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Le onde sonore e gli umani affetti

di Pier Paolo Scattolin
Dossier Compositore, Choraliter 56, settembre 2018

Accingendomi a parlare di qualche aspetto della mia produzione corale, farò una considerazione preliminare che ritengo di un certo rilievo: considero innanzitutto importante aver avuto la possibilità di dirigere per lunghi periodi di tempo cori di livello e preparazione anche molto diversi tra loro. Questo mi ha costretto fin da subito a misurarmi bruscamente con tutta una serie di problematiche inerenti il pianeta voce che spiazzavano costantemente chi come me possedeva una formazione sino a quel momento eminentemente pianistico-organistico-compositiva. 

Da qui l’esigenza di colmare non senza fatica questa lacuna, cercando di saperne di più sulla voce stessa, tramite partecipazione a seminari di tecnica vocale per direttori, letture sull’argomento o sperimentazioni su me stesso grazie alla disponibilità (e pazienza) di amici cantanti, vista anche la mancanza a livello conservatoriale di un reale ed esauriente approfondimento pratico della questione. La fase di apprendimento è tutt’altro che terminata…
Questo mi ha costretto fin da subito a misurarmi bruscamente con tutta una serie di problematiche inerenti al pianeta voce che spiazzavano costantemente chi come me possedeva una formazione sino a quel momento eminentemente pianistico-organistico-compositiva. Da qui l’esigenza di colmare non senza fatica questa lacuna, cercando di saperne di più sulla voce stessa, tramite partecipazione a seminari di tecnica vocale per direttori, letture sull’argomento o sperimentazioni su me stesso grazie alla disponibilità (e pazienza) di amici cantanti, vista anche la mancanza a livello conservatoriale di un reale ed esauriente approfondimento pratico della questione. La fase di apprendimento è tutt’altro che terminata… Pensando però nello specifico ai risvolti compositivi di tutto ciò, credo di essermi forgiato nel tempo un’idea più precisa di cosa sia meglio fare o non fare quando ci si accinge a scrivere per coro, prevedendo ad esempio in anticipo i problemi che potrebbe creare un determinato passaggio, che invece suona così bene e in modo convincente al pianoforte; conseguentemente cercare di trovare una soluzione alternativa vocalmente più confortevole, ma musicalmente altrettanto valida. Per tutto questo, non posso negare che Calycanthus sia stato ed è per me, da tale particolare punto di vista, un laboratorio prezioso di sperimentazione, verifica immediata e collaudo di varie mie creazioni corali. In tale sede cito con piacere un pezzo dai caratteri virtuosistici come Jubilate Deo, che nacque nel 2002 pensando in modo naturale alle voci che allora costituivano il mio gruppo vocale, cui fu poi dedicato. Dopo la nostra prima esecuzione nel 2003 in terra vicentina, il brano vinse il Trofeo Internazionale di Composizione Seghizzi di Gorizia nel 2004, e con piacere constatai in seguito la soddisfacente resa anche con un coro numeroso, a partire dall’esecuzione dell’Ars Cantica Choir di Marco Berrini al Gran Premio Europeo di Canto Corale di quell’anno, cui seguirono molte altre esecuzioni in varie parti del mondo. 

La musica sacra è sicuramente un filone importante all’interno delle mie composizioni. Dopo un primo gruppo di mottetti giovanili (che tuttora costituiscono uno degli aspetti meno noti della mia produzione corale), uno dei vertici del primo periodo compositivo è certamente costituito dalla Messa per coro, archi, ottoni e timpani, composta tra dicembre 1994 e marzo 1996 come lavoro finale del corso per giovani compositori tenuto da Azio Corghi presso la Fondazione Toscanini di Parma.
Il brano ebbe la prima esecuzione e due repliche in Emilia Romagna nel maggio 1998 a opera dell’Orchestra Sinfonica Toscanini diretta da Stefano Rabaglia e del Coro Città di Parma preparato da Mario Fulgoni. Il lavoro è caratterizzato da un rigoroso disegno contrappuntistico generale: sono infatti chiaramente ravvisabili almeno cinque temi (o incisi) principali che vengono autonomamente sviluppati oppure combinati tra loro; in breve, si possono così riassumere: Tema del Kyrie (fortemente cromatico, vero Leitmotiv e importante cardine dell’intero lavoro), Tema del Christe, Tema B-A-C-H (già contenuto in nuce nel Tema del Kyrie), Inciso del Quoniam (un breve melisma dal sapore gregorianeggiante), Tema del Sanctus. Sono inoltre presenti altri incisi secondari, alcuni dei quali occasionalmente interloquiscono con i precedenti, contribuendo in tal modo ad arricchire e variare il già fitto reticolo tematico. 

Le sezioni estreme del Kyrie costituiscono un’autentica fuga, seppure molto liberamente intesa, interamente costruita sopra un lungo pedale di mi, affidato agli archi gravi e alle pulsazioni del timpano. Il marcato contrasto con il carattere consolatorio del Christe rende quest’ultimo un vero “fiore tra due abissi”. La sezione finale vede al suo interno anche un primo esempio di giustapposizioni tematiche (Tema del Christe in canone alla quinta, combinato con Tema del Kyrie e autonomo ostinato orchestrale), procedimento che verrà ulteriormente sviluppato nel Gloria (pagina dove non manca qualche moderata suggestione stravinskiana) e nel Sanctus, e che vedrà il suo culmine nella sovrapposizione simultanea di tutti i cinque temi affidata agli archi nell’Agnus Dei (all’altezza dell’unica cupa e profonda entrata del timpano), a suggellare il complesso disegno ciclico del lavoro. Da notare inoltre come il tema principale dell’Agnus Dei, sebbene ricalchi praticamente nota per nota quello del Sanctus, sia reso quasi irriconoscibile da questo per la diversa ambientazione espressiva. Ritengo quest’ultima pagina di rarefatta atmosfera e ascetica profondità, probabilmente una delle cose migliori che abbia sinora scritto.

Anni dopo, nel 2012, mi viene commissionata dalla tedesca Landesakademie di Ochsenhausen la composizione della seconda parte di un Credo per coro e strumenti per il progetto collettivo della European Jubilee Mass (in cui il testo dell’Ordinarium veniva sezionato in sette parti, musicate da altrettanti compositori europei), ed eseguita nell’agosto 2012 in Germania per celebrare il sessantesimo anniversario della regione tedesca del Baden-Württemberg: nasce così il Credo II. Spero di realizzare presto l’idea, già presente in fase compositiva, di conglobare tale brano all’interno della Messa del ’96 (tuttora inedita), componendo ex-novo la prima parte del Credo, adattando l’organico strumentale del Credo II, oltre a ritoccare l’orchestrazione complessiva: insomma questa Messa è tuttora un cantiere aperto, e ciclicamente fa capolino nella mia vicenda compositiva. Volendo fare brevi considerazioni generali sulla mia produzione corale, si può innanzitutto dire che essa risenta meno di talune asperità di linguaggio presenti in certi brani strumentali. I capisaldi stilistici di riferimento sono molteplici, ma fondamentalmente riassumibili in pochi punti: l’interesse per il contrappunto e per la “severità” della linea, diretto retaggio della grande lezione bettinelliana, il gregoriano coi suoi risvolti modali e la sua libertà ritmica, uno spiccato interesse verso i compositori baltici per l’affascinante aspetto coloristico-accordale spesso preponderante nei loro lavori. 

Direi comunque che l’aspetto armonico e la conseguente cura nel produrre concatenazioni ricercate ma non astruse, e in ogni caso sempre al servizio del testo, sia piuttosto centrale e oggettivamente riscontrabile in quasi ogni mia creazione, come mi faceva notare anche Gary Graden lo scorso agosto ad Arezzo, dopo aver ascoltato sette volte in concorso il mio Benedetto sia ’l giorno, brano vincitore del primo premio al primo Concorso Nazionale di Composizione Corale Canta Petrarca. L’aver studiato a lungo e amato opere di geni dell’armonia anche molto diversi tra loro, come ad esempio Fauré e Shostakovich, ha probabilmente prodotto positivi influssi. 

Laudate Dominum può essere un brano che ben sintetizza tutte queste varie componenti, dall’indipendenza delle linee superiori sopra un pedale interno, a un ostinato che è quasi dichiarato omaggio, sin nella tonalità scelta, al basso delle Variazioni Goldberg di Bach, al ritmo incalzante dell’omoritmica parte centrale, fino alle armonie sature di colore presenti nella lunga e luminosa coda, atte di volta in volta a presentare sotto una nuova luce il plastico tema iniziale dei contralti, da cui tutto ha inizio, e che, proprio come nell’abusato stereotipo sui compositori a volte presente nella coscienza collettiva, confesso essermi giunto addirittura in sogno: non senza un pizzico di autoironia, ogni tanto racconto di questo episodio, quando, ancora mezzo assonnato e in pigiama, goffamente mi affretto a trovare un foglio pentagrammato per fissare l’idea su carta…

Un lavoro di dimensioni piuttosto ampie è il Magnificat per coro a cappella, commissionato dalle Settimane Musicali di Stresa e tenuto a battesimo nel 2004 dall’Ars Cantica Choir diretto da Marco Berrini. La scelta di musicare il testo durchkomponiert non ha impedito di organizzare al suo interno dei ritorni tematici, a partire dal tema iniziale ritmicamente caratterizzato ai contralti, pur attraversando situazioni musicali ed espressive abbastanza eterogenee, del resto implicite nel testo stesso. È un pezzo per un grande coro, con alti standard vocali e d’intonazione. Tecnicamente molto più abbordabile un mottetto come Panis angelicus, commissionato da Marco Berrini e da Arcova, che potrei suggerire a coloro che vogliono accostarsi per la prima volta alla mia opera. Ricordo che mi accinsi a scriverlo con uno stato d’animo di profonda tristezza dovuto a una persona cara morente, e probabilmente in modo inconsapevole sublimai il dispiacere in quelle note: lo terminai in quattro giorni tra agosto e settembre 2003.
Concludo con un rapido accenno al filone delle elaborazioni corali, all’interno del quale mi piace almeno ricordare i 4 Canti Ossolani per coro maschile, dichiarato omaggio all’Ossola, alle sue tradizioni, alla sua natura e alle sue valli, di cui mi sento figlio, pur essendo lombardo di nascita.
Gli ambiziosi arrangiamenti a otto voci di alcune canzoni dei Beatles (reperibile l’interpretazione di Calycanthus sul CD So pop, so jazz), sono invece un déjà-vu, e rimandano direttamente alla mia infanzia, quando papà Giuseppe, artigiano calzaturiero dall’orecchio fino, alternava regolarmente sul giradischi le opere organistiche di Bach al quartetto di Liverpool: mai germe fu più fecondo per l’eterogeneo ventaglio di interessi musicali che avrei sviluppato negli anni a venire.

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