Mentre il mito di Palestrina musicista era nato prima, già durante la sua vita, dal momento che Andrea Gabrieli lo definisce “Princeps Musicae” nell’intestazione di una lettera a lui indirizzata, datata 1 agosto 1582 [4]. La stessa dicitura fu posta sulla sua bara, tumulata nella basilica di San Pietro.
È opportuno approfondire questo aspetto mitologico della Missa Papae Marcelli, per verificare quanto di vero ci sia in questa situazione che sopravvive da ben quattro secoli. Innanzitutto bisogna dire che il Concilio di Trento, che tra alterne vicende e sospensioni si prolungò per ben diciotto anni (1545-1563), condannò espressamente l’uso di elementi impropri contenuti nella musica sacra eseguita nelle chiese [5]. Questa la traduzione del documento: [6] «(I vescovi) bandiscano poi dalle chiese quelle musiche in cui, con l’organo o con il canto, si mescoli qualcosa di lascivo o impuro». Questo è l’unico elemento di condanna riferito alla musica sacra contenuto nei documenti conciliari. In verità gli scritti preparatori a questa ultima edizione del documento avevano ben altro spessore intimidatorio.
Poco più di un mese prima della versione definitiva infatti, esattamente l’8 agosto 1562, in un documento sulla polifonia i padri conciliari che ne sostenevano l’espulsione dalla liturgia ebbero la meglio sulle fazioni a essa favorevoli [7]. Mentre il 10 settembre si raccomandava solo che non ci fosse niente di profano nella musica, e che si potessero comprendere le parole [8]. Come si vede, la linea dura dell’8 agosto cedette il passo a una visione più moderata dei fatti, già molto vicina alla versione definitiva del 17 settembre 1562.
La precedente generica affermazione finale del concilio sulla musica («Ab ecclesiis vero musicas eas, ubi sive organo, sive cantu lascivum aut impurum aliquid miscetur […] arceant…») trovò una più precisa applicazione all’interno del Missale Romanum pubblicato da Papa Pio V nel 1570 [9] In particolare vi si fa riferimento al divieto delle inserzioni tropate nel Gloria delle messe dedicate alla Madonna. Nel messale è infatti riportato tutto il testo esatto del Gloria, dopo il quale appare la seguente dicitura: «Sic dicitur Gloria in excelsis, etiam in missis Beatae Mariae, quando dicenda est».
Come si vede non traspare apertamente nessuna proibizione contro i tropi, mentre in altri passi dei documenti del Concilio di Trento si possono rilevare decise proibizioni e chiarissimi divieti, affermati con parole dure come «anatema» [10] «sia scomunicato», «sospeso dall’esercizio dei suoi ordini» ecc. Non si proibisce quindi a chiare lettere l’uso dei tropi, ma di fatto lo si fa. L’atteggiamento dei padri conciliari appare quindi accorto e molto misurato quasi che, menzionando i tropi del Gloria, avessero la consapevolezza di toccare un nervo scoperto o di addentrarsi in una questione spinosa. E infatti è proprio contro questo sommerso divieto che si innalza la forte preoccupazione di Andrea Gabrieli, il quale in una lettera indirizzata a Orazio Vecchi del 16 dicembre 1584 scriveva: [11] «Resta da risolvere, e mi affido per questo alla vostra alta dottrina, nonché al vostro riconosciuto buon senso, il problema dei tropi nel Gloria della Messa [12] della Madonna, che il concilio (di Trento, ndr) ha maldestramente soppresso. Mala tempora currunt».
È da tenere presente che erano già passati ben ventuno anni dalla fine del Concilio di Trento, e quattordici dalla promulgazione del Messale di San Pio V. Quindi le prime vive polemiche, probabilmente, erano al momento già sopite. In effetti molte frasi del Gloria, soprattutto quelle riferite a Gesù Cristo, presentavano spessissimo una inserzione tropata che era musicata in modo indipendente. Per attirare l’attenzione dei presenti spesso i tropi si avvalevano di melodie ben conosciute, anche e soprattutto profane. Ecco un esempio testuale di tropi nel Gloria:
«Gloria in excelsis Deo. Et in terra pax hominibus bonae voluntatis. Laudamus Te, benedicimus Te, adoramus Te, glorificamus Te, Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam, Domine Rex coelestis, Deus Pater omnipotens. Domine Fili Unigenite, Jesu Christe, Spiritus et alme orphanorum paraclete, Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris: Primogenitus Mariae Virginae Matris. Qui tollis peccata mundi miserere nobis; Qui tollis peccata mundi suscipe deprecationem nostram, Ad Mariae gloriam. Qui sedes ad dexteram Patris miserere nobis. Quoniam Tu solus Sanctus, Mariam sanctificas, Tu solus Dominus, Mariam gubernans, Tu solus Altissimus, Mariam coronans, Jesu Christe, cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen».
Per la verità la questione delle inserzioni estranee è molto più vasta, e non riguardava solo il Gloria, bensì tutte le parti dell’Ordinarium. Infatti basta guardare la prima messa pubblicata da Palestrina nel 1554, Ecce sacerdos magnus, per accorgersi che tutta quanta la messa e non solo il Gloria era infarcita da un testo estraneo. Ne sono esenti solo poche parti più significative, tra cui il Crucifixus e il Benedictus. In questo caso è quello dell’antifona omonima, trattata a note lunghe come un tipico cantus firmus arcaico, affidato a tutte le voci tranne che al Bassus. Riportiamo l’incipit della Messa [13] e la parte dell’altus nella stampa originale del 1554, con il tropo in bella vista:
Il cantus firmus poteva anche facilmente provenire dal repertorio profano. Sarà questo il motivo per cui durante e dopo il concilio tridentino proliferarono le messe dall’eloquente titolo di: “Missa sine nomine”, che nascondeva evidentemente una matrice profana del tema [14]. Palestrina stesso ne scrisse ben sette, insieme ad altre di manifesta estrazione profana dal titolo: L’homme armé (due versioni), Nasce la gioia mia, Qual è il più grande amor, Vestiva i colli, Già fu chi m’ebbe cara, Quando lieta sperai. Numerose sono poi le messe parodia, i cui temi sono presi dagli ambienti più disparati. A questo proposito è inevitabile soffermarsi sul tema iniziale del Kyrie della Missa Papae Marcelli per notare un possibile richiamo al tema della melodia profana L’homme armé, anche se Casimiri lo esclude [15] e sulla lina del Bassus della Papae Marcelli [16]
D’altra parte si può immaginare come, a causa della straordinaria diffusione della melodia profana, potesse bastare un breve richiamo per riportarla subito alla mente degli ascoltatori.
Ma lasciamo da parte le questioni intorno ai tropi del Gloria e al cantus firmus estraneo all’Ordinarium – che però, come abbiamo visto dalla lettera di Gabrieli a Vecchi, occupavano e preoccupavano seriamente le menti dei compositori dell’epoca per molti anni – e torniamo alla Missa Papae Marcelli e ai suoi rapporti con il Concilio di Trento.
Occorre adesso ricordare la proibizione – questa volta decisa – che il Concilio di Trento oppose alle musiche di carattere lascivum aut impurum, citata poco fa (cfr. nota 6). Ecco, in questa ottica è bene indicare che tra i sostenitori e anzi i fomentatori di questo risanamento musicale ci fu proprio Papa Marcello II, al secolo Marcello Cervini di Montefano, Macerata [17]. Risulta infatti che dopo aver ascoltato le musiche eseguite dalla Cappella Sistina nelle celebrazioni del Venerdì Santo, il 12 aprile 1555, dopo tre giorni dall’inizio di quello che sarà il suo brevissimo pontificato [18], egli si rivolse ai cantori pontifici invitandoli a moderare gli artifici polifonici, che di fatto impedivano la comprensibilità del testo [19]. Numerose altre occasioni mostrano la prudenza della Chiesa nei confronti della polifonia e dei suoi complicati procedimenti contrappuntistici, a volte anche estremamente cervellotici (canoni enigmatici, retrogradi ecc…), che rendevano difficoltosa la fruizione dei testi musicati. In effetti, dalle semplici forme di polifonia medievale (organa, duplum, ecc…) si era giunti a un lussureggiante fiorire di complicazioni polifoniche rinascimentali. È anche opportuno ricordare come questo tipo di composizioni avessero uno stretto legame con le esigenze della Controriforma, da contrapporre alle tendenze protestanti della Riforma. Ma qui il discorso dovrebbe assumere proporzioni tali da non rientrare in questo spazio. Insomma, la situazione era molto complicata. A tutto ciò dobbiamo aggiungere la particolare situazione personale nella quale si venne a trovare Palestrina quando morì Giovanni Maria del Monte, divenuto Papa con il nome di Giulio III. Da cardinale gli era stata affidata la giurisdizione della città di Palestrina nel 1543, e qui aveva conosciuto Giovanni Pierluigi come una giovane promessa della musica. Palestrina fu nominato organista nella sua città già nel 1544, quindi un anno dopo l’arrivo del Cardinale del Monte il quale, divenuto Papa, lo volle a Roma nella Cappella Giulia nel 1550. In seguito, il 13 gennaio 1555, senza esame e senza il consenso dei cantori, lo nominò cantore pontificio. Si può ben immaginare tutto lo sgomento di Palestrina quando dopo soli due mesi Papa Giulio III muore, il 23 marzo 1555. Come abbiamo visto, già il 9 aprile si insedia sul soglio pontificio proprio Marcello II. Non è peraltro pensabile che durante le sole tre settimane del suo pontificato, Palestrina abbia potuto dedicare una intera Messa a sei voci a Papa Marcello II. Semmai la questione è da considerarsi più nei suoi contorni generali, e si può pensare che il compositore abbia potuto subire l’influsso delle riforme in atto con il Concilio di Trento. Non si può nemmeno escludere, anzi si deve seriamente considerare, la possibilità che Palestrina possa essere rimasto comprensibilmente impressionato dalle famose parole rivolte ai cantori pontifici da parte di Papa Marcello II, dopo le citate celebrazioni del 12 aprile.
Per questo motivo si può pensare che la dedica a Papa Marcello possa essere, più che una dedica diretta al Papa defunto da parte di Palestrina, l’affermazione che la Messa sia stata composta secondo le intenzioni e i desiderata espressi da Papa Marcello nella sua famosa “arringa” ai cantori pontifici, presente lo stesso Palestrina [20]. Passerà tanto tempo infatti, esattamente dodici anni, tra il breve pontificato di Papa Marcello II e la pubblicazione della Missa Papae Marcelli, avvenuta nel 1567 [21]. Anche se pare che l’anno di composizione più probabile sia il 1562. Ma anche in questo caso sarebbero comunque passati sette anni dalla morte di Papa Marcello: un tempo di gestazione incredibilmente lungo per una mente fertile e operosa come quella di Palestrina… D’altra parte perché mai Palestrina non ha mai dedicato espressamente una messa a Papa Giulio III citandolo nel titolo stesso [22], che fu suo protettore e autore della sua chiamata a Roma, e l’ha invece fatto per Papa Marcello II?
Nelle immagini seguenti i due frontespizi a confronto: a) Morales, b) Palestrina. Innegabile l’identica matrice (si veda la nota 22).
Non fu certo per ingraziarsi il successore di Giulio III, dal momento che era già morto da tanti anni. Allora diventa plausibile l’idea che, come detto precedentemente, la dedica abbia voluto significare che la Messa era stata concepita secondo i dettami del Concilio di Trento, del quale Papa Marcello II era stato un importante protagonista.
Ma tra i desiderata di Papa Marcello c’era la famosa frase «ut quae proferebantur audiri atque perpipi possent», relativa alla necessità della comprensibilità del testo e alla conseguente semplificazione dei procedimenti contrappuntistici. E allora ci chiediamo: perché Palestrina sceglie proprio una complicata messa a sei voci per realizzare il processo di semplificazione compositiva chiesto da Papa Marcello II? Oltretutto si tratta della prima messa in assoluto che Palestrina decide di comporre a sei voci [23] Ma c’è di più: la Papae Marcelli compare nel Secondo Libro delle Messe di Palestrina del 1567, insieme alla Missa de Beata Virgine e a una Missa sine nomine. Cosa c’è di particolare? Il fatto che nello stesso libro coesistano con la Papae Marcelli – dichiarata da sempre emblema del Concilio di Trento – due messe i cui dettami compositivi erano appena stati definitivamente proibiti proprio dal Concilio di Trento. L’una per il fatto che il Gloria comprende numerosi tropi [24], l’altra perché era basata su temi profani. Entrambe le cose erano state definitivamente proibite dal concilio [25]. Forse sarà stato anche per questo contrasto con le altre messe che la Papae Marcelli si sia eretta a emblema del Concilio di Trento, pur essendo infarcita di polifonie e contrappunti ricchi e ricercati. D’altra parte era perfettamente esente dai “difetti” delle altre due elencati poco fa [26] e quindi aveva le carte in regola per essere apprezzata anche dai padri conciliari. A ben guardare, però, sì è vero che il Kyrie, il Sanctus e l’Agnus presentano un contrappunto molto elaborato a sei voci, ma è altrettanto vero che i brani dove si affermano le grandi verità dogmatiche della Chiesa, cioè il Gloria e il Credo, sono tutti di carattere prevalentemente omoritmico, e hanno soltanto brevi spunti polifonici!
A questo proposito, riflettendo sulle implicazioni legate alla Controriforma cui accennavamo brevemente in precedenza, può essere molto interessante notare che, mentre le frasi del Credo sono prevalentemente omoritmiche, nel momento in cui Palestrina musica il testo “Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam” l’unità ritmica si sfalda completamente. Dapprima due tronconi diversi del coro proferiscono il testo “unam, sanctam” in due momenti diversi e contrapposti l’uno all’altro. E poi si dividono ulteriormente in tanti rivoli ritmici alle parole “catholicam et apostolicam Ecclesiam”. In più appare molto significativo che i bassi non pronuncino nessuna parola della frase “Et unam, sanctam catholicam” [27]. Per essere obiettivi è necessario aggiungere che questo trattamento in due gruppi ritmici distinti avviene altre volte, ma in tutte le altre occasioni Palestrina aspetta che un gruppo abbia finito la sua frase prima di far entrare l’altro. In questa particolare occasione, invece, le entrate sono molto ravvicinate, e la comprensibilità delle parole può risultare compromessa.
Però è interessante notare che dopo circa 450 anni siamo ancora qui a parlare di questa mitologica Missa Papae Marcelli… D’altra parte qualcosa di importante deve esserci in questa messa se nel 1609, dopo quaranta anni dalla prima pubblicazione, Francesco Soriano ne fece una elaborazione a otto voci. E non è tutto: a Roma esiste un manoscritto che contiene una elaborazione della Missa Papae Marcelli a dodici voci [28]. Il lavoro è stato attribuito a Stefano Nascimbeni [29]. Inoltre nella sua pubblicazione dell’opera omnia di Palestrina, Haberl pubblica una Missa Papae Marcelli a quattro voci, che il musicologo tedesco definisce «di dubbia attribuzione» [30] Ancora: nel 1646 l’editore Grignani pubblicò a Roma la riduzione a quattro voci della Papae Marcelli fatta da Giovanni Francesco Anerio, il quale aggiunse addirittura una parte di basso continuo. Da notare che la riduzione di Anerio risaliva già al 1619, e che quindi quasi trenta anni dopo, questa versione a quattro voci con basso continuo fu stampata di nuovo. Di seguito sia il frontespizio che la prima pagina del basso continuo della edizione del 1646 [31].
Ma continuiamo: nel 1845 vide la luce l’Oratorio di Carl Loewe intitolato semplicemente Palestrina, ispirato proprio alla leggenda della Missa Papae Marcelli; il che significa che il mito della Messa di cui parliamo sopravviveva intatto ancora dopo quasi trecento anni [32]! Ma non è finita qui: in tempi ancora più recenti, esattamente nel 1895, anche il compositore austriaco Ignaz Mitterer (1850-1924) fece una elaborazione a quattro voci della Missa Papae Marcelli [33]. E pochi anni più tardi, nel 1904, il musicista tedesco Karl Thiel, insegnante di composizione all’Institut für Kirchenmusik di Berlino, ne fece una ulteriore elaborazione [34] mantenendone intatta la struttura a sei voci, ma con l’intento di semplificarla per renderla adatta a un uso liturgico nelle parrocchie, intenzione già chiara nel titolo stesso della composizione (cfr. nota 34). E per finire (chissà…): risale ai giorni nostri, esattamente al 2009, il film del regista tedesco Georg Brintrup intitolato “Palestrina - Princeps Musicae”. Al suo interno si narra ancora una volta della vicenda della Missa Papae Marcelli, e se ne possono ascoltare il Kyrie e il Credo.
A mia memoria non saprei dire se questa sorte fortunata, tutte le elaborazioni, i tanti rifacimenti, insomma tutto questo interesse sulla Papae Marcelli siano mai stati riservati anche ad altre messe del periodo rinascimentale. Se non è così, allora un motivo ci sarà…