L’espressione coniata dal maestro Fosco Corti tanti anni fa per il suo coro sintetizza in maniera inequivocabile l’indissolubile legame fra aria e voce. Secoli addietro la gloriosa scuola di canto italiana aveva già proclamato questo principio di reciproca unione: il cantar sul fiato ne è la felicissima sintesi.
Ma la parola respiro evoca anche qualcos’altro: non solo aria, ma anche l’intimo movimento fatto di espansione e di ritorno alla quiete che rinnova ogni volta la vitalità ed esprime l’essenza della nostra vita. Il respiro ci riconduce alla consapevolezza di sé, al presente, alla qualità del nostro essere nel mondo e quindi anche alla qualità della nostra voce, attraverso l’energia e l’intenzionalità che include. Nel naturale movimento del respiro nel canto c’è un mondo di emozioni, stati d’animo, immagini, proiezioni, ricordi e aspirazioni che prendono forma attraverso l’aria e dispongono il corpo a esprimersi con il suono più coerente. Le corde vocali e la laringe sono parti del corpo sensibilissime a queste sollecitazioni sensoriali e neurologiche, se ne nutrono per poter dar voce alla nostra interiorità.
Nella semplice ma efficacissima espressione «Il respiro è già canto» sono condensati i momenti essenziali della voce cantata:
Su questi punti il direttore di coro può e deve giocare un ruolo fondamentale: la sua postura, la sua intenzione incarnata nel corpo, nel respiro, nello sguardo, nelle braccia e nelle mani susciteranno nel corista reazioni del tutto simili (neuroni specchio), anzi si integreranno con le sue, in una relazione di empatia estremamente vitale e creativa per entrambi.
Io ho avuto la fortuna di ricevere da Fosco Corti il suo imprinting musicale, che tutt’ora continua a motivare la mia passione musicale e corale in particolar modo. Mi accorgo per esempio che istintivamente ricerco ovunque il giusto respiro, non solo nella musica vocale ma anche in quella strumentale, a livello di fraseggio come nella cura dell’attacco e della fine del suono, quasi che il modello vocale avesse permeato e condizionato tutta quanta la musica, passando con disinvoltura dalla laringe alle dita e viceversa… Mi torna in mente a proposito un episodio familiare, che ancora mi regala un sorriso: mentre ero intenta a studiare un brano di Schubert al pianoforte, Fosco era solito indicarmi il naturale andamento melodico (e quindi il respiro della musica) sovrapponendo alle note alcune parole affettuose che rispecchiavano le accentuazioni musicali. Era un modo, indiretto ma efficacissimo, di farmi cantare anche con le dita, respirare con la musica e in fin dei conti farmi sentire tutt’uno con Lei.
Nel corso della mia vita di insegnante e di musicista ho cercato di riproporre in vari modi questa forma di aderenza psico-fisica alla musica, questa umanizzazione del linguaggio musicale, vocale e strumentale, che ha nel respiro il suo fondamento e la sua vera vita. Ritengo questa scelta non solo una forma di postuma e riverente gratitudine, quanto una necessità stilistica e una forma di coerenza con me stessa.