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Altissima Luce di Giorgio Susana

di Manolo Da Rold
Dossier Compositore, Choraliter 54, gennaio 2018

Il brano è stato composto da Giorgio Susana nel 2011 e dedicato alla Corale Zumellese nello stesso anno in occasione del 40º di fondazione del coro. È pubblicato nel volume Contemporaneamente edito dalla Corale Zumellese.

Certamente il testo è molto interessante con le sue certezze e le sue ambiguità tipiche di un idioma volgare che si sta affermando nel XIII-XIV secolo in bilico tra una certa cultura dotta e un’esigenza di far comprendere il messaggio alle masse meno erudite. Su tutto brilla il faro di San Francesco di Assisi che, con la sua evangelizzazione rivolta a tutti e, in particolare, ai ceti più deboli e culturalmente meno preparati, ha favorito la diffusione dell’immagine sacra al di fuori della liturgia, dove la figura della Vergine Maria diventa oggetto di preghiera costante per tutti i cristiani. Di autore anonimo e appartenente al celeberrimo Laudario di Cortona, si tratta di una lode alla Vergine Maria e descrive la bellezza della Madre di Dio come riflesso della bellezza assoluta di Cristo, che ha un potere salvifico per l’uomo peccatore. 

Altissima luce col grande splendore
in voi dolçe amore, agiam consolança.

Ave regina pulcell’amorosa, stella marina ke non stai nascosa,
luce divina virtù gratiosa, belleça formosa, di Dio se’ semblança.

Fresca rivera ornata di fiori, tu se la spera di tutt’i colori:
guida la skiera di noi peccatori, si c’asavori de tua beninança.

Il linguaggio utilizzato da Giorgio Susana è al contempo moderno e arcaicizzante ed è molto articolato sia melodicamente che armonicamente. Sin da subito si capisce quanto il rapporto testo musica sia, e lo sarà durante tutto lo sviluppo della partitura, fortificato con una serie di figure retoriche sia classiche che di moderna concezione. I due diesis in chiave preannunciano un inizio solare e luminoso in re maggiore; in realtà non possiamo parlare di vera e propria tonalità quanto di modalità: tutta la struttura armonica della composizione è in continuo e rapido divenire al servizio di una melodia ricca, transitando, con modulazioni accattivanti e a volte imprevedibili, attraverso vari climi armonici.


Tutta la lauda, giocata in gran parte sull’alternanza di principi estetici, inizia appunto con il superlativo assoluto «altissima» seguito dalla parola «luce». Qui l’autore della musica evidenzia questo concetto di altezza con un salto di nona dei soprani; si potrebbe pensare che la nona essendo più alta della classica, e sicuramente più prevedibile ottava, sia adatta a evidenziare il concetto di «altissima», forse un’ottava sarebbe stata solamente «alta».
A sottolineare ulteriormente questa altezza della Luce Divina riflessa dalla bellezza, dalla purezza e dalla Santità di Maria Vergine, vi è certamente la tessitura in cui tutte le voci del coro cantano, veramente al limite dell’ambitus tradizionale delle singole voci corali. Tutto ovviamente prende il via dalla “perfezione” del 3/4 iniziale come ci insegna la numerologia medievale, che trova la sua massima espressione nel tempo perfetto simboleggiato dal cerchio.

Il salto ascendente accompagnerà per tutta la composizione la parola «altissima», in una sorta di anelito conseguente alla ricerca di Dio visto come luce che illumina il mondo attraverso l’intercessione della Santissima Madre: luce sinonimo di bellezza assoluta o, come esprime il principale termine estetico ebraico, tôb, che ci allontana dalle tenebre. «Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te». Queste bellissime parole di Sant’Agostino sembrano trovare la giusta collocazione in una perfetta sintesi concettuale proprio nella prima parte della composizione che inizia con questa evidente tensione verso l’alto, ma già a battuta 4 tutto diventa più dolce proprio nel momento in cui il testo parla del «dolce amore»: attraverso Maria capiamo che Dio è certamente Altissimo, ma è soprattutto amore e non un amore qualsiasi, Egli è l’amore più dolce. 

Nel Medioevo la dolcezza era una sensazione organolettica piuttosto rara da provare, non vi era lo zucchero e il miele era utilizzato per rendere il cibo, piuttosto sapido dell’epoca, più dolce e gradevole. La dolcezza quindi è sinonimo di dono raro, di grazia, di estrema gratificazione fisica e spirituale. L’incontro con la Dolcezza di Maria, specchio prediletto di Dio, porta alla serenità dell’anima umana, a uno stato di profonda pace, proprio come secondo i dettami di Sant’Agostino. La parte introduttiva del nostro mottetto, che appare come una breve ouverture in cui è sintetizzato quanto poi l’autore svilupperà in maniera più ampia, termina, infatti, alle battute 6-7 in concomitanza del termine «consolanza» inteso come conforto, ma anche come serenità dell’anima, con un accordo di sol maggiore scritto in una tessitura piuttosto grave con la presenza “dolce” della seconda aggiunta, un accordo morbido, caldo ed effettivamente consolatorio.

Il brano cambia totalmente carattere. Dall’incipit solenne e ieratico si passa a una seconda parte più libera e dall’andamento quasi discorsivo: da Maria immagine di Dio a Maria Donna e madre. Giorgio Susana descrive simbolicamente questo spostamento dello sguardo del fedele trasportando l’impianto armonico del brano dal lucente re maggiore al più terreno e usuale do maggiore; sceglie inoltre intelligentemente di evidenziare gli accenti della parola liberando il metro dal rigore ritmico delle battute; anche in questo contesto arcaicizzante, ma molto efficace, inserisce un nuovo elemento compositivo, la terzina. Ciò rende tutto fluente e cantabile con un andamento melodico comunque ascendente in corrispondenza alla descrizione di Maria, «Regina e pulcella amorosa», e «stella marina che non stai nascosa». Gli appellativi «Regina» e «Stella Marina» per la Vergine sono comuni nella patristica, nell’innografia e nelle preghiere tipiche della Pietas popolare mariana.
Ecco a battuta 12 che la parola «luce» ritorna in una tessitura molto alta. La frase poi si conclude sulle parole «bellezza formosa» con una testura armonica ricca, rotonda, accogliente e sonora: madrigalismo veramente efficace per evidenziare l’attitudine Mariana alla maternità, concetto antichissimo che fonda le sue radici nelle società matriarcali e al culto della madre di ellenica memoria. 

Dopo un ritorno al tema iniziale (battute 17-25), questa volta in mi maggiore, con la linea melodica principale che passa alla voce dei tenori, si giunge al corpo centrale del brano caratterizzato da una descrizione Mariana scorrevole e frizzante, che avvalla un testo descrittivo quasi giocoso. Il testo parla della bellezza di Maria utilizzando l’immagine efficacissima di una «rivera ornata di fiori» e di una «Spera di tutt’i colori», intesa molto probabilmente come l’arcobaleno, antico simbolo cristiano dell’alleanza tra Dio e l’uomo, quasi un’anticipazione della stella di Beltlemme (Gen 9, 8- 12 cfr. Gen 9,13-15) (Sir 43,11-12; cfr. 50,5-7). Si può tuttavia anche pensare anche al raggio multicolore delle vetrate, cf. LC (ed. Varanini), n. 3, vv. 15-18: «Quasi come la vitrera / quando li rai del sole la fiera / dentro passa quella spera / k’è tanto splendidissima».
Da questo punto in poi il brano va via via alleggerendosi strutturalmente passando da una scrittura prevalentemente verticale e omoritmica a una scrittura contrappuntistica di rinascimentale memoria; qui si ritorna all’incipit iniziale proposto prima dalla sezione dei bassi, seguiti dai contralti poi dai tenori ed infine dai soprani. È un crescendo travolgente che sfocia nel climax costituito da un vibrante fortissimo e intenso accordo di mi bemolle maggiore con i soprani che svettano sul sol acuto mentre contralti e tenori si sdoppiano. Quest’ultimi ripropongono infine l’incipit testuale «Altissima Luce» sullo sfondo dell’accordo finale tenuto dalle altre voci, sul quale l’autore pone un ulteriore segno di crescendo. 

Poi, quasi improvvisa e inaspettata la coda introdotta dalle voci femminili con un pianissimo etereo e mistico: è il cristiano che dopo l’incontro con la Luce Divina rimane senza parole, quasi sbigottito. Ormai non c’è più nulla da dire, se non «in voi dolçe amore, agiam consolança»: una sensazione di pienezza, di beatitudine conquistata, la serenità della fede simboleggiata dall’ultimo accordo di si bemolle maggiore, comodo e sicuro, un sigillo di fede.

Un ringraziamento particolare al caro amico maestro Franco Radicchia e al prof. Paolo Canettieri.

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