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Lo strumento più imprevedibile
Elisa festeggia 20 anni di carriera all'Arena di Verona
Con lei il coro Artemìa, i maestri Denis Monte e Alessandro Cadario

di Rossana Paliaga
Fuori dal coro, Choraliter 54, gennaio 2018

Essere corista a un concerto pop non significa quasi mai cantare in un coro nel senso più tradizionale del termine. In una delle serate con le quali ha celebrato vent’anni di carriera musicale, Elisa ha scelto però di portare con sé un intero coro, il Piccolo Coro Artemìa di Torviscosa con il suo maestro Denis Monte, coinvolgendo inoltre (in questa occasione e in due serate ulteriori con l’Orchestra nazionale dei Conservatori) un direttore d’orchestra molto noto anche in ambito corale, Alessandro Cadario. Un musicista ama la propria arte senza barriere di genere e organico e Elisa ha confermato curiosità e creatività decidendo di modulare il proprio anniversario nelle sonorità pop-rock, acustica-gospel e orchestrale, con la coordinazione artistica rispettivamente di Andrea Rigonat, Gianluca Ballarin e Patrick Warren.

L’Artemìa non è nuovo a collaborazioni con Elisa, con la quale i percorsi artistici si incrociano dal 2000, passando attraverso il tour Lotus, l’album e il tour di Ivy e diversi eventi speciali come il concerto del decennale a Villa Manin o Italia Loves Emilia. Ma l’ampio palcoscenico dell’Arena è stato certamente un regalo particolarmente emozionante per le giovani coriste, entrate in scena alla luce delle candele sulle note dell’Hallelujah di Cohen. Più tardi le candele sono state sostituite dai bicchieri che, come uno strumento sidereo, hanno abbracciato la cantante insieme alle voci delle coriste in una magnetica versione di Rainbow, con chiari riferimenti al celebre brano Stars del compositore lettone Ēriks Ešenvalds. Entrambi gli arrangiamenti sono stati firmati da Alessandro Cadario. Sul palco insieme al Coro Artemìa c’era anche il London Community Gospel Choir a regalare colori ancora diversi, riassunti nel finale con tutti gli artisti riuniti di fronte a un pubblico entusiasta (12.000 persone) che ha potuto ripercorrere in modo insolito le tappe di un percorso costellato di brani diventati ormai cult.
«Together, here we are» è stato il titolo e il motto delle serate, a sottolineare la voglia di fare musica insieme e di ripensare, ricreare, esaltare canzoni che parlano di un’evoluzione ventennale, dall’album Pipes & Flowers al più nuovo On. Il linguaggio corale è stato protagonista delle emozioni unplugged, quelle nelle quali le chitarre sono acustiche, i sintetizzatori vengono sostituiti dal pianoforte e c’è spazio per un quartetto di ottoni e un quartetto d’archi. Gli arrangiamenti corali che hanno caratterizzato il programma del concerto in versioni inedite sono stati curati da Denis Monte per quanto riguarda il coro Artemìa e da Alessandro Cadario per il coro gospel, ma anche per i già citati Hallelujah e Rainbow. Denis Monte si è occupato anche della preparazione di entrambe le formazioni corali che hanno trovato da subito una grande intesa reciproca.L’eccezionalità dell’evento che, grazie alla particolare sensibilità di Elisa, ha permesso di portare un coro sotto i grandi riflettori della scena pop, ha suggerito una valorizzazione eccezionale sulle pagine di Choraliter attraverso la voce della stessa cantante, che ha accettato di mettere in risalto oltre che con la sua musica anche con le parole questa grande opportunità offerta agli artisti della coralità.

I cori gospel hanno già una consuetudine con i grandi artisti pop, ma portare sul palco anche la tradizione corale europea significa cercare un tipo di dialogo e un impatto diverso sul pubblico. Cosa ha trovato nella collaborazione pluriennale con il coro Artemìa?

Anche la tradizione corale europea ha sonorità che evocano introspezione, quasi più mistiche di quelle del gospel. Nella mia musica la componente dell’introspezione è importante e Artemìa è stato un coro che ha caratterizzato moltissimo il sound di Ivy, il mio secondo progetto acustico. Sono un coro eccezionale e ho avuto il piacere di approfondire l’esperienza con loro davanti a un pubblico ben più ampio di quello che può contenere un teatro di misure diciamo “standard”!

La musica corale ha fatto parte della sua infanzia o si tratta di una scoperta relativamente recente?

È parte delle mie radici e l’ho approfondita e studiata negli anni.

Anche Alessandro Cadario è un personaggio di rilievo nel mondo corale: come è nata la vostra collaborazione per i concerti dell’Arena?

Abbiamo collaborato durante i concerti di Ivy e in altre occasioni successive. Era la persona giusta per fare questo bellissimo lavoro. È eclettico, sensibile e talentuoso nel comporre per coro. E molto preparato sia dal punto di vista artistico che tecnico.

C’è il coro spontaneo delle grandi platee, i coristi di una band, la massa corale come quella che ha voluto sul palco in occasione del ventennale ma anche in molte occasioni precedenti. Come definirebbe la sintonia che si può creare tra il solista e le altre voci?

La voce è per me lo strumento più affascinante e più imprevedibile. Trasformare le voci in strumenti è un gioco bellissimo e con possibilità infinite.

Per la musica corale è importante avere “testimonial” come lei: è un mondo vasto e artisticamente pregevole, del quale le grandi masse non sanno quasi nulla, stereotipi a parte. Cosa la attira nel potenziale artistico dello “strumento-coro”?

È lo strumento più umano e quindi veicola le emozioni in modo unico. Ha possibilità infinite grazie anche alla tecnologia di oggi. Il talento di chi scrive e arrangia per coro è quello di saper sfruttare il potenziale. Oggi è importante giocare, rischiare, cambiare le regole del gioco. Il campo d’azione per assurdo è maggiore. Bastano il coraggio e il talento per farlo.

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