipo “danza popolare”, che li rendono anche il momento più ludico della lezione di musica.
Provate a prendere, per esempio, il primo movimento dell’Eine Kleine Nachtmusik di Mozart e pensate di raccontare una storia che aderisca allo sviluppo musicale, rispettandone ed evidenziandone la struttura (A-A-B-A1-Coda) e le caratteristiche dinamiche, timbriche e ritmiche: poi, anziché usare le parole, mimatela sull’ascolto del brano. Oppure prendete Ondine di Ravel (da Gaspard de la nuit) e, facendo tenere a tutti i bambini le mani su un grande telo blu, seguite il flusso in cui vi porterà il brano, immaginandone la storia. Avrete proposto ai bambini una strada su cui comprendere la grande musica in diretto e stretto contatto con la loro fantasia e con la forza narrativa della musica.
Il tempo della musica deve avere una pulsazione precisa, una scansione ritmica delle attività che sia consona alla pulsazione della vita del bambino, che segua e assecondi, ma con l’intento di accompagnarlo a crescere e ad ampliarsi, il suo arco di attenzione. È fondamentale una programmazione serrata di ogni lezione, in modo da non lasciare “vuoti”, ma anche in modo da prevedere il declino dell’arco di attenzione del bambino, molto stretto in prima elementare, ben più ampio in quinta, ed essere in grado di farlo ripartire senza sforzo. Ricordiamoci che siamo sempre noi la causa di un apprendimento faticoso o poco fruttuoso, siamo noi a dover avere il polso della capacità di attenzione del gruppo (con uno sguardo simultaneo su gruppo e sul singolo).
L’essere musica e non insegnare musica sta alla base del miglior atteggiamento per trasmettere questo, come ogni, linguaggio in quanto comunicazione ed espressione di sé. Significa quindi essere liberi di mostrare la nostra passione, amplificare la nostra emozione nel vivere la musica, affinché il bambino ne sia avvolto e legga questo come principale ragione per lasciarsi trasportare e, nel tempo, viverlo in autonomia; significa cercare di evitare ogni forma di giudizio, soprattutto penalizzante per chi, come bagaglio naturale, non sia particolarmente “dotato”. Non lasciamoci soverchiare dalla preoccupazione dello stonato, è un falso problema e non è il centro della nostra meta. Aprire orecchie, menti, occhi e cuore attraverso e con la musica, lo sono.
Su queste basi solide si può proseguire un percorso formativo musicale, che altrimenti non è più appannaggio di nessun altro ordine scolastico: alle medie musicali ci si confronta già con uno strumento, che poi prosegue al liceo musicale, mentre il conservatorio è ormai solo istituto di alta formazione.
Chi poi prosegue nel campo della coralità, troverà facilità a inserirsi e a proseguire verso un’esperienza sempre più gratificante, raffinata ed emozionante. Fatemi infine lanciare un appello a tutti i musicisti: riservate una parte del vostro impegno e del vostro lavoro all'insegnamento ai bambini! È un loro diritto. È un nostro dovere. Ridiventiamo tutti un po’ contadini e faremo crescere una popolazione più aperta, più integrata, più accogliente e… più musicale!