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Il respiro è già canto
La funzione del respiro nell'esperienza corale di Fosco Corti

di Silvia Biferale
dossier "Il pilastro del canto", Choraliter 60, gennaio 2020

Mi piace pensare che se Fosco potesse tornare fra noi, rimarrebbe piacevolmente stupito nel constatare quanto il suo stile e la sua visione della coralità si siano così profondamente diffusi nelle generazioni successive, evolvendosi in forme nuove ma conservando la sua impronta originaria. Come non notare, per esempio, la felice assonanza della sua espressione «Il respiro è già canto» con le parole usate da Walter Marzilli «Il gesto è già suono» o da Vixia Maggini («Canto il tuo gesto») su Choraliter del maggio 2019? Vedo con piacere in queste variazioni una specie di sottintesa continuazione ideale in cui ogni aspetto della coralità è collegato agli altri.

L’espressione coniata dal maestro Fosco Corti tanti anni fa per il suo coro sintetizza in maniera inequivocabile l’indissolubile legame fra aria e voce. Secoli addietro la gloriosa scuola di canto italiana aveva già proclamato questo principio di reciproca unione: il cantar sul fiato ne è la felicissima sintesi.
Ma la parola respiro evoca anche qualcos’altro: non solo aria, ma anche l’intimo movimento fatto di espansione e di ritorno alla quiete che rinnova ogni volta la vitalità ed esprime l’essenza della nostra vita. Il respiro ci riconduce alla consapevolezza di sé, al presente, alla qualità del nostro essere nel mondo e quindi anche alla qualità della nostra voce, attraverso l’energia e l’intenzionalità che include. Nel naturale movimento del respiro nel canto c’è un mondo di emozioni, stati d’animo, immagini, proiezioni, ricordi e aspirazioni che prendono forma attraverso l’aria e dispongono il corpo a esprimersi con il suono più coerente. Le corde vocali e la laringe sono parti del corpo sensibilissime a queste sollecitazioni sensoriali e neurologiche, se ne nutrono per poter dar voce alla nostra interiorità.

Nella semplice ma efficacissima espressione «Il respiro è già canto» sono condensati i momenti essenziali della voce cantata:

  1. il momento della presa d’aria necessaria per poter cantare e insieme il risveglio sensoriale che predispone il corpo verso un obiettivo espressivo, accuratamente accompagnato dal diaframma;
  2. la breve sospensione che precede l’attacco del suono, nella quale la mente elabora e percepisce in anticipo la qualità, non solo musicale, del suono che verrà;
  3. l’emissione sonora, dove il respiro (con tutto quello che porta con sé in termini di movimento ed energia) si incontra con la materia corporea e insieme si trasformano in voce;
  4. la conclusione del suono, che può avvenire sull’esaurirsi dell’aria o sul fiato, in base al contesto.

Su questi punti il direttore di coro può e deve giocare un ruolo fondamentale: la sua postura, la sua intenzione incarnata nel corpo, nel respiro, nello sguardo, nelle braccia e nelle mani susciteranno nel corista reazioni del tutto simili (neuroni specchio), anzi si integreranno con le sue, in una relazione di empatia estremamente vitale e creativa per entrambi.

Io ho avuto la fortuna di ricevere da Fosco Corti il suo imprinting musicale, che tutt’ora continua a motivare la mia passione musicale e corale in particolar modo. Mi accorgo per esempio che istintivamente ricerco ovunque il giusto respiro, non solo nella musica vocale ma anche in quella strumentale, a livello di fraseggio come nella cura dell’attacco e della fine del suono, quasi che il modello vocale avesse permeato e condizionato tutta quanta la musica, passando con disinvoltura dalla laringe alle dita e viceversa… Mi torna in mente a proposito un episodio familiare, che ancora mi regala un sorriso: mentre ero intenta a studiare un brano di Schubert al pianoforte, Fosco era solito indicarmi il naturale andamento melodico (e quindi il respiro della musica) sovrapponendo alle note alcune parole affettuose che rispecchiavano le accentuazioni musicali. Era un modo, indiretto ma efficacissimo, di farmi cantare anche con le dita, respirare con la musica e in fin dei conti farmi sentire tutt’uno con Lei.
Nel corso della mia vita di insegnante e di musicista ho cercato di riproporre in vari modi questa forma di aderenza psico-fisica alla musica, questa umanizzazione del linguaggio musicale, vocale e strumentale, che ha nel respiro il suo fondamento e la sua vera vita. Ritengo questa scelta non solo una forma di postuma e riverente gratitudine, quanto una necessità stilistica e una forma di coerenza con me stessa.

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