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Basilio Astulez: ritratto sul campo

di Marco Della Sciucca
dossier "Cori in scena", Choraliter 59, settembre 2019

Abbiamo incontrato il noto direttore di coro e didatta basco Basilio Astulez durante una tre giorni di formazione corale tenutasi a Pescara, per la seconda edizione de "La scuola che canta". Lo abbiamo visto lavorare sul campo con docenti, direttori di coro, coristi e centinaia di studenti dei licei musicali d'Abruzzo.

“La scuola che canta” è un’iniziativa formativa dell’Associazione Regionale Cori d’Abruzzo giunta alla seconda edizione. Nasce nell’ambito di una convenzione alternanza scuola- lavoro sottoscritta con i licei musicali della regione. Per quest’edizione è stato invitato uno dei più importanti didatti e direttori di coro del panorama internazionale, Basilio Astulez, che ha voluto programmare tre giornate di lavori, la prima e l’ultima con sessioni di formazione dedicate ai docenti di musica e ai direttori di coro. Il cuore del progetto era poi nella giornata centrale, quando il musicista ospite ha incontrato i coristi liceali in una lunga sessione che ha condotto infine al grande concerto serale con un imponente coro formato da centinaia di studenti. L’iniziativa si è avvalsa anche della costante presenza del Coro Giovanile d’Abruzzo come coro-laboratorio. La formula, così articolata e ricca, ci ha dato la possibilità di osservare, ascoltare e conoscere Astulez nei diversi volti della sua personalità artistica – del didatta, del direttore, del pedagogista musicale – volti che tuttavia promanano da una concezione fortemente unitaria del far musica in tutte le sue declinazioni.

Non fa grandi preamboli. Astulez si butta direttamente nella dimensione pratica e capisci subito che, dietro quei suoni-gesto carichi di forza espressiva che chiede ai coristi di eseguire già all’inizio della sessione di studio, c’è una dimensione di riflessione estetico-pedagogica di grande respiro. Gesti sonori che passano per il corpo, e nel corpo si caricano di un’espressività fisica che si fa mezzo comunicativo diretto con l’ascoltatore e mezzo privilegiato di interpretazione per il cantore. La voce è già espressione fisica, ma Astulez va molto oltre: 

«Penso che non possa esserci connessione più forte tra voce e corpo che quando si canta. Cantare è un esercizio fisico, il più fisico di tutte le attività musicali, perché non abbiamo un intermediario e la voce è l’unico strumento che è in noi stessi. La connessione tra voce e corpo è fondamentale, un modo di aprire molte porte, di attivare molti mezzi. La maggior parte delle risposte a tutte le questioni tecnico-vocali – fonazione, fiato, impostazione, colore – sono fisiche e, prima che nella mente, sono nel corpo. Questa unione tra voce e corpo ha attraversato i secoli. Tengo molto, soprattutto con i giovani e i bambini, a che si recuperi questa unione, questa forza intensa. Il corpo come fisicità in movimento, che può diventare danza o no, ma è dal movimento che si genera il canto»

Astulez ci dice che il suo è un vero e proprio metodo, frutto di una riflessione anche teorica di anni, esposta finora solo parzialmente in alcuni articoli per riviste specializzate; ci anticipa, tuttavia, che si stanno concretizzando degli accordi con un editore per valutare la pubblicazione di un trattato. «Si tratterà in realtà», aggiunge, «di un metodo assolutamente empirico, che entra prepotentemente nella pratica, piuttosto che attardarsi nella speculazione analitica, un metodo frutto di vent’anni di docenza, di prove, di esperienza, di feedback e di errori fatti realmente nei processi di comunicazione con chi canta».

Se il suo sarà un trattato empirico, riteniamo tuttavia che si inquadrerà con naturalezza in certi filoni della ricerca teorica di oggi orientati a studiare e approfondire il rapporto del movimento del corpo con la creatività musicale. È un fenomeno che certamente ha attraversato la tradizione musicale eurocolta, ma in modi molto sotterranei, carsici, venendo un po’ più allo scoperto solo in epoca moderna. Stravinsky affermava che quasi tutta la sua musica originasse dai movimenti delle sue mani sul pianoforte, una sorta di espressiva “chiro-coreografia” che si traduceva in musica, in espressione musicale. 

Per Astulez, «buona parte della nostra cultura ha secoli di tradizione di musica statica, e questo si è verificato non solo in Occidente, ma anche in tutta la cultura asiatica: anche il concetto di concerto come tale, passivo, statico, è abbastanza moderno, ma frutto di questa tradizione. Per molti secoli, la musica, più o meno popolare o colta, è stata “movimentata” quando l’origine espressiva avesse a che fare con i miti, con gli eroi, con certe forme di religione; risultava invece più statica allorché si astenesse da sentimenti di amore, odio, tragedia, attrazione. Il canto gregoriano, in cui si individua la culla della tradizione musicale occidentale, separa in maniera molto drastica il movimento dal canto, che è interiorizzato come elemento di fede, separato dalla danza e dalla corporeità».

Una corporeità espressiva ritrovata, diremmo, che non è molto lontana da certa ricerca espressiva novecentesca negli ambiti del teatro, della danza. Astulez non si dice esperto di teatro, né si professa danzatore professionale, ma ammette qualche riferimento alle teorie teatrali e della danza, oltre che ai metodi novecenteschi della coralità, Dalcroze, Kodály, la tecnica Alexander, che si possono combinare con un’attitudine alla ricerca posturale, in particolare alla consapevolezza corporea: «E va benissimo cantare senza movimenti, senza coreografie e con la partitura in mano, un Lied di Schubert o un mottetto di de Victoria; ma nel mio modo di vedere le cose non mi riferisco a coreografie di danza, piuttosto a un’attitudine, una maniera attiva di interpretare, una connessione intensa che può tradursi in una coreografia, in danza, in un’utilizzazione del palcoscenico e dello spazio, o anche in un non movimento».

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Le impressioni a caldo di alcuni partecipanti

"È stata un’esperienza sicuramente significativa dal punto di vista dell’arricchimento metodologico, perché c’è stata la possibilità di osservare da vicino l’approccio alla respirazione, al riscaldamento corale sotto tutti i punti di vista. Importanti, sicuramente, sono l’energia che Astulez ha mostrato nel dirigere i ragazzi in numero così elevato e le tecniche per affrontare la sua metodica"
[Susanna Pozzi, docente di scuola secondaria]

"È stata una giornata molto divertente, lo spirito mediterraneo di Astulez è venuto fuori con i brani che ci ha proposto e con le coreografie e i movimenti che abbiamo fatto insieme a lui. È stato anche molto produttivo perché nel giro di pochissimo tempo siamo riusciti a mettere in piedi i quattro brani per il concerto. A dire la verità me lo aspettavo, perché conoscevo per fama il maestro, ma ciò non toglie che l’esperienza sia stata eccezionale"
[Claudio Bellumore, Coro Giovanile d’Abruzzo]
"La cosa più bella in Astulez è la sua umiltà. Una persona molto semplice che, però, con la sua energia e la sua forza è capace di avvicinare alla musica chiunque: intonati, poco intonati, appassionati e poco appassionati"
[Vanessa Del Rosario, docente di scuola primaria]
"Questa giornata di preparazione al concerto è stata molto impegnativa, divertente, entusiasmante e quasi magica. Riuscire a tenere trecento ragazzi insieme e a fare musica, a ballare, a giocare, è difficile, ma Astulez ci è riuscito al meglio. Di questa esperienza porterò con me l’importanza di saper condividere, di ascoltare le persone che cantano attorno a me, la bellezza di brani semplici, che però possono diventare magici se ci si mette un po’ di amore"
[Alessandra Frizzini, Coro Giovanile d’Abruzzo]
"Mi ha colpito particolarmente in Astulez il fatto che riesca a tirar fuori il meglio da ognuno di noi, da chiunque si voglia avvicinare al canto e alla coralità"
[Barbara Trombetta, docente di scuola primaria]

E ancora...

Il rischio di equivoco è dietro l’angolo. Nel momento in cui si recepiscono certe idee solo parzialmente, magari superficialmente, senza una visione globale della teoria empirica che le informa, ci potrebbe essere il rischio che il movimento venga etichettato come gratuito, come mera manifestazione autoriflessiva, senza un reale legame, senza una necessità espressiva originata dal canto, dalla musica. Astulez mette in guardia: «In verità il movimento non è l’obiettivo finale del lavoro corale, non è una decorazione, non è un ornamento e in molti casi va inserito nella sessione di concertazione prima della musica. Il movimento è qualcosa di più profondo di una danza

Quando un cantante fa del repertorio etnico o popolare, balla una canzone o canta una danza, è un elemento unico e questa interpretazione ha un risultato estetico molto elaborato o, al contrario, molto semplice. Il movimento e la corporeità nella sessione di prove è il primo momento, quando ci mettiamo in piedi per cominciare il riscaldamento. Non sarà un elemento nuovo da inserire solo dopo che si è imparato un brano a memoria. È un fatto naturale, che rimane sempre attivo, non solo come elemento coreografico o di danza, ma come senso di una partecipazione fondante della corporeità, dell’attitudine alla corporeità».

E abbiamo visto abbondantemente a Pescara che la preparazione avviene non attraverso astratti vocalizzi, ma ricorrendo a una varietà di atteggiamenti espressivi con la voce e con tutto il corpo: «Se sarai riuscito ad attivare un effetto drammatico, interpretativo – e può essere per Mendelssohn come per Bruckner o Poulenc o Ravel, dunque anche per la musica colta – avrai una predisposizione interpretativa, espressiva, già risvegliata, fatta di emozioni, interpretazioni, sensazioni e movimento stenico, non solamente di affinazione, impostazione o respirazione. Insisto, molte delle proposte che faccio sulla corporeità sono strettamente legate all’aspetto tecnico dell’interpretazione vocale e corale»

Anche la dimensione dell’ascolto ha un ruolo fondamentale nel preparare un coro: «Rispetto al cantare da solisti, il cantare in coro ha una differenza sostanziale. Nessuno è indispensabile, e mi piace molto, con i ragazzi, lavorare a estendere la coscienza dell’ascolto, in tranquillità e con generosità: ascoltare le altre voci, gli strumenti, la melodia, il direttore, gli amici, nell’idea di trovare un suono unico, collegato; non diverse vocalità interessanti, ma un suono “forte”, che è sempre creato da diversi suoni».

A Pescara Astulez fronteggiava due diversi compiti: quello di formare i formatori (un giorno dedicato alla fascia di età della scuola secondaria e un altro a quella della scuola dell’infanzia e primaria) e quello di concertare (che nel suo caso comprende anche tutta la fase di riscaldamento espressivo preliminare) ben quattro cori di altrettanti licei musicali abruzzesi, uniti insieme per l’occasione: «Un’esperienza molto interessante e intensa. Lavorare con trecento giovani solo un giorno per un concerto in pubblico la sera stessa è impegnativo. La cosa credo sia stata interessante anche per i docenti: poter verificare le proprie idee, vedere come si lavora con i ragazzi e valutare se qualcosa funziona o no, se un atteggiamento è utile o no, se il lavoro è sulla qualità. Penso che sia un completamento interessante. Sono contento che tanti giovani abbiano fatto un lavoro così intenso, attivo, con tante informazioni, ma penso anche con tanto entusiasmo, divertendosi molto».

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