Innanzitutto, un breve profilo di questo compositore francese, poco noto in Italia. Ernest Chausson (1855-1899), artista poliedrico e di origini benestanti, studiò composizione musicale sotto la guida di Jules Massenet e César Franck. Di quest’ultimo, in particolare, divenne allievo prediletto. In virtù di una profondità di interessi letterari, artistici [2] e musicali, Chausson seppe brillantemente introdursi nei circoli parigini di fine Ottocento, riservati a intellettuali e artisti. In particolare, il salotto di casa sua divenne punto d’incontro degli esponenti più colti e raffinati della borghesia cittadina.
«[…] Chausson abitava al n. 22 di boulevard de Courcelles, in un lussuoso appartamento decorato dal cognato Henri Lerolle che ospitava una collezione di quadri di Renoir, Gauguin, Redon e Degas. Possedeva inoltre una casa di campagna a Luzancy e anche il castello di Moussets a Limay, nei pressi di Mantes. Le più brillanti personalità artistiche frequentavano il suo salotto a Parigi; tra queste Renoir, Manet, Degas, Redon e Rodin, e anche Albert Besnard e il fosco Eugène Carrière, che fecero entrambi il ritratto di Chausson, di cui Carrère mise bene in rilievo lo sguardo distaccato dei melanconici occhi grigi. Tra i musicisti c’erano Chabrier, la cui celebre collezione di quadri impressionisti comprendeva il Bar aux Folies-Bergères di Manet; César Franck e i suoi allievi Vincent d’Indy e il tragico Henri Duparc; Gabriel Fauré e il suo allievo Charles Koechlin; il giovane Erik Satie; Eugène Ysaÿe, il generoso e disinteressato protettore di Debussy, Fauré, Chausson e d’Indy; e infine quelli che diventarono le celebrità del decennio successivo, cioè Alfred Cortot e Jacques Thibaud. Dello stesso gruppo facevano parte l’aristocratico Henri de Régnier con monocolo e baffi spioventi, André Gide così somigliante al giovane Liszt, il faunesco Mallarmé e – a rendere più piccante la conversazione con il loro sarcasmo – Colette col marito Henri Gauthier-Villars, lo spiritoso critico musicale che firmava i suoi articoli con lo pseudonimo di “Willy”, oppure “L’Ouvreuse” (una “ouvreuse” attempata che aspetta con ansia di ricevere qualche soldo per indicare alla gente i loro posti)» [3]. Accipicchia, che compagnia!
Va sottolineato che, per un certo periodo, vi fu un’amicizia molto stretta con Claude Debussy, il quale considerava Chausson «un grande fratello più anziano» [4]. Chausson ricoprì il prestigioso incarico di segretario della Societé Nationale di Musique, adoperandosi per la programmazione delle composizioni dei musicisti francesi suoi contemporanei, e contribuendo generosamente a far conoscere le loro opere. Il 10 giugno 1899, mentre, in bicicletta, percorreva una discesa nella proprietà del barone Laurent-Atthalin a Limay, scivolò e sbatté contro un muretto. Morì sul colpo, a soli 44 anni, a causa della frattura del cranio. Sì, proprio così. Chausson ebbe l’onore di essere sepolto nell’esclusivo cimitero monumentale di Père Lachaise a Parigi.
Ballata op. 29, per voci miste a cappella è uno degli ultimi lavori di Chausson. Unica sua opera a cappella, destinata a quattro voci soliste, ed eseguita, appunto, per la prima volta, da un quartetto vocale. Ma la pienezza sonora e la scrittura agevole fanno sì che la resa del brano sia efficace anche nell’esecuzione da parte di una compagine corale. Questa pagina ci è pervenuta manoscritta. Probabilmente, l’esagerato giudizio autocritico e di sottovalutazione, che il musicista esercitava sul proprio lavoro, non lo aveva ancora del tutto convinto per la pubblicazione. Nell’attesa di ulteriori revisioni del lavoro stesso, egli conservò Ballata nella sola stesura autografa.
Il testo scelto da Ernest Chausson è, dunque, tratto da Dante Alighieri, In abito di saggia messaggera [5]. Il poeta, rivolgendosi alla “Ballata”, la prega di recarsi dalla donna amata, per manifestarle il grande dolore che egli prova nel non vederla. Il poeta si augura, altresì, che la messaggera torni da lui, recandogli parole di conforto da parte della donna. Insomma, un tipico topos stilnovistico.
In abito di saggia messaggera
movi, ballata, senza gir tardando,
a quella bella donna a cui ti mando,
e digli quanto mia vita è leggera.
Comincerai a dir che gli occhi miei
per riguardar su’ angelica figura
solean portar corona di desiri:
ora, perché non posson veder lei,
li strugge Morte con tanta paura
c’hanno fatto ghirlanda di martiri.
Lasso! non so in qual parte i’ li giri
per lor diletto, sì che quasi morto
mi troverai, se non rechi conforto
da lei: ond’io ti fo dolce preghiera [6].
La versione musicale di Chausson delle rime dantesche è improntata su una cantabilità appassionata, carezzevole e flessuosa. Se si eccettua lo spunto iniziale in stile imitato, nel resto del brano prevale, con ruolo trascinante, la voce superiore.
Il motivo dell’incipit funge da contrassegno formale, allorché viene ripreso, spezzato tra le voci di alto e soprano, all’attacco della seconda sezione.
Il seguito dello schema formale s’individua agevolmente, perché marcato dalle pause generali. Sono la terza sezione («ora, perché non posson veder lei…») e poi la quarta («Lasso! non so in qual parte i’ li giri…»), la quale si apre con una raffinata e suggestiva giustapposizione tonale diretta (mi minore - do minore).
In generale, nella conduzione melodica e nell’intreccio armonico, la scrittura di Chausson si può ascrivere a un certo wagnerismo d’epoca. Ma, a ben indagare, le sinuose torniture cromatiche del Tristano sono qui filtrate dalla lezione ereditata da César Franck, figura molto influente – ribadiamolo – nella formazione musicale di Chausson. Per intenderci meglio, accostiamo questi due passaggi.
Il primo, sulle parole-chiave «li strugge Morte con tanta paura…». In queste battute la natura delle armonie è assorbita dalla densità di cromatismi ed enarmonie, che “tormentano” e dissolvono i contorni degli accordi.
Il secondo, di sostanza antitetica, è quello della perorazione conclusiva («ond’io ti fo dolce preghiera.»). Sei battute in guisa di corale omoritmico diatonico, con le voci che salgono e sfumano in pianissimo nella tessitura acuta.
Un mélange stilistico che ricorda la maniera franckiana. Ma soprattutto, notiamo, nella linea conclusiva del soprano, il richiamo del motivo di apertura. Un palese riferimento alle architetture tematiche cicliche, sapientemente messe a punto proprio da César Franck.