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Il coro e la banda
Affinità e repertori

di Fulvio Creux
dossier "Il coro e la banda musicale", Choraliter 51, dicembre 2016

Mentre mi accingevo a scrivere quest’articolo, mi sono reso conto che, pur avendo trattato, nel corso dei non pochi miei scritti dedicati alla musica, molti argomenti, mai mi ero occupato di un aspetto interessantissimo e ricco di spunti: indagare nei rapporti tra il coro e la banda. Mi sono dunque messo al lavoro e mi sono chiesto da dove partire; l’idea mi è venuta quasi subito e, benché bislacca, ve ne voglio far partecipi: ho provato a cercare, sul web, quello che potrebbe essere il coro più famoso d’Italia… il coro che suona! Ovviamente non l’ho trovato, forse perché non esiste, forse perché non è poi così famoso e forse perché, se suonasse, non sarebbe un coro! 

Siamo a posto, avrà pensato il lettore, questo, forse, non sta molto bene. Non è così, o almeno, lo spero… perché, allora, il coro che suona?
Guardate la parata del 2 giugno: vedrete passare tante bande e, tra queste, ne sentirete una un po’ più stonata di altre che, però, è la più evidenziata dai cronisti di turno e la più applaudita dalle autorità perché, quando passa sotto la tribuna presidenziale, anziché suonare, canta! Detto questo, torno nell’alveo della serietà. Quanto ho raccontato è sicuramente poco consono a una rivista come quella che mi ospita, ma consono diventa se lo uso per introdurre una considerazione che deve essere fatta prima di ogni altra: mentre, in generale, si sa con chiarezza che cos’è un coro, non è così chiaro che cos’è una banda; a fare confusione sono, sovente, gli stessi operatori di questo settore!
Chiediamoci, dunque, perché non c’è nulla di strano nel dire la banda che canta, ma lo strano c’è nel dire il coro che suona. Semplice: se si parla di coro, si pensa da subito a un insieme di persone riunite fare musica; non così avviene, spesso, nel caso della banda; troppo sovente si guarda a questo insieme considerandone gli aspetti sociali piuttosto che quelli musicali. Da qui la stranezza di dire il coro che suona (sarebbe come dire il pianoforte ad arco) e l’apparente normalità di dire la banda che canta.

Quanto sopra impone, dunque, la necessità di definire qual è la banda di cui parlerò: non già quella intesa come fenomeno sociale, ma quella che deve essere considerata un argomento puramente musicale; così come il violino (e non chi lo suona) è un violino, un pianoforte è un pianoforte, l’orchestra (sinfonica e da camera) è quello che sappiamo, la banda altro non è che un “organico formato da strumenti a fiato e a percussione” [Nella tradizione di alcuni paesi si trova la presenza dei contrabbassi a corda e dei violoncelli]. Come tale, questo organico: può suonare male o suonare bene; può affrontare un repertorio colto (con brani originali o trascrizioni, classici e/o contemporanei, ecc.) o un repertorio della massima banalità; potremo incontrarlo durante esibizioni in teatri, sale da concerto, all’aperto o da supporto ad altre esigenze musicali (il pianoforte, del resto, oltre che in sala da concerto, lo troviamo al piano bar, dalle suore, e così via: sempre pianoforte è e rimane); in ultimo, può essere formato da direttori/componenti professionali o amatoriali. Sanno benissimo, i lettori di questa rivista, che la qualità di un coro amatoriale può in molti casi essere superiore a quella di un coro professionale (meglio sarebbe dire di professionisti).
Questa non breve introduzione mi permetterà di definire il campo di azione di ciò che dirò nei rapporti tra coro e banda (“banda” che definirò anche, con valore di sinonimo, orchestra di fiati): mi riferirò, di conseguenza, a quelle situazioni in cui il fare musica consiste nel proporsi (con migliori o peggiori risultati) in situazioni da concerto.
Chiedo però ancora, al lettore sopravvissuto, un attimo di pazienza.
Forse ripetendo concetti già accennati vorrei qui porre l’accento su come il percorso delle due formazioni musicali, anche limitandosi all’aspetto concertistico, sia quasi del tutto parallelo, infatti: troviamo cori/bande professionali e cori/bande amatoriali; troviamo cori folkloristici e bande folkloristiche [Nel caso delle bande folkloristiche non sempre troviamo la stessa serietà che nei cori; spesso – ahimè – si confonde il folklore con (scusatemi, non trovo modo migliore per dirlo) la caciarra]; assistiamo alla esibizione di entrambe le tipologie di gruppo in situazioni molto varie (sale da concerto, teatri, chiese, piazze, ecc.).
È giunto adesso, finalmente, il momento di approfondire il discorso; per farlo c’è una sola strada da seguire: parlare del possibile repertorio.
La seguirò tenendo conto in particolare della situazione italiana, sia perché ci interessa più direttamente, sia perché molto differente da quella, per esempio, degli Stati Uniti, dove la presenza in quasi ogni scuola o università di masse orchestrali e corali rende più comoda l’unione tra le due realtà.
Dividerò il repertorio in due grosse fasce: quello originale (nato per coro e banda) e quello trascritto (nato prevalentemente per orchestra lirico/sinfonica). Da quest’ultimo partirò.

Le “trascrizioni” nella letteratura per coro e banda

A) IL REPERTORIO DI ORIGINE SINFONICA
Ogni pagina sinfonica con coro, o quasi, è potenzialmente “trascrivibile” per banda/orchestra di fiati. Unici limiti potrebbero essere dati dalla orchestrazione particolarmente ricca di effetti legati al suono degli archi (armonici, glissati, ecc.) di alcuni rari brani, ma le possibilità sono, ripeto, molte.
Credo che la cosa migliore sia quella di indicare una serie di pagine esistenti [Sono qui compresi anche quei brani che, in effetti, appartengono alla letteratura operistica tedesca]; tra queste farò particolare riferimento a quelle che ho avuto occasione di eseguire nel corso della mia attività artistica: Wolfgang Amadeus Mozart, Cantata K429 Dir, Seele des weltalls (A Te anima dell’Universo) e Die Zauberflöte (Il Flauto Magico), coro finale Dir Strahlen der Sonne KV 620; Philipp Friedrich Silcher, Gloria; Richard Wagner, I Maestri Cantori di Norimberga, Wach auf! es nahet gen den Tag, Erth Eure deutschen meisterer; Gabriel Fauré, Pavane op. 50; Carl Orff, Carmina Burana; traditional, Arirang, Korean folk song; Choe Yeong-Seob, Nostalgia del Monte Kumgang (Montagna di diamanti), Korean folk song.

B) IL REPERTORIO DI ORIGINE OPERISTICA
Specialmente in Italia l’abbinamento coro-banda si basa su alcuni cavalli di battaglia della musica operistica. In questa letteratura, poi, le orchestrazioni originali, non sono mai troppo ricche di effetti particolari, per cui si può dire che è possibile trascrivere ed eseguire tutto. Anche qui la cosa migliore è passare alla citazione di alcuni titoli: Vincenzo Bellini, Norma viene dall’opera Norma e Casta diva (con soprano) dall’opera Norma; Giuseppe Verdi, Gli arredi festivi, Va’ pensiero, Oh chi piange (con basso) e Sperate o figli (con basso) dall’opera Nabucco, Gerusalem dall’opera I lombardi alla prima crociata, Vedi, le fosche notturne spoglie dall’opera Il trovatore, Spuntato ecco è il dì d’esultanza dall’opera Don Carlos, Gloria all’Egitto dall’opera Aida; Giacomo Puccini, Inno a Roma (con voce solista); Pietro Mascagni, Inno al (del) sole dall’opera Iris.
Ovviamente molti altri brani sarebbero possibili: restando a Verdi si pensi a O Signore, dal tetto natio, a Patria oppressa, a La vergine degli Angeli o, ancora, all’Inno delle Nazioni. Sempre nel novero della musica operistica potremmo inserire anche i possibili arrangiamenti di canti risorgimentali, che spesso hanno un sapore operistico; primo tra tutti l’Inno di Mameli (o meglio Il canto degli italiani, di Michele Novaro), che spesso capita di dovere eseguire ai cori.

Le letteratura originale per coro e banda

A) IL REPERTORIO STORICO
Se molte sono le cose che si scrivono sulle origini della banda musicale, nella diversità di opinioni un punto rimane fermo e indiscusso: la banda nasce all’epoca della Rivoluzione Francese, con il nome di orchestre militaire.
L’esigenza che è alla base di questo nuovo organico strumentale è quella di portare la musica (e con essa il messaggio delle nuove idee e ideali) alle grandi masse e di portarla in ampi spazi, quali potevano essere, a Parigi, il Campo di Marte o la Cattedrale di Nôtre Dame.
A questo scopo si attivarono i più grandi compositori operanti in Parigi in quegli anni, la cui storia vede costantemente intrecciate due istituzioni: la Banda della Guardia Nazionale e il subito dopo nato conservatorio, che da questa trae le proprie origini.
L’occasione era data dalle feste che, di certo, non mancavano; feste celebrative di ricorrenze (prima tra tutte quella del 14 luglio) e feste dedicate a divinità laiche: la Festa dell’Agricoltura, della Ragione, dell’Imene (inteso come amore coniugale), dell’Essere Supremo, per non citarne che alcune.
Testi presi da Voltaire o scritti appositamente da poeti quali Marie Joseph Chenier (fratello minore di quell’Andrea immortalato nell’opera di Umberto Giordano) servivano da base per imponenti pagine, musicate per coro e banda, eseguite in feste la cui regia era curata da Jacques Louis David, il celebre pittore neoclassico francese.
Incredibile, vero? La musica per banda nasce in parallelo alla produzione d’imponenti pagine corali, firmate – ripeto – dai principali autori dell’epoca: Duvernoy, Lefévre, Gossec, Catel, Mèhul e tanti altri, tra cui un certo Luigi Cherubini, che in quegli anni, prima di diventare insegnate di composizione al Conservatoire, suonava (le percussioni) nella banda della Guardia Nazionale.
Il coro, le cui voci erano sovente chiamate con la dicitura di derivazione barocca francese di Haute, Contre, Basse (Taille), era molto frequentemente virile, ma non sempre.
Si tratta in tutti i casi di lavori di assoluto interesse, in cui lo stile e la scrittura musicale rispecchiano identico impegno compositivo sia se si tratta di brani scritti per coro e banda che per coro e orchestra. Interesse tale che lo stesso Beethoven s’ispirò, in sue numerose composizioni (non ultima il finale della IX Sinfonia, dove – guarda caso – figura un Inno alla Gioia e si sente il suono di una banda turca), alle musiche francesi di quest’epoca. A testimonianza di questo citerò l’estrema somiglianza tra l’Hymne à l’Agriculture (per coro e banda), di Jean Xavier Lefèvre, e l’inizio del IV tempo (solo di corno) della Sinfonia Pastorale (si noti: agricoltura/pastorale), scritta dal genio di Bonn circa dieci anni dopo l’antecedente francese.
Tra le numerose pagine citiamo Peuple, eveille - toi! di Francois Jospeh Gossec, Hymne a’ la victoire e Hymne funebre sur la mort del General Hoche di Luigi Cherubini. Sempre di Gossec ricordo il Te Deum, per coro e banda (Orchestre Militaire), eseguito nella Cattedrale di Nôtre Dame da un complesso formato da circa mille esecutori, tra coristi e strumentisti [Ho avuto occasione di dirigere questo Te Deum, intorno al 2004, nella Cattedrale di Modena, con la Banda dell’Esercito e il Coro del Teatro Comunale della città, ma purtroppo non conservo la registrazione].
L’epopea degli anni della Rivoluzione, seguita da altri periodi che non furono meno fecondi per la produzione in questo settore, si chiude idealmente nel 1840, quando Hector Berlioz scrive uno dei massimi monumenti della sua produzione: la Grande Symphonie Funèbre et Triomphale.
Questo capolavoro fu scritto per una grande orchestra di fiati, alla quale l’autore aggiunse, per successive riprese, una parte corale in chiusura dell’ultimo tempo Apothèose; in seguito aggiunse anche una parte facoltativa per archi che, in alcune esecuzioni a organico completo, la fa credere una sinfonia per orchestra (e coro) con tanti strumenti a fiato, ma in realtà non è così: è una sinfonia per grande orchestra di fiati con coro e con l’aggiunta (facoltativa) degli archi.

B) IL REPERTORIO ATTUALE
Facendo un salto un po’ azzardato, nella geografia – perché trascuro la produzione italiana e tedesca [Tra questa ricordo solamente una sicuramente inaspettata pagina: Johannes Brahms, Begrabnisgesang, op.13.] dell’800 – e nel tempo – perché faccio un salto di circa 100 anni – giungo alla produzione del ’900, che non è certo meno ricca di titoli, a cominciare dalla musica di storici autori.
Ancora in Francia troviamo il Le 14 juillet del (futuro) premio Nobel per la letteratura Romain Rolland, la rappresentazione che lo scrittore fece andare in scena nel 1936 (con la regia di un certo Pablo Picasso…) affidando la composizione dei vari numeri musicali ai massimi compositori operanti a Parigi. Tra questi due brani prevedono l’unione di banda e coro: Liberté di Charles Koechlin e Fête de la liberté di Daniel Lazarus.
In tempi più recenti la consuetudine non è venuta meno, anzi, è stata meno legata a circostanze celebrative (come la maggioranza di quelle citate sin’ora), ma alla pura e semplice necessità di scrivere per queste due formazioni unite. Il tutto è avvenuto, sovente, con pagine di ispirazione religiosa.
Abbiamo così alcune importanti composizioni: Missa Solemnis di Serge Lancen, Missa Brevis di Jacob De Haan, Magnificat per soprano, coro e orchestra di fiati e Missa Solemnis per soprano, coro e orchestra di fiati di André Waignein.
Concludo questo elenco con l’imponente Requiem per soli, coro e banda sinfonica di Frigyes Hidas (eseguito in Italia al Teatro Comunale di Cagliari, il 6 ottobre 2000).
In mezzo a tanta musica sacra non mancano però pagine profane, tra le quali un lavoro di ampio interesse quale Memoriae, di Maurizio Billi, scritto sul testo che conclude il percorso terreno dell’Imperatore Adriano: animula vagula blandula.
In questo grande numero di possibilità c’è anche il repertorio di musica contemporanea, con – per esempio – due lavori di Marcello Panni: la Missa Brevis, per coro di voci bianche, e l’oratorio (per due voci recitanti, coro misto, coro di bambini, orchestra di strumenti a fiato e percussioni) Apokalypsis, su testo del cardinale Gianfranco Ravasi.

Caratteristiche esecutive e conclusioni

Un altro aspetto che, benché non fondamentale, ha la sua importanza, è quello legato alla tonalità: in molti casi, nel caso di una trascrizione per banda, è necessario trasportare i brani (alzandoli o abbassandoli generalmente di mezzo tono, ma a volta anche di un tono), perché per gli strumenti a fiato suonare con troppi diesis in chiave diventa scomodo. Un esempio per tutti è quello del Va’ pensiero, che dalla tonalità di fa diesis maggiore è trasportato in fa.
L’esame che ho appena fatto della vastità del repertorio possibile mi obbliga, prima di concludere, a fare una considerazione sulla tipologia di coro da usarsi nelle varie circostanze.
È chiaro che il risultato ottimale si avrà nel momento in cui il coro impegnato è quanto più simile possibile al tipo di coralità/vocalità richiesta nelle pagine originali: l’ideale sarebbe, quindi, possedere un coro con le voci impostate quando tale è il coro previsto nell’originale (questo sia per la maggior corposità sonora, sia per il diverso colore delle voci) e un coro con le voci naturali quando il brano è palesemente scritto per un coro non lirico/sinfonico.
Tutto questo non potrà, ovviamente, prescindere dal mare magnum delle possibilità intermedie, alle quali, nella vita musicale di ogni giorno, ognuno si deve adattare.

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