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Angele Dei (SATTB)
di Giuseppe di Bianco

Dossier Compositore, Choraliter 59, settembre 2019

"Il vento soffia dove vuole,
e tu ne senti la voce,
anche se non sai da dove viene
e dove va;
e così avviene a chiunque
abbia in sé la natura di quel vento".
[Giovanni 3,8]

Terra e cielo, per l’uomo, sono rispettivamente ciò che si conosce e ciò che ancora non conosce di se stesso. Alla figura antichissima dell’ἄγγελος, Messaggero di Dio, intermediario tra Dio e l’uomo, spetta il compito di connettere il sistema “cielo” e il sistema “terra”, aprendo varchi tra le due dimensioni. Permettendo a ciascuno di essere, sapere, fare di più.
L’atto del meditare è un gesto individuale, riservato, segreto; compiuto spesso in spazi o luoghi che la collettività o la natura hanno costruito e modificato nel tempo. Rappresenta l’espressione dell’individualità e collettività insieme.

Angele Dei [VIDEO] è, di fatto, una meditazione musicale sulla preghiera che la tradizione cattolica rivolge all’ἄγγελος, figura la cui teologia e psicologia compare trasversalmente, nel corso dei secoli, nei libri della Qabbalah, per risalire al libro dell’Esodo, e da qui agli antichi egizi.
Ma, nel contempo, una meditazione musicale all’ἄγγελος quale archetipo della Madre Interiore, che nutre, sostiene, protegge, accoglie con incondizionato amore il nostro innocente “Bambino Interiore”.
Di qui la scelta di ricavarne una ambientazione sonora eterea, diafana, quasi trasognata: un ideale grembo musicale della Madre Interiore, imperlato di suoni fluttuanti in un etere a-materico. In tal senso, la costruzione musicale del brano intesse un’atmosfera di delicato candore e stupore, alla scoperta del nostro Io più autentico, quello celeste. L’ambientazione quasi atemporale di Angele Dei è la cifra stilistica su cui si declina la costruzione sonora del mottetto.

Un'analisi compositiva

Composti per i Santa Barbara Quire of Voyces (Santa Barbara, CA/USA), lo definirei come un componimento fuori tempo, inteso nell’accezione di voler trascendere lo spazio dimensionale.
L’exordium (bb. 1-3) prende forma nella sinuosità di un incipit gregoriano, dove i singoli fonemi testuali sembrano, da subito, volersi cristallizzare in blocchi materici sospesi.
In questa iniziale contrapposizione verticalità vs. orizzontalità si declina il senso della dicotomia strutturante: spirito vs. materia, cielo vs. terra.
L’enunciato iniziale lascia dunque posto a un’affermazione polifonica più discorsiva (bb. 14-16), il cui nucleo è direttamente derivato da una permutazione dell’incipit gregoriano, ricorrendo a più riprese quale materiale di transizione tra sezioni diverse.

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La ripetizione di questo inciso avviene in due momenti successivi, quasi due ondate che stratificano progressivamente il peso sonoro, fino a sfociare nel mare magnum dell’illumina et protege (batt. 32 e segg.). Un flebile loop, che sa in realtà più di sogno lisergico che di ossessione ripetitiva. Il graduale processo di stratificazione e accumulazione materica, addensa e sposta le voci verso un climax assertivo e gioioso che, in corrispondenza dell’evocazione illumina, si carica di energia densa e guizzi di luce.
Un repentino cambio coloristico (rege et guberna) funge da transizione verso una sezione aleatoria (bb. 47-48), dove le voci femminili e i tenori si cristallizzano nel candore di un cluster eufonico: sfondo armonico color pastello, in cui si librano, distanti, schegge di frammenti testuali: la prece appena accennata, quasi un mantra, bisbigliata sottovoce da un bambino.

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La preghiera si fa intima, raccolta, non ha più bisogno di amplificazione sonora. Il bisbiglio è parola interiorizzata; veicola pace, armonia, serenità. Il ritorno all’incipit gregoriano dissolve il clima ipnotico riportando alla tranquillità del canto piano iniziale (bb. 49-51)
La distesa carezzevole dell’Amen evoca il mistero della presenza dell’ἄγγελος, ma anche il candore innocente del Bimbo Interiore, nella certezza della sua preghiera semplice.  Una meditazione musicale dell’umano che anela al divino, un’esplorazione del sottile ponte che unisce la dimensione del materico alla percezione e consapevolezza dell’esistenza di altri piani e proiezioni dell’Essere.

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Un'analisi compositiva

Composti per i Santa Barbara Quire of Voyces (Santa Barbara, CA/USA), lo definirei come un componimento fuori tempo, inteso nell’accezione di voler trascendere lo spazio dimensionale.
L’exordium (bb. 1-3) prende forma nella sinuosità di un incipit gregoriano, dove i singoli fonemi testuali sembrano, da subito, volersi cristallizzare in blocchi materici sospesi.
In questa iniziale contrapposizione verticalità vs. orizzontalità si declina il senso della dicotomia strutturante: spirito vs. materia, cielo vs. terra. 

L’enunciato iniziale lascia dunque posto a un’affermazione polifonica più discorsiva, il cui nucleo è direttamente derivato da una permutazione dell’incipit gregoriano, ricorrendo a più riprese quale materiale di transizione tra sezioni diverse.

La ripetizione di questo inciso avviene in due momenti successivi, quasi due ondate che stratificano progressivamente il peso sonoro, fino a sfociare nel mare magnum dell’illumina et protege (batt. 32 e segg.).
Un flebile loop, che sa in realtà più di sogno lisergico che di ossessione ripetitiva.
Il graduale processo di stratificazione e accumulazione materica, addensa e sposta le voci verso un climax assertivo e gioioso che, in corrispondenza dell’evocazione illumina, si carica di energia densa e guizzi di Luce.

Un repentino cambio coloristico (rege et guberna) funge da transizione verso una sezione aleatoria, dove le voci femminili e i tenori si cristallizzano nel candore di un cluster eufonico: sfondo armonico color pastello, in cui si librano, distanti, schegge di frammenti testuali: la prece appena accennata, quasi un mantra, bisbigliata sottovoce da un bambino.

La preghiera si fa intima, raccolta, non ha più bisogno di amplificazione sonora.
Il bisbiglio è parola interiorizzata; veicola pace, armonia, serenità. Il ritorno all’incipit gregoriano dissolve il clima ipnotico riportando alla tranquillità del canto piano iniziale.

La distesa carezzevole dell’Amen evoca il mistero della presenza dell’ἄγγελος, ma anche il candore innocente del Bimbo Interiore, nella certezza della sua preghiera semplice.
Una meditazione musicale dell’umano che anela al divino, un’esplorazione del sottile ponte che unisce la dimensione del materico alla percezione e consapevolezza dell’esistenza di altri piani e proiezioni dell’Essere.

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