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Un ponte temporale
I progetti online di Fabrizio Vestri

di Rossana Paliaga
dossier "Muoversi nel web", Choraliter 61, maggio 2020


Uno dei maggiori divulgatori informatici attualmente presenti in rete ha confessato di aver intrapreso questa attività a causa delle continue richieste di amici meno esperti, ovvero per fornire a tutti la risposta alle domande più frequenti senza essere costretto a rispondere la stessa cosa a decine e decine di telefonate private. I tuoi tutorial sulla realizzazione di cori virtuali nascono da un’esigenza simile?

In effetti dopo aver pubblicato il primo coro virtuale sono stato raggiunto da numerose domande tecniche, alle quali non era facile rispondere con poche parole. Proprio per questo ho deciso di produrre i tutorial su questo argomento. Devo ammettere però che l’idea di condividere nel web alcune informazioni con altri appassionati e professionisti del campo della musica corale era in cantiere da un po’. Diciamo che le tante richieste e la clausura forzata hanno fatto la differenza! 

Vista dall’esterno: l’esperienza dei cori virtuali nasce di base da un’idea di videoconferenza aziendale?

Direi di no, anche se dal punto di vista strettamente tecnico, la realizzazione di questo tipo di progetti prevede l’uso di piattaforme utilizzate anche nel mondo delle aziende. La prima esperienza di coro virtuale, il ben noto progetto di Whitacre che unì virtualmente le voci di cantori provenienti da 120 Paesi, fu un’iniziativa artistica di livello globale, nata spontaneamente dalla volontà di condividere la propria passione musicale abbattendo le distanze. Un’idea che secondo me si discosta parecchio da una videoconferenza di lavoro.

Con la diffusione del fenomeno, abbiamo potuto notare approcci diversi, dal mosaico di immagini più o meno statiche alla vera e propria regia. Possiamo dire sia nata una forma “d’arte” parallela ai video musicali da youtube?

Indubbiamente alcuni gruppi hanno trovato nel coro virtuale una nuova forma espressiva. Sebbene in un virtual choir “doc” non si possa prescindere da alcuni canoni, come la presenza del “video-mosaico”, nelle altre scelte si apre un ampio spazio per la creatività e per la sperimentazione. Per questo possiamo dire che stiamo assistendo alla nascita di un nuovo e diffuso genere di video musicale per coro.

In realtà con un abile montaggio si può fare coro anche da soli…

Certamente è possibile unire in multitraccia più incisioni della stessa persona. È una tecnica nata nelle sale di incisione già negli anni Quaranta usata, tra gli altri, da personaggi straordinari come Ray Charles e Freddie Mercury nei loro album. Rimanendo nell’ambito della musica vocale mi viene in mente il singolo Spem in alium dei King’s Singers, nel quale il sestetto inglese ha realizzato il brano di Tallis a 40 voci grazie alle sovraincisioni. C’è da sottolineare però che in questi progetti rimane intatta l’idea di condivisione del progetto con altri musicisti. Su youtube oggi ci sono molti artisti che pubblicano video detti multi-screen nei quali “fanno coro da soli”, ma al di là della buona riuscita di alcuni esperimenti… la musica d’insieme realizzata in questa forma, perde molto, se non tutto, il suo valore culturale e sociale. 

In questo periodo voi siete stati tra i primi in Italia a realizzare un coro virtuale. Perché e in base a quali criteri avete scelto il brano?

Il nostro coro virtuale è nato in maniera imprevista, da un’attività alternativa alla prova classica. Appena iniziato il lockdown, ho chiesto ai ragazzi di inviarmi dei video in cui cantassero il frammento di una canzone del nostro repertorio. Il video a mezzo busto sarebbe stato importante per rivedere eventuali atteggiamenti scorretti di respirazione o fonazione. Mentre ricevevo i video è scattata l’idea di unire le registrazioni, a quel punto abbiamo cambiato improvvisamente rotta e convertito il semplice esercizio in esecuzione virtuale. Nel video, dove si ascolta il frammento da un minuto, alcuni cantori sono truccati, altri in divisa, altri sono più al naturale poiché non aspettavano di fare il giro del web globale e delle tv nazionali. Forse proprio le imperfezioni, la spontaneità e la naturalezza nei volti dei cantori hanno colpito il pubblico, sono immagini ed emozioni “non filtrate”. Il brano di Cohen, scelto “cinicamente” per la semplicità ritmica dell’arrangiamento, ha sprigionato in questa forma tutta la sua capacità evocativa ed empatica. 

Hai creato anche il vademecum sulle prove corali a distanza: dobbiamo abituarci da subito al fatto che il metodo didattico debba cambiare?

Tentare in ambito digitale, un approccio di incontro “classico” per le prove, sarebbe a mio avviso controproducente. In un inevitabile confronto di esperienze, verrebbero a mancare gli ingredienti fisici e acustici di un incontro in presenza. La mia proposta è quella di costruire invece un “ponte temporale”, che unisca idealmente il giorno della chiusura con l’atteso giorno del riavvio delle attività corali. In questo arco di tempo, sarebbe bene concentrarsi su ciò che l’attuale tecnologia ci permette di fare, e non sulle limitazioni che questa comporta.

Quali sono i modi che hai sperimentato di fare prove a distanza?

Principalmente sono tre: il virtual choir, la lezione di gruppo in video chat, la correzione individuale di video cantati. In questi modi si possono approfondire molti temi che, nella consueta attività corale spesso scandita dagli impegni concertistici, vengono posti in secondo piano. Potremmo allora sfruttare questa fase “di stasi” per potenziare le competenze del singolo cantore: quanti dei nostri cantori sanno leggere e intonare una melodia a prima vista? Quanti padroneggiano adeguatamente il loro strumento vocale? Quanti sanno ascoltare e contestualizzare un brano tratto dall’immenso repertorio della musica corale? Volendo, quindi, si può lavorare con soddisfazione anche in queste condizioni. L’idea è che grazie al lavoro svolto nel nostro “ponte temporale”, al ritorno in sala prove potremmo trovare un gruppo motivato e potenziato.

Che accoglienza hanno ottenuto sia gli esperimenti di coro virtuale che le prove a distanza?

Dopo una prima fase di disorientamento, stiamo tutti prendendo confidenza con queste modalità di interazione virtuale. Col passare del tempo, si apprezzano i punti di forza di questi esperimenti, parallelamente però rimane la grande voglia di mettere in pratica le nuove competenze in una vera e ritrovata esperienza corale. 

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Hai l’abitudine di utilizzare mezzi digitali nel lavoro con il coro anche al di là della situazione contingente?

Indubbiamente sì, ma cerco sempre di valutare i pro e i contro di certe scelte. Credo che alcune rivoluzioni digitali abbiano facilitato sensibilmente la vita di noi musicisti: oggi possiamo tenere su palmo di mano migliaia di partiture grazie a un tablet da 400 grammi. Di contro, ad esempio, preferisco non utilizzare tracce digitali per lo studio delle parti. Il MIDI in particolare è un protocollo pensato per programmare macchine virtuali o sintetizzatori, e anche se ne posso comprendere la praticità, non lo ritengo un buon viatico per arrivare a una buona performance corale. 

Pensi che in ambito corale ci possa essere un futuro per una figura di “divulgatore” sull’utilizzo di nuove tecnologie?

La tecnologia sta assumendo un ruolo sempre più centrale nelle nostre vite. In alcuni casi ci sta portando a modificare abitudini e princìpi sui quali si basa la nostra società e il lockdown ha comportato una forte accelerazione di questo processo, in tutti i campi. Credo per questo che una figura con delle competenze trasversali si rivelerà molto utile per un utilizzo sano, proficuo e cosciente dei mezzi digitali, anche in ambito corale. 

La coralità è nella sua essenza irriducibile a “sintesi” virtuali che possono essere solo fenomeni complementari (e in questo caso condizioni necessarie a mantenere un rapporto diretto con i coristi). Quanto credi nella possibile, maggiore contaminazione tra questi due mondi?

Nella storia della musica l’avvento di nuove tecniche e sperimentazioni ha lasciato sempre un segno, nel bene o nel male! La produzione musicale oggi è legata all’intrattenimento “visivo”, che segue il mercato, che a sua volta guarda ai social e alla tecnologia. Non sarebbe così illogico pensare dunque che questi meccanismi, finora legati alla vita dei generi musicali più diffusi, possano entrare in gioco anche nella produzione della musica per coro.

Quali dei nuovi mezzi rimarranno attuali quando potremo ritornare alla normalità?

Per rispondere alla domanda sarebbe necessario capire prima quale “normalità” ci aspetta! Credo tuttavia che i nostri cori potranno continuare ad avvalersi di alcuni mezzi sperimentati in questo periodo, soprattutto nell’area gestionale e manageriale dell’attività. Sul profilo puramente artistico e musicale, l’auspicio è che si possa tornare a fare coro condividendo lo stesso spazio fisico, le stesse vibrazioni nell’aria e le emozioni comuni suscitate dal vero canto corale. La speranza è quella di riappropriarci dei tratti propri della coralità, che mai nessuna tecnologia sarà in grado di imitare.

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