Non c’è app, share o emoticon che tenga e a portata di mano c’è solo penna e calamaio per i diciotto adolescenti de Il Collegio 1, la docu-fiction di Rai2 andata in onda nel 2017 e creata allo scopo di osservare la reazione dei ragazzi alla trasposizione della realtà nel tempo. Si parla dell’anno 1960, quando Non è mai troppo tardi si affacciò sul palinsesto Rai: 56 anni dopo l’esperimento televisivo con cui Manzi alfabetizzò milioni di italiani ci riprova Il Collegio, riferendosi al sapere e alla disciplina dello stesso anno. Così al Convitto di Celana a Caprino Bergamasco il chiodo fisso è la prova finale, la licenza di scuola media, per la quale i ragazzi saranno preparati da sette professori “dal pugno duro”.
Udite, udite! Tra questi – e in versione decisamente polverosa – si ritrova un volto noto alla coralità italiana: è Matteo Valbusa, direttore di coro veronese, a superare i provini per diventare il professore di musica de Il Collegio.
«Non hanno minimamente guardato la preparazione musicale, loro cercavano qualcuno che bucasse e riuscisse a essere rigido, rigoroso. Per me è stato semplice – racconta Valbusa – poiché mi posso certamente definire severo, seppur non autoritario».
Matteo si mostra di mente aperta, pur professandosi critico nei confronti dei reality: «potenzialmente va detto che il coro, con le sue dinamiche da quelle più evidenti a quelle più interne tra coristi sarebbe adattissimo al reality show». La sua erre moscia ha amplificato quel tocco di aldilà già fornito dal dover cantare l’Inno di Mameli in classe accompagnato da qualche altro brano di sola intimidazione scolastica: i maschi sgomitano, le femmine rimpiangono l’amica piastra, ma a fine esperienza apprezzano la lezione di vita. «I ragazzi, diciotto animali da reality, hanno poi mostrato anche il loro lato più fragile, vero e profondo, che forse non conoscevano nemmeno. Togliere gli smartphone li ha messi a nudo».
La registrazione dell’intero programma per Valbusa ha comportato tre ore e mezza di lavoro, o meglio: tre ore e mezza di registrazione in cui attraverso un auricolare gli veniva indicato con chi interagire, con chi prendersela. «Programma educativo? No. Puro intrattenimento» dichiara ancora Valbusa. «Ho conosciuto però attori bravissimi e professori che sanno leggere il cuore degli alunni. Una cosa è certa: anni Sessanta o oggi non conta».